Un processo che pesa come un macigno: no, non solo quello per questioni fiscali che coinvolge i fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann, ma quello della Procura di Parigi che ha formalmente richiesto il rinvio a giudizio di Fiat-Chrysler Automobiles (Fca), oggi parte di Stellantis, con l’accusa di truffa aggravata nel quadro del cosiddetto Dieselgate. Nel mirino ci sono 38.144 veicoli – modelli Fiat 500X, Alfa Romeo, Jeep, tutti con motori Multijet II – venduti fra il 2014 e il 2017, per un fatturato superiore a 836 milioni di euro. Il sospetto, dettagliato dalla Direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi francese (Dgccrf), riguarda una “strategia globale” per aggirare i test sulle emissioni di ossidi di azoto (NOx): secondo gli inquirenti, i motori sarebbero stati calibrati per rispettare i limiti solo in laboratorio, non durante l’uso reale. Una manovra che, se confermata, configura la frode ai danni dei consumatori e mette a rischio l’immagine di Fiat come mai prima d’ora.
“Motori fraudolenti” che sarebbero stati progettati per superare artificialmente i controlli normativi, recita il rapporto, secondo cui il sistema permetteva agli apparati di depurazione di funzionare correttamente solo durante i test, risultando inefficace nel traffico di tutti i giorni. Non è il caso, precisa un esperto giudiziario citato da Milano Finanza, di una “strategia esplicita di riconoscimento dei cicli di omologazione” come nel caso Volkswagen, ma resta la sostanza: le emissioni reali sarebbero superiori ai limiti, con impatti diretti su ambiente e salute pubblica.
Stellantis respinge le accuse. Il gruppo, rappresentato dall’avvocato Alexis Gublin, sostiene di “contestare integralmente l’impianto giuridico” delle accuse e di essere pronto a difendersi con forza, ribadendo che tutti i veicoli in questione “sono risultati conformi alle normative vigenti” all’epoca della commercializzazione. Intanto la giustizia francese si prepara a valutare la richiesta di processo, mentre la storia recente ricorda che, negli Stati Uniti, Fca aveva già pagato 515 milioni di dollari per chiudere un contenzioso analogo senza processo.

Made in Italy africano
Ma la cronaca giudiziaria si intreccia con la geopolitica industriale. Proprio mentre infuria il caso Dieselgate, Stellantis annuncia un investimento da 1,2 miliardi di euro per il raddoppio dello stabilimento di Kenitra, in Marocco. Una mossa che porta il gruppo guidato da Antonio Filosa a puntare con forza sull’Africa, lasciando in secondo piano il Vecchio Continente. Il piano, confermato dal premier marocchino Aziz Akhannouch, porterà la capacità produttiva locale a oltre 500 mila veicoli l’anno entro il 2030 e darà vita a 3.100 nuovi posti di lavoro diretti. Samir Cherfan, responsabile Stellantis per Medio Oriente e Africa, elenca gli obiettivi: “535 mila veicoli all’anno, 204 mila stazioni di ricarica per veicoli elettrici, 6 miliardi di euro di approvvigionamento locale entro il 2030”.
La politica italiana insorge. La Lega parla di “scelta assurda”, accusa Stellantis di aver beneficiato “per decenni” dei fondi pubblici italiani per poi licenziare in Italia e assumere in Africa: “Quando hanno iniziato a chiudere gli stabilimenti sono arrivate le procedure di licenziamento collettivo che hanno colpito centinaia di lavoratori italiani, rimasti a casa senza lavoro. Che vergogna”, si legge nella nota rilanciata da Milano Finanza. Dall’altra parte, Carlo Calenda su X ironizza sugli equivoci del ministro Urso: “Il milione di veicoli era in Marocco”, chiedendo interventi immediati sull’energia e l’industria.

Fine dell'idrogeno
E mentre si discute del futuro industriale, Stellantis cambia pelle anche nella ricerca: con una nota ufficiale, il gruppo ha annunciato l’uscita dalla joint venture Symbio con Michelin e Forvia, mettendo fine allo sviluppo della tecnologia a celle a combustibile alimentate a idrogeno. Una scelta spiegata da Jean-Philippe Imparato, chief operating officer della regione Enlarged Europe, come necessaria di fronte alla “scarsità di infrastrutture per il rifornimento, l’elevato fabbisogno di capitale e la domanda ancora troppo bassa”. Il risultato: addio alla produzione di veicoli commerciali a idrogeno, almeno per ora.
Le reazioni dei partner non si fanno attendere. Michelin definisce la decisione “inaspettata e non coordinata”, mentre Forvia sottolinea che Stellantis rappresentava “quasi l’80% del volume d’affari di Symbio”, mettendo così a rischio la stessa sopravvivenza della joint venture. In gioco c’è anche il destino della gigafactory SymphonHy e degli investimenti già programmati.
La nuova rotta strategica di Stellantis, con il progressivo disimpegno dall’idrogeno, segue il pragmatismo: focus su elettrico e ibrido, dove il mercato offre già risposte concrete. Altri big dell’auto come Toyota e Hyundai restano invece sulla scommessa fuel cell, anche se con prudenza. Ma la domanda resta sospesa: scommettere solo su Africa ed elettrico basterà davvero a garantire il futuro di Stellantis e dell’industria automobilistica (teoricamente) europea?