Ieri, al bar, c’è stato un tizio che ha fatto una battuta sessista e tutti ci siamo giustamente indignati al coro di “e che sono queste battute da telecronaca sportiva”. Non si capisce infatti perché quando i telecronisti – come è capitato recentemente a commentatori Sky e Rai – si esibiscono in chiacchiere imbarazzanti tutti saltano su a dire: “E che sono queste battute da bar!”, quando invece sono tipicamente e risaputamente battute da commentatori sportivi. A cominciare da Umberto Eco, non si capisce cosa giornalisti e corsivisti e spiegonisti abbiano contro il bar, che, al contrario, è una sana istituzione di questo Paese così come lo è il pub nelle culture anglosassoni. Al contrario, il bar andrebbe protetto: ne parlavo giustappunto ieri con il titolare di un bar all’antica in quel di Rosolini, Stefano Cucchi (no, non è parente), milanese atipico che ha deciso di aprire nel sud-est siculo un caffè (il Bar Aurora – l’ha comprato con questo nome e gliel’ha lasciato, niente “design” niente “stylist” nessuna “immagine”) come esistevano fino a qualche anno fa in tutti i paesi e i quartieri delle grandi città. La riflessione ci ha portato a due considerazioni, che vi riporto in maniera da farne materia di discussione nel vostro bar abituale (spero per voi ne abbiate ancora uno).
La prima riguarda la progressiva scomparsa di queste vere e proprie agorà italiane. I bar tendono a trasformarsi in “locali”, che già dal termine non si capisce che significhino (una volta i “locali” erano quelle botteghe vuote che si locavano, adesso per “locale” si intende qualcosa di stiloso, il che, linguisticamente, è l’ennesimo delirio). E nei locali non si parla, non si discute tra avventori, ognuno ci va con i propri amici e la figata è il privé dell’aperidj dove l’isolamento e la “bolla” e divisione in “classi” non solo è evidente ma ricercata con orgoglio (contemporaneamente, in questi giorni, si ragiona della progressiva scomparsa delle “discoteche” che vengono appunto sostituite da questi enti anonimi che chiamiamo “locali”).
A differenza dei “locali” il bar è (ma fra un po’ diremo “era”) un luogo democratico e orizzontale. Al bar Aurora, come un po’ in tutti i meravigliosi bar delle stazioni di servizio sulle strade provinciali (io frequento “Zaccheta”, da nome della Contrada, luogo di ritrovo in mezzo al nulla tra il paese di Rosolini e la campagna) si ritrovano imprenditori agricoli e coltivatori diretti, imprenditori edili e operai, fruttaroli e avvocati, professoresse e alcolisti non anonimi, turisti e cittadini che non si sono spinti mai neanche nel paese confinante. E al bar si chiacchiera gli uni con gli altri senza battute da commentatori sportivi.
L’altra riflessione da bar che facevamo con Stefano è la meravigliosa leggerezza del politicamente scorretto. Le chiacchiere da bar sono libere, divertenti, urticanti, come in una stand up comedy (non woke) corale. Non bisogna confondere il politicamente scorretto del bar con le battutacce da commentatori sportivi delle reti nazionali. Sostiene Stefano: “Al bar ci si bullizza tra gli avventori, ed è un bene soprattutto per gli avventori più giovani, che sono sempre meno. Si fortificano. Imparano a non prendersi troppo sul serio. Oggi sono tutti così sensibili, così pronti a offendersi. Ma rilassatevi: siamo al bar!”. Io aggiungerei che oggi i giovani conoscono questo genere di dialogo ma ne sono usufruitori passivi: lo chiamano “dissing” e lo devono ascoltare in rima su una base musicale, senza il verso sciolto, senza la prosa libera. Aggiunge ancora Stefano: “Nei bar alla vecchia maniera nessuno si sognerebbe di prendere in giro ad alta voce un avventore estraneo al giro abituale di clienti, danneggerebbero il proprietario, che nei bar è uno del gruppo, anzi è il primo che cerca di democratizzare la clientela, che promuove le amicizie”. Un luogo antico della nostra civiltà, come detto discendente della agorà greca, dove articolate prese in giro e ragionamenti satirici vanno via via scomparendo lasciando spazio all’isolamento dei “locali” instagrammabili e a brevi e irriflesse battutacce televisive o twittarole.