Reali 30%, percepiti 80 su Instagram. È questa la sensazione che si ha guardando i dati di affluenza sui referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno, confrontandoli con la propaganda e le dichiarazioni di voto che si trovano sul social più famoso. Sono durate settimane, infatti, le campagne in favore del voto (e del sì) che molti dei personaggi più conosciuti sulla piattaforma hanno portato avanti. La divulgatrice digitale Flavia Carlini, ha messo online un video a poche ore dall’apertura dei seggi, in cui ha spiegato con una certa verve le «info operative» per districarsi al meglio tra i cinque abrogativi proposti, con una serie di dovute semplificazioni tipiche degli spiegoni social. Il video finisce con la dichiarazione di voto dell’influencer che, oltre a confermare i suoi cinque sì, ne fa una questione di «dignità» e di «civiltà». Oltre 38mila like. Nella giornata di domenica, una story su due, nel feed di un qualsiasi under 45, soprattutto se residente in una grande città, aveva dentro una tessera elettorale. Scheda in primo piano e sfondo con Birkenstock svelte a calpestare l’asfalto bollente di Milano prima di una fuga al mare. Un oceano di timbri che inorgoglisce gli elettori più vicini agli “anta”, che possono già mostrare la carta con la maggior parte delle caselle vidimate. Sofia Viscardi, un milione e duecentomila follower - una delle fondatrici del progetto Venti, una piattaforma rivolta alla gen Z e ai millennial - ha da poco partorito una bambina. Dopo una serie di post a base di tette ciucciate e vomitini sulla maglietta, Sofia ha pubblicato una story in salsa referendum mentre ha in braccio sua figlia. Al posto della solita icona per coprire il viso della lattante, ha proposto l’immagine di una tessera elettorale: «andate a votare, ve lo dice pure la Lila». La neonata, appunto.

Tra i media sul social più seguiti dai giovani l'endorsement diretto del voto (e del sì) è tra le opzioni più calpestate delle linee editoriali. The Vision: “(...) Votiamo sì, dimostriamoci migliori di chi governa”. Ma l’armata elettorale fa la sua comparsa in post collettivo: dopo una serie di contenuti già pubblicati sui singoli profili, VDnews, Factanza, Scomodo, Generazione Magazine si uniscono alla pagina Referendumcittandianza in un post “cross” dal titolo: “Facciamo le stories o facciamo la storia?”. Il messaggio è chiaro: «votate sì o no, ma informatevi e andare a votare: il referendum è uno degli strumenti più importanti che il popolo ha per cambiare le leggi attualmente in vigore e decidere». Nella gallery emerge il dato raccolto da un sondaggio di Youtrend secondo il quale gli under 35 sarebbero venuti a sapere, per la maggior parte, del referendum tramite Instagram. «Il voto dei più giovani può fare la storia». Nonostante le speranze di questi canali, però, chi ha meno di 35 anni rappresenta solo un terzo dei cittadini elettori, pur rappresentando circa il 65% degli iscritti alla piattaforma Meta in Italia. Uno squilibrio paradossale che genera il credo distorto, e un po’ illusorio, di poter utilizzare questa, e altre piattaforme per costruire un successo di campagna elettorale. Non solo: le interazioni su Instagram spesso riflettono comportamenti e opinioni che sono più che altro aspirazionali, anche se molto polarizzate, che non sempre coincidono con le scelte di voto reali. La bolla della bolla. Secondo uno studio compiuto negli Stati Uniti in occasioni delle presidenziali del 2020, un campione al quale erano stati “spenti” Facebook e Instagram, fatto leggere effetti «pari a zero» sulla polarizzazione affettiva e tematica, sulla legittimità percepita delle elezioni, sulla simpatia dei candidati e sull'affluenza alle urne. Altri studi hanno inoltre dimostrato come Instagram favorisca una polarizzazione di ascolto rispetto al dibattito politico, generando una sorta di “evitamento selettivo” di ciò che non si vuole sentire. E infine un altro paper, pubblicato su Journal of Information Technology Teaching Cases, spiega l’effetto delle “camera d’eco” nelle bolle dei social: ambienti in cui opinioni simili vengono ripetutamente rafforzate. Bolle ideologiche ben consolidate su Instagram ed evidenziate dalle dinamiche algoritmiche. Anche se non sempre completamente chiuse, queste bolle limitano l’esposizione a visioni divergenti, con effetti evidenti sulla percezione politica e la polarizzazione degli utenti. Instagram se la canta e se la suona.

«C’è un aspetto di mobilitazione di una parte già posizionata sullo spettro politico predeterminato. Questo lo vedi nelle regioni: c’è un Veneto che va ai seggi quanto la Calabria, meno di quasi tutte le regioni meridionali. Cosa che non capita nelle Politiche dove vota il centrodestra da trent’anni». A parlare è Pietro Sabatino, docente presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Federico II di Napoli, esperto di comportamenti elettorali. Proprio il voto a Napoli sottolinea questo paradosso: «è una città che, solitamente, alle politiche, si posiziona su record negativi di affluenza in relazione al resto del paese (alle ultime elezioni politiche è stata sotto di 14 punti percentuali sulla media nazionale di partecipazione nda), mentre questa volta siamo sopra la media nazionale. C’è stata una mobilitazione selettiva molto forte. È un mondo legato alle aree urbane e ai consumatori di social media, già posizionati in una sfera progressista. Una mobilitazione di un pezzo orientato politicamente che è forte in alcune aree e meno forte in altre». Il Veneto, con la sua scarsa partecipazione al referendum, rappresenta perfettamente questo fenomeno. Una regione dove il conflitto capitale-lavoro e i tassi di sindacalizzazione sono sempre stati bassissimi, del resto il Partito Comunista italiano lì non ha mai raccolto grandi risultati. «Prima di tutto, si vota meno in generale. E lo hanno dimostrato le politiche e le europee, e questa è una tendenza generalizzata. Rispetto al referendum del 2011, questo dimostra che esiste una società civile, tendenzialmente progressista, che si muove a prescindere dai partiti e sindacati: gruppi informali, associazioni e singoli. È una società civile che però» continua Sabatino «è un po’ più debole di allora e nelle condizioni attuali già un 30% può essere considerato un buon risultato». Instagram non è la realtà.
