Il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, dopo il voto a Strasburgo che ha previsto lo stop delle auto benzina e diesel dal 2035 ha tuonato contro questa decisione: “Sono deluso, profondamente. L’inversione di tendenza che avevo auspicato non c’è stata. Me lo aspettavo, ma così si rischia l’eutanasia di una parte della nostra industria e la dipendenza dalla Cina”. Il leghista aveva lanciato appelli già nei giorni precedenti ai parlamentari, soprattutto di centrosinistra: “È stata una decisione ideologica. Ho sperato che prevalesse, nei deputati di centrosinistra, la preoccupazione per le ricadute negative sull’occupazione”. I timori di Giorgetti sono gli stessi delle associazioni della filiera automotive, come l’Anfia, che indica in 70mila i posti a rischio e in circa 450 le imprese esposte. Medesima preoccupazione anche per i sindacati metalmeccanici, dalla Fim-Cisl alla Uilm. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha dicgiarato: “Non possiamo e non dobbiamo difenderci, bisogna in realtà investire su cosa significa il cambiamento produttivo e organizzativo, su come si costruisce il lavoro e come si investe. Bisogna accelerare”.
Intanto è previsto un nuovo passaggio importante, con il Consiglio Ue su ambiente il 28 giugno dove i governi decideranno la loro posizione. Poi partirà la negoziazione con Commissione e Parlamento. Possibile che le maglie si allarghino e che l’idea di passare dal 100% al 90% di riduzione di emissioni di CO2 possa farsi strada? Il ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, la pensa più o meno come Giorgetti: “Io sono per la neutralità tecnologica. La giusta visione della decarbonizzazione va calata nella nostra realtà. La transizione deve tener conto anche delle ricadute sociali ed economiche su tutte le filiere altrimenti il futuro è l’eutanasia della nostra industria. L’impostazione europea vuole imporre ritmi e ideologie che impattano negativamente su alcuni paesi come l’Italia, la Germania e la Francia”.