L’8 e il 9 giugno gli italiani, quelli che decideranno di partecipare, saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque referendum abrogativi che toccano temi legati al lavoro e alla cittadinanza. I quesiti riguardano, nello specifico, il ritorno dell’articolo 18 per i licenziamenti illegittimi, l’eliminazione del tetto massimo per le indennità in caso di licenziamento ingiusto, l’obbligo di indicare una causale per i contratti precari, la responsabilità solidale nei subappalti e, infine, la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana dopo 5 anni di residenza anziché 10. Si tratta di quesiti tecnici, ma con un impatto diretto sulla vita di milioni di persone. Il dibattito politico che li circonda è acceso, anche se molti partiti, soprattutto quelli di governo, sembrano preferire la via dell’astensione. Per cercare di riflettere meglio sul significato di questo referendum, abbiamo intervistato Dacia Maraini, scrittrice, poetessa e saggista tra le più importanti del panorama culturale italiano. Con lei abbiamo discusso non solo dei contenuti, ma anche del linguaggio tecnico dei quesiti, del ruolo della politica nella partecipazione referendaria, dei rischi legati al mancato raggiungimento del quorum e del valore della cittadinanza in un'epoca di crisi della democrazia.

Maraini, stando alle previsioni, i cinque quesiti non raggiungeranno il quorum. Che ne pensa?
Io credo che il referendum sia uno strumento democratico che dovremmo usare di più. Non tanto quanto la Svizzera, forse, ma trovo un bene interrogare i cittadini in maniera semplice e diretta sulle decisioni più immediate della vita comune.
Nei giorni scorsi si è parlato di quesiti “tecnici” o addirittura “incomprensibili”. È davvero così? Il linguaggio giuridico dei referendum rischia di allontanare i cittadini dalla partecipazione?
A me i temi sembrano tutti piuttosto semplici, anche se gli specialisti, a sentirli, li rendono complicati e contradittori.
Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, ma spesso viene strumentalizzato dalla politica. In questo caso, ritiene che i promotori abbiano agito con intento politico o civico?
Penso che l'intento sia sociale. Ma purtroppo molti politici ci hanno "intinto il panuzzo", come di dice in Sicilia.
C’è la sensazione diffusa che i partiti, in particolare quelli di governo, stiano mantenendo un atteggiamento ambiguo: non invitano chiaramente al voto né al boicottaggio. È una strategia voluta?
Trovo grave che i rappresentanti del governo, coloro che dovrebbero rappresentare il peese, invitino a non votare. Il referendum, come ho già detto, è uno strumento civile e democratico. Poi ognugno vota come vuole. Ma invitare a non partecipare è un pessimo comportamento. Si dà per scontato che il voto conti poco e i cittadini non hanno mai voce in capitolo.

Il referendum abrogativo è spesso criticato perché richiede il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto, che negli ultimi decenni raramente è stato raggiunto. È giunto il momento di ripensare le regole del gioco?
Sì, penso che il quorum debba essere abbassato. Il 50% necessario è nato quando tantissimi andavano a votare. Ma ora che il voto è disertato, bisogna abbassare il quorum, altrimenti è come cancellare il referendum prima di farlo.
Quello della cittadinanza è un tema così discusso solo in Italia o anche all’estero? Pensa che questo tema venga troppo spesso confuso con l’immigrazione clandestina?
Infatti molti pensano che l'abbassamento da dieci a cinque anni sia un invito a tutti i clandestini di entrare nel paese e fare i comodi propri. Ma non è così. Si tratta di persone che vivono e lavorano in Italia e hanno diritto a essere riconosciuti. Se si comportano da delinquenti gli si toglie la cittadinanza. Si dovrebbe fare anche coi mafiosi e i trafficanti di carne umana.
Perché la gente non va più a votare?
L'informazione è scarsa e ridotta al minimo. Sopratutto è diventata una questione di bandiera. Non si ragiona abbastanza sui dati precisi che il referendum propone di abrogare.
Infine, quindi, qual è il suo appello?
Io andrò a votare e voterò 5 sì. Scoraggiare un voto popolare non fa bene al futuro del paese. Abbiamo bisogno di partecipazione, non di assenteismo irresponsabile.
