Mentre in Italia il settore automotive continua a perdere colpi e gli stabilimenti lavorano ben al di sotto delle proprie capacità, Stellantis prosegue a passo spedito nella sua strategia di rilocalizzazione produttiva verso Paesi a più basso costo. L’ultima mossa del gruppo presieduto da John Elkann è la firma di un accordo con il fornitore piemontese Sigit, storica azienda dell’indotto Fiat, che realizzerà componenti plastici in Algeria destinati allo stabilimento Fiat di Tafraoui, vicino Orano. Un’operazione industriale dal forte impatto simbolico ed economico, che – come riporta Milano Finanza – ha ricevuto anche l’avallo del governo italiano, nel quadro della cooperazione bilaterale tra Italia e Algeria formalizzata durante il recente vertice intergovernativo tra i due Paesi. A siglare l’intesa, alla presenza della premier Giorgia Meloni e del presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, è stata Stellantis El Djazair, la controllata nordafricana del gruppo. Ma non si tratta di un’eccezione. Il trasferimento della produzione verso il Nord Africa si inserisce in un disegno più ampio: Stellantis sta infatti rafforzando la propria presenza tra Marocco e Algeria, due Paesi strategici per la logistica e la competitività dei costi. In parallelo, però, il baricentro industriale si allontana dall’Italia, dove il comparto auto continua a perdere terreno.

Secondo i dati della Fim-Cisl, nel primo semestre del 2025 la produzione complessiva del gruppo in Italia è crollata del 26,9% rispetto all’anno precedente, con un tracollo del 33,6% per le sole autovetture. Nessuno degli stabilimenti italiani registra un segno positivo e le previsioni per l’intero anno parlano di appena 440 mila veicoli assemblati: numeri che riportano la manifattura nazionale a livelli pre-anni ’90. L’accordo con Sigit, definito da Stellantis una “partnership strategica”, punta a creare in Algeria un vero e proprio ecosistema industriale in grado di fornire, nel lungo termine, fino al 30% dei componenti per i veicoli Fiat prodotti localmente. Si tratta di una delocalizzazione verticale: non solo produzione, ma anche forniture, manodopera e know-how spostati fuori dai confini italiani.

Per l’Italia è un campanello d’allarme che suona sempre più forte. L’indotto, da sempre pilastro dell’automotive nazionale, sta seguendo Stellantis all’estero, attratto da costi del lavoro più bassi, contesti normativi più flessibili e una tassazione agevolata. Un processo che rischia di svuotare progressivamente la filiera italiana, indebolendo un intero comparto industriale. A rendere il quadro ancora più contraddittorio è l’atteggiamento del governo. Nonostante l’esecutivo Meloni abbia più volte dichiarato l’intenzione di “difendere l’industria italiana dell’auto”, l’accordo con Sigit è stato presentato come un successo diplomatico e industriale. Una narrazione che sembra entrare in conflitto con gli impegni presi con Stellantis lo scorso dicembre: 2 miliardi di euro promessi per investimenti negli stabilimenti italiani e 6 miliardi in acquisti da fornitori locali.
