“Abbiamo vinto le elezioni europee. Siamo il partito più forte, un faro di stabilità, e questo è un grande messaggio”. Ursula von der Leyen è soddisfatta per i risultati, ancora parziali, che iniziano ad arrivare dalle urne. Il Partito Popolare Europeo (PPE) ha tenuto testa contro l'avanzata di sovranisti e populisti e lei, la candidata di punta del partito nonché presidente uscente della Commissione europea, vede un futuro roseo.
Von der Leyen ha una prateria davanti a sé e buonissime chance di vedersi confermata in sella alla Commissione europea
La signora tedesca, cuore pulsante dei moderati e centro nevralgico dell'attuale architettura politica dell'Ue, promette di fungere da “baluardo contro l'estrema destra in Parlamento”. Che, sì, ha ottenuto ottimi risultati in giro per il continente, ma non tali da poter pensare di fare tabula rasa delle attuali dinamiche di potere. Attenzione però, perché intanto la grande coalizione filo Ue ha visto macchiarsi l'immagine di due grandi pesi massimi dell'europeismo: Olaf Scholz ed Emmanuel Macron. Se i socialdemocratici del cancelliere tedesco hanno registrato il peggior risultato della loro storia, è andata pure peggio al presidente francese, il cui partito, Renaissance, è stato più che doppiato dal Rassemblement National di Marine Le Pen, costringendo il capo dell'Eliseo a giocarsi la rischiosa carta delle elezioni anticipate per arginare lo spettro dei sovranisti. Ai fini internazionali, al netto delle dinamiche nazionali che si verranno a creare in Germania e Francia, significa che l'Ue ha perso due Kingmaker del calibro di Macron e Scholz, che in virtù delle rispettive batoste casalinghe non potranno più essere freni o amplificatori della linea Von der Leyen.
Con l'immagine appannata di Macron e Scholz, insomma, Von der Leyen ha una prateria davanti a sé e buonissime chance di vedersi confermata in sella alla Commissione europea. Ma si tratta, appunto, di una “guerra politica” intestina al solidissimo status quo europeo. Del resto i numeri dimostrano come il PPE sia la più grande forza del Parlamento europeo, e che ogni possibile maggioranza debba passare dai popolari. L’Europarlamento è composto da 720 deputati e i popolari ne hanno dalla loro 184 (25,6%). Se, come è probabile, dovessero trovare l'intesa con i socialisti di S&D (135 seggi) e i liberali di Renew Europe (83), ecco che, con 407 seggi, prenderebbe forma una maggioranza Ursula 2.0. Certo, potrebbe esserci un 10-15% di “franchi tiratori”, potenzialmente silenziabili includendo nella coalizione anche i Verdi (52). A quel punto si verrebbe a creare un Parlamento europeo a doppia trazione: da un lato i pro Ue capitanati da UVDL, dall'altro il fronte delle destre, frammentato tra Identità e Democrazia (58, dove troviamo la Lega) e Conservatori e Riformisti europei (73, che ospita Fratelli d'Italia). Altro che “marea nera” o “destre alla riscossa”. Ricapitolando: l'Europa sarà ancora governata da una maggioranza filo europeista (nonostante l'exploit dei sovranisti) con il PPE e Von der Leyen al centro. Di pari passo, questa stessa maggioranza europeista dovrà fare i conti con uno schieramento di destra rafforzato, ma questo non dovrebbe assolutamente rappresentare un problema.
La linea di Bruxelles continuerà ad essere la stessa degli ultimi anni: sostegno totale all'Ucraina
Proprio il rafforzamento delle destre potrebbe, in parte, spingere Von der Leyen a limitare la sua retorica aggressiva sui dossier più scottanti dell'Europalarmento. In ogni caso, la linea di Bruxelles continuerà ad essere la stessa degli ultimi anni: sostegno totale all'Ucraina (e non rallentamenti per dialogare alle condizioni di Vladimir Putin); alleanza di ferro con gli Stati Uniti (e non una maggiore indipendenza/intraprendenza politica come sperato da Macron-Scholz); cucitura a doppia mandata con l'ombrello Nato (e non una Difesa europea indipendente da Washington come avrebbe auspicato lo stesso Macron) e sempre meno tolleranza economica nei confronti della Cina (e non un ammorbidimento come sperato da Scholz).
Chi sperava di defenestrare UVDL (leggi: Macron-Scholz, sempre loro) è stato costretto ad alzare bandiera bianca. La palla è sempre tra i piedi del PPE, che deve adesso capire con chi creare un “cordone di sicurezza” per evitare le pugnalate alle spalle dei franchi tiratori: i Verdi o i conservatori di Giorgia Meloni? Ecco che la premier italiana – la stessa del “mai con i socialisti” - potrebbe mettersi in gioco per occupare lo spazio lasciato vuoto da Macron. La leader di Fratelli d'Italia deve decidere cosa fare con i conservatori: rinnegare quanto detto fin qui per flirtare con la maggioranza europeista – e avere così un “posto al sole” - oppure resta fuori e conterà meno nonostante i risultati ottenuti? Le sue scelte influenzeranno le prossime elezioni, dove il rischio è di assistere ad un astensionismo ancora più accentuato e di voti in crescita per le destre. Paradossalmente Meloni si trova in una posizione bizzarra, visto che rappresenta addirittura un argine a possibili alternative provenienti da una destra – questa sì - ben più estrema e anti europeista di quella di cui fa parte. Certo è che, percentuali in più, percentuali in meno, l'Europa continuerà, nel breve periodo, ad essere ancora immersa nel solito status quo. I (pochi) che continuano ad andare a votare sono rassegnati all'idea dell'immobilismo.
Alla prossime elezioni. Sperando che possano davvero cambiare qualcosa.