La premessa è doverosa: nella Striscia di Gaza sono stati compiuti carneficine disumane ai danni dei civili, l'Onu ha ufficialmente parlato di genocidio e le responsabilità delle Forze di difesa israeliane (Idf) appaiono ormai evidenti a chiunque. Ma al di là delle convinzioni personali, dell'emotività che ci fa incaz*zare di fronte alle notizie di migliaia di bambini morti e a massacri evitabili per sradicare Hamas, al netto di tutto questo, o meglio accanto, c'è la dura, nuda e cruda realtà. La stessa realtà, per intendersi, utilizzata da schiere di esperti di affari internazionali per giustificare l'offensiva del Cremlino in Ucraina, a loro avviso causata dalle provocazioni della Nato, in contrapposizione a chi considerava il conflitto tra Mosca e Kiev la conseguenza della follia di Vladimir Putin desideroso di annettere mezza Europa orientale alla Russia. La realpolitik, tanto evocata per la vicenda ucraina, è stata trascurata nella guerra israelo-palestinese. La “politica basata sulla realtà”, ossia l'approccio derivante da considerazioni pratiche, concrete e di interesse nazionale piuttosto che su principi ideologici, morali o etici, ha ripetutamente bypassato Israele e Benjamin Netanyahu.

Cosa ci dice la realpolitik applicata a Netanyahu? Che sul campo di battaglia Israele sta vincendo. Non solo contro Hamas nella Striscia di Gaza, ma nell'intero Medio Oriente. Certo, come spiegato in apertura dell'articolo a un prezzo altissimo, al costo di massacri, carneficine, migliaia di civili innocenti uccisi. L'analisi fredda e razionale ammette poche repliche: Tel Aviv ha messo fuori gioco l'Iran rischiando di scatenare una nuova guerra nella regione. Ha neutralizzato la Siria di Assad, colpito gravemente Hezbollah e il Libano, così come gli Houthi nello Yemen. Non solo: ha addomesticato l'Egitto vendendogli gas e altre risorse energetiche e, attraverso la fondamentale sponda statunitense, ha silenziato ogni possibile protesta diplomatica da parte di Arabia Saudita (che, temendo di essere colpita da Tel Aviv, ha chiesto e ottenuto lo scudo nucleare dal Pakistan), Emirati Arabi e Qatar. L'Europa ha più volte chiesto a Netanyahu di fermarsi, criticano quanto accaduto a Gaza, ma nei fatti nessuno dell'Unione europea ha mai fatto niente per fermare davvero Israele. E gli Stati Uniti? Anche loro faticano a tenere bada il loro alleato israeliano, al punto che talvolta sembra che sia Tel Aviv a tenere Washington per la cravatta e non viceversa.

La comunità internazionale, intesa nel suo complesso, è molto più dura contro Israele ma parliamo sempre di condanne verbali. Russia e Cina, al netto di considerazioni di buon senso, non sembrano interessarsi più di tanto della vicenda israelo-palestinese, se non per indebolire il blocco occidentale e ottenere consensi diplomatici. Resterebbe la Turchia, unica vera oppositrice di Netanyahu, ma anche Ankara non sembra intenzionata a cercare un'escalation esplicita. Viene da chiedersi perché la tanto citata comunità internazionale, sempre attenta a criticare tutti quei governi eccessivamente bellicisti, abbia permesso a Israele di arrivare fino a questo punto. Arriviamo così alla considerazione finale: se per gli amanti della realpolitik “Putin ha vinto” la sua guerra in Ucraina (o vinto a metà, dipende dai punti di vista), allora Netanyahu ha fatto altrettanto in Medio Oriente. Va comunque ricordato: a un prezzo di sangue senza precedenti nella storia recente del pianeta...
