Il processo di Erba sarà riaperto? Possono aver fallito ventitré giudici o, come qualcuno dice, gli innocentisti vanno in cera di complotti? Facciamo chiarezza. La vicenda che vede coinvolti i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi è complicata. Ma non è sicuramente questione di complotti. Si tratta piuttosto di riconoscere che è lo stesso codice di procedura penale ad ammettere la possibilità che i giudici possano sbagliare. Per questo è previsto l’istituto della revisione processuale. Che, seppur rappresenti l’eccezione come mezzo di impugnazione straordinario, attribuisce la possibilità di scardinare una sentenza passata in giudicato. Contemplando, implicitamente, anche la possibilità che possano verificarsi errori giudiziari. In più, aggiungiamo che il diritto alla difesa è costituzionalmente sempre garantito, la revisione è un mezzo di impugnazione previsto dall’ordinamento e le indagini difensive possono essere svolte in ogni stato e grado del procedimento. Quindi, Rosa e Olindo, come il sostituto procuratore Cuno Tarfusser, hanno semplicemente esercitato una facoltà prevista dall’ordinamento giudiziario. Certamente, perché si possa arrivare ad un proscioglimento dei condannati, sono necessarie nuove prove che dimostrino l’innocenza di chi si trova condannato in via definitiva. In attesa di tornare in aula il primo di marzo, però, voglio focalizzarmi sul concetto di genuinità di testimonianza perché ne ho lette e sentite di tutti i colori. E voglio focalizzarmici da tecnico provando a spiegare senza troppi tecnicismi perché le modalità di acquisizione della testimonianza di Mario Frigerio potrebbero aver compromesso non solo la sua deposizione, ma l’andamento dell’intera vicenda processuale. In questo senso, la sua testimonianza potrebbe non essere genuina come cristallizzato nei tre gradi di giudizio. E il perché lo dice la scienza e la psicologica della memoria. Mette conto un inciso.
In generale, la bontà di una testimonianza è vincolata dalle modalità con le quali vengono poste le domande. Non è un caso, infatti, se comprovata letteratura scientifica dimostra la tendenza del testimone a carpire delle informazioni dalle domande suggestive, quelle domande cioè che implicitamente suggeriscono la risposta, ed inserirle in maniera automatica nel proprio ricordo. Ma la memoria è fallibile e malleabile in condizioni normali. A maggior ragione se abbiamo a che fare con un testimone vittima, come era Mario Frigerio. Che aveva subito un’aggressione che per una malformazione non si è rivelata mortale, ma aveva anche perso la moglie nella strage. In casi come questo è fondamentale che il ricordo venga isolato prediligendo la sua forma libera. Ed infatti in prima ricostruzione Frigerio aveva parlato di un uomo dalla carnagione olivastra, con tanti capelli neri, tanti, abbastanza grosso, con gli occhi neri e forte come un toro. Non proprio la descrizione del vicino di casa di Raffaella. Un uomo che non mai visto prima. Olindo, invece, lo conosceva da ben quattro anni. Il super testimone ha cambiato versione solamente cinque giorni dopo quando viene nuovamente interrogato dal maresciallo dei carabinieri di Erba. Era il 20 dicembre 2006. Se in un primo momento Frigerio riconfermerà quanto detto dinnanzi al Pm Mazzotti, a quel punto attribuirà infatti la responsabilità della strage ad Olindo Romano. Ma lo farà solamente dopo che il maresciallo Gallorini ha pronunciato il nome del netturbino per ben nove volte. In questo senso, ci aiuta ancora la psicologia della testimonianza. Caso di scuola rispetto a ciò che cercavo di spiegare prima. Inizialmente, con il racconto libero, Mario Frigerio fa una ricostruzione certosina del suo aggressore. Una ricostruzione libera e certamente non viziata. E poi cambia idea dinnanzi alla modalità con la quale viene sentito. Facciamo un passo in più. Come esseri umani siamo portati a dare fiducia alle autorità e a riconoscere autorevolezza a ciò che dicono. In soldoni, se il nostro interlocutore indossa una divisa, siamo fisiologicamente propensi ad escludere che ci stiano ingannando. Frigerio riconosce solo Olindo, non parla mai di Rosa Bazzi. Eppure, verrà arrestata anche lei perché i due, vivendo in simbiosi, non potevano aver agito in maniera separata. Questo appare il ragionamento. Essendo inseparabili, entrambi avevano avuto un qualche ruolo nella strage. Si trattava esclusivamente di stabilire quale.
Anche le confessioni di Rosa e Olindo, all’avviso di chi scrive, sono quantomeno discutibili. Ce lo dicono anche le ricerche scientifiche degli ultimi sessant’anni. Queste ultime hanno infatti provato che le domande fortemente inducenti, che forniscono elementi anche non corrispondenti alla verità, possono indurre chiunque a confessarsi colpevole anche se colpevole non è. Allo stesso modo, possono portare ad affermare qualunque cosa nel corso di una testimonianza, anche in evidente contrasto con quanto detto magari nel corso del racconto libero. Rosa e Olindo confessano dopo che gli viene comunicato di non aver alcuna possibilità di sfuggire alle maglie della giustizia e con la promessa che gli venga concessa la cella matrimoniale. Siamo parlando di due persone semi analfabete, che non potevano permettersi un avvocato diverso da quello d’ufficio. Rosa, addirittura, non era riuscita a dare una versione coerente neppure davanti alle fotografie della mattanza. E allora, per risolvere questo problema, le viene fatta ascoltare la testimonianza resa dal marito e chiesto di confermarla. I due, dopo aver negato fin da subito il coinvolgimento per poi ammettere le responsabilità, ritratteranno qualche settimana dopo. Lo faranno prima del deposito della relazione dei Ris che escluderà la presenza di qualunque traccia a loro riferibile sia sulla scena del crimine, sia nel loro appartamento, sia nella corte che loro avrebbero attraversato per darsi alla fuga. Da quella stessa relazione, però, è emersa anche alla presenza di due tracce non riferibili a nessuna delle persone che, secondo la ricostruzione dell’accusa, sono intervenute a vario titolo sulla scena del crimine. Di questo avremo modo di parlarne poi. Di fronte, quindi, a teorie complottistiche e fondate su chi crede di avere la verità in tasca senza conoscere la psicologia della testimonianza, era doveroso fare alcune precisazioni. Da tecnico. Si badi bene, come ho precisato in apertura, questo tipo di ragionamento – purtroppo – ad oggi da solo non è sufficiente per la riapertura di un processo. Certo, se il processo per la strage di Erba dovesse rientrare nuovamente nel vivo, anche questi passaggi potranno essere ridiscussi. Tuttavia, per fondare solidamente la revisione processuale, servono nuove prove o sopravvenute che, dice il codice di rito, sole o unite a quelle già valutate in precedenza dimostrano che il condannato, o i condannati come in questo caso, debbano essere prosciolti. La magistratura avrà il coraggio di smentire sé stessa? Ai posteri l’ardua sentenza.