La cosa brutta è che è morto. La cosa bella è che inserendo il suo nome nel mio pezzo posso scrivere tutto quello che mi pare di me. È la tendenza ormai conclamata di un certo giornalismo egoriferito, che ha raggiunto nuove vette quando si è trattato di scrivere il proprio (sottolineando proprio) ricordo di Eugenio Scalfari. Il famigerato selfie con vista salma – frontiera contemporanea dell’esibizionismo sui social che finge maldestramente di essere lutto – declinato sulla pagina scritta. Per dirla con il titolo di un libro dello stesso Scalfari, l’Incontro con Io.
I vincitori di giornata sono le principali firme de La Stampa (ex di Repubblica del fondatore Scalfari). E pensare che, scritta lì in piccolo nel pezzo di Massimo Giannini (leggermente smentito in primis dal titolo in prima pagina, “Caro direttore, sei stato un padre”), ci sarebbe anche l’avvertenza: “I ricordi personali sono innumerevoli ma anche spiacevoli, perché qui conta lui e non noi”. Poi però Giannini, direttore della Stampa, si lascia andare: “Per noi tutti era «Barbapapà». […] «Oggi hai scritto un pezzo eccellente, il migliore di tutta la stampa italiana…». Allora eri in paradiso. O, all’opposto: «Come cazzo hai fatto a prendere un buco di questa portata?». O ancora: «Ti ho letto e riletto: non ho capito niente di quello che hai scritto. Ti rendi conto che danno hai fatto al giornale?». E tu, così, precipitavi muto e umiliato negli inferi. Pensavi che la tua avventura in quella formidabile fucina di cervelli e di talenti fosse finita per sempre. Ti sbagliavi”. E poi: “Quando eri di turno la domenica, ti chiamava nel tardo pomeriggio: «Allora? Com’è andata?». «Male, direttore, Berlusconi ha appena fatto una nota per dire…». «Ma no, parlo di noi giallorossi, che abbiamo fatto?». Per la festa dei novant’anni gli regalammo la maglia della Magica, col numero 90 e la firma autografa di Totti”. Fortuna che qui contava lui…
Ma è solo l’antipasto. Il piatto forte è servito da Lucia Annunziata. Perfino l’intera titolazione è declinata in prima persona singolare:
Quella volta che mi urlò al telefono “Non voglio il tuo cadavere sulla coscienza”
La telefonata mi raggiunse in Iraq ma ci tornai dopo appena 24 ore poi mi inviò una disamina dei miei pezzi con la lista di ciò che avevo sbagliato
Nel pezzo dell’Annunziata si leggono cose come: “Io uscii e tornai dentro a giro di 24 ore. Arrestata in Israele dalla (sic) guardie del corpo di Shamir, accusata di aver morso una di loro nel corso di tafferugli, rispose «sono certo che non è vero. Se lo avesse fatto la guardia sarebbe sicuramente morto» (riferimento al mio difficile carattere!). Dopo la guerra in Iraq fui premiata con la Nieman Fellowship, di Harvard. Quando glielo comunicai – chiedendo di andare in America- mi disse, «ma dai, tu devi tornare in America Latina». Uscii dall’ufficio e nel giro di tre ore passai al «Corriere» (Harvard e America comprese). Glielo comunicai via segreteria di redazione e lui mi scrisse una lettera che lesse in riunione. Diceva che aveva sbagliato tutto con me – dopo 12 anni! Ma il filo con lui non si interruppe e si riallacciò sempre”.
E poi il gran finale: “Mi voleva bene, il Direttore? Sì. Solo uno che ti vuole bene può dedicare tanto tempo a cercare di «educarti» a qualcosa di buono. Grazie Direttore”.
Persino il Papa, che firma un testo sulla Stampa e uno sulla Repubblica pare essersi un po’ fatto prendere da questa dinamica. In prima pagina su Repubblica il titolo è “Il papa: perdo il mio amico”. Mentre sul giornale torinese si arriva a un nuovo apice del format “Io, virgola”: “Io, Bergoglio, certo che Dio è insieme a te”, frase di cui peraltro – nella “migliore” tradizione giornalistica italiana – non c’è minimamente traccia nelle parole del Papa (né testuale né parafrasata né come richiamo di alcun genere).
Questo l’incipit di entrambi i pezzi: “Sono addolorato per la scomparsa di Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica. In queste ore dolorose, sono vicino alla sua famiglia, ai suoi cari, e a tutti coloro che l’hanno conosciuto e che hanno lavorato con lui. È stato per me un amico fedele”. E il ricordo si conclude così su entrambi i giornali: “Da oggi ancora di più – si conclude il suo ricordo su entrambi i giornali – conserverò nel cuore l’amabile e prezioso ricordo delle conversazioni avute con Eugenio, avvenute nel corso di questi anni di pontificato. Prego per lui e per la consolazione di coloro che lo piangono. E affido la sua anima a Dio, per l’eternità”.
Anche il ricordo di Vittorio Feltri su Libero è tendenzialmente egoriferito, anche in questo caso fin dal titolo: “Lo ammetto Eugenio, ti ho sempre copiato. Ma dal fronte opposto”. Nel testo tra l’altro si legge: “Da Eugenio mutuai la polemica continua, una polemica che non si limitasse a distruggere ma che costruisse, o almeno tentasse di farlo, quantunque egli fosse più elegante di tutti quanti noi. Ottenuti strepitosi successi con boom di copie vendute, pure Scalfari prese a seguire me”.
Diciamo che però forse Feltri può permettersi un po’ più di altri (e il riferimento non è a Bergoglio) di essere anche autoreferenziale…