Continua il braccio di ferro tra il Governo Meloni e il Gruppo Stellantis (e John Elkann) dopo le polemiche degli ultimi giorni. L’ultimo a parlare è stato il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso, che nella trasmissione di La7 L’aria che tira (condotta da David Parenzo) ha dichiarato di voler avere un confronto con Carlos Tavares (amministratore delegato di Stellantis) e ha commentato alcune discutibili decisioni del Gruppo, come quella di promuovere il Marocco come sito produttivo, evidenziando anche lo “squilibrio nella fusione Psa-Fca”, come definito da Affariitaliani.it (questione già toccata dal Presidente del Consiglio e riportata da MOW). Ma se il Governo attacca, Stellantis risponde. Dopo aver mandato un portavoce al question time alla camera di Giorgia Meloni, per chiarire le proprie intenzioni, questa volta è Tavares in questione ad alzare la voce. In un’intervista rilasciata all’agenzia di stampa internazionale Bloomberg, il Ceo, scrive Mario Sechi su Libero Quotidiano, “ha confermato l’ovvio, Stellantis vuole più incentivi per l’auto elettrica e per averli mette nel menu i dipendenti delle sue fabbriche in Italia”. In poche parole, prendendo i virgolettati riportati dall’Ansa , il manager portoghese ha detto che Stellantis non è altro che “un capro espiatorio nel tentativo di evitare di assumersi la responsabilità per il fatto che se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in Italia”. Sechi, però, preferisce usare parole più dure, e commenta così: “Potremmo dire che non c’è niente di nuovo, che si tratta dell’antica strategia della famiglia di Torino, che è scomparso Sergio Marchionne e sono tornati all’antico metodo, mungere la vacca dello Stato”. E proprio Marchionne, in quest’ultimo capitolo della guerra Governo-Stellantis, diventa un grande protagonista.
Inoltre, rimanendo sempre sul commento di Sechi, il quale dà vita a un’indagine “sherlockiana” prevedendo un futuro ingresso di Renault in Stellantis e svelando il potere di Macron all’interno del Gruppo, non bisogna ridurre tutto agli incentivi italiani (appena presentati dal ministro Urso), ma si tratta piuttosto di una vera e propria questione geopolitica che mette in contrasto Italia e la Francia. Infatti, scrive il direttore di Libero, “l’ingresso dello Stato italiano nel capitale di Stellantis presuppone un sì da parte della Francia. È quindi una partita che si svolge a un livello più alto, riguarda i rapporti tra Parigi e Roma, il dialogo tra i governi, il mercato e gli assetti europei dell’industria dell’auto” e dunque, continua “Il premier Giorgia Meloni dovrà metterci molta fantasia e coraggio, è una questione vitale per la manifattura italiana, che purtroppo è mono-dipendente da Stellantis”. Ma la guerra Meloni-Elkann-Tavares viene ripresa anche da Stefano Cingolani de Il Foglio, ed è qui che Marchionne entra in gioco.
L’analisi di Cingolani, dunque, passa prima in rassegna tutti gli stabilimenti italiani del Gruppo, e i loro risultati. Sintetizzando: Mirafiori -9,3% rispetto al 2022, Cassino -11,3%, Melfi 78 mila auto prodotte in meno rispetto al 2019, quando si chiamava Fiat Chrysler, mentre “sono in crescita i veicoli commerciali ad Atessa (+11,8%), però l’impianto abruzzese che occupa 5 mila persone produce il 24% in meno rispetto al 2019 e parte degli ordini sono stati spostati in Polonia”, e “l’unico a tirare è Pomigliano d’Arco: con 4.150 occupati costruisce 215 mila auto (+30%)”. Una produttività, quella di Pomigliano, figlia della visione di Sergio Marchionne, e del cosiddetto World class manufacturing, che comunque sta per svanire visto che, rivela Cingolani, “ora la fabbrica napoletana è diretta da una manager francese, Pascale Chretien, opera sulla piattaforma flessibile introdotta dalla Peugeot”. Inoltre, la cassa integrazione “cade a pioggia”, e Cingolani riporta un dato alquanto impietoso: “In Spagna Stellantis ha sorpassato la Volkswagen, ha prodotto 880 mila auto in tre sole fabbriche: Madrid, Vigo e Saragozza. In Italia ne ha costruite 521 mila in dieci impianti”. Tutti prevedono la chiusura di almeno uno degli impianti italiani, nonostante le rassicurazioni dei giorni scorsi dello stesso Tavares, e qui sorge un dubbio: ma non era meglio prima? “Non si può non partire dalla constatazione che la Fiat Chrysler produceva in Italia più dell’intera Stellantis - scrive Cingolani -. Non solo: ha lanciato la Jeep in Europa e la 500 in America (le ultime novità riportate da MOW, ndr), ha portato in dote alla francese Psa il mercato statunitense, ma non s’è avvantaggiata del mercato europeo dove Peugeot-Citroën era più forte”. Inoltre, il giornalista de Il Foglio fa luce sul grande tradimento di Elkann nei confronti di Sergio Marchionne. “Mi brucia di non aver concluso nessuna alleanza con General Motors. Ma non farò mai un accordo con i francesi di Psa, andremo avanti da soli, saremo all’altezza dei nostri concorrenti”, queste sono le ultime parole del manager italo-americano pubblicate originariamente dal Corriere della Sera in occasione dei cinque anni dalla sua scomparsa. Le sue paure erano principalmente due, perdere il controllo e gestire una sovrapposizione di modelli che avrebbe portato a inevitabili chiusure delle fabbriche; paure che sembrerebbero essere diventate realtà. Infine, Cingolani riporta le parole al veleno di Luca di Montezemolo nei confronti di Stellantis (già citate da MOW) e passa poi a un’analisi più fine riguardo al grande Gruppo automobilistico, che in borsa va forte ma, conclude, “se la finanza riempie i portafogli, la produzione non riempie le fabbriche”.