A Roma, il 12 giugno 2025, durante una manifestazione pubblica, Sigfrido Ranucci ha preso la parola per denunciare con forza gli effetti dell’accordo siglato tra Rai, sindacati e Unirai. Secondo il giornalista, “in trentacinque anni di storia della Rai non ricordo un accordo che, in un solo colpo, riesce a mettere le basi per svuotare il presente, ma svuota anche la memoria, il passato e il futuro”. Ha criticato aspramente la scelta della dirigenza di privare le reti delle trasmissioni storiche che hanno fatto inchieste, creato scoop e lanciato il nome della Rai in Italia e nel mondo. “Non credo che il Paese sarebbe la stessa cosa senza gli scoop di Chi l’ha visto, Telefono Giallo, Report, di trasmissioni come quelle di Santoro. Sono state l’unica palestra di giornalismo televisivo italiano”.
Il cuore della denuncia riguarda le conseguenze immediate dell’accordo: “Con questo tipo di accordo il primo effetto tangibile sarà questo: se mi si svuota la redazione di quindici persone che sono a partita IVA, sulle quali noi abbiamo investito per decenni – io personalmente, ma con i mezzi della Rai – a cui abbiamo insegnato a fare televisione, a raccontare il Paese, a proteggere anche la Rai da insidie legali, a essere coraggiosi e indipendenti... un investimento che con una firma viene cancellato di botto”. Ranucci ha inoltre sottolineato come tutto ciò vada contro lo spirito e le indicazioni del contratto di servizio della Rai, che prevede la valorizzazione del giornalismo d’inchiesta.
Le tensioni sono esplose nel momento in cui sono emerse le prime conseguenze del piano industriale Rai, che prevede tagli per contenere circa 27 milioni di euro in due anni. Tra le misure previste c’è la riduzione di diverse trasmissioni d’approfondimento, tra cui il taglio di quattro puntate a Report, la riduzione di due appuntamenti a Presadiretta, e la cancellazione di programmi come Agorà Weekend, Tango, Generazione Z, Petrolio, Il fattore umano e Rebus. Tutto questo, nonostante Report continui a garantire ascolti medi superiori al 9%, ben al di sopra della soglia del 3% prevista per gli show d’approfondimento. Proprio per questo, Ranucci ha parlato di un attacco non solo al presente della Rai, ma anche alla sua identità: “Un accordo che svuota programmi che hanno fatto la storia della Rai”, ha detto, aggiungendo che tutto questo avviene “in barba anche a quello che viene scritto nel contratto di servizio della Rai sulla valorizzazione del giornalismo di inchiesta”.
Il giornalista ha inoltre messo in evidenza il paradosso della situazione nelle sedi locali: “Sento adesso che colleghi che qui svolgono, in queste trasmissioni, il loro lavoro in maniera libera, devono andare nelle sedi regionali – che meritano il massimo rispetto – e ricevo telefonate dalle sedi regionali che vogliono venire a Report, perché di là non hanno lo spazio per fare giornalismo di inchiesta e non hanno lo spazio per raccontare delle notizie, perché c’è il politico, l’imprenditore o addirittura il criminale di turno che fanno pressione. Alcune volte le tre figure coincidono in una sola”.
Le sue parole hanno scatenato reazioni durissime. Il direttore della Tgr, Roberto Pacchetti, ha definito “gravissime” le affermazioni di Ranucci, parlando di “macigni senza riscontri” che rischiano di delegittimare il lavoro di centinaia di giornalisti locali. Anche l’Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai, ha espresso forte preoccupazione, affermando che il piano “svuota le redazioni e cancella l’identità costruita in questi anni”.
Nel frattempo, il comitato di redazione di Report ha espresso profonda inquietudine, arrivando a ipotizzare la sfiducia nei confronti del direttore dell’approfondimento, Paolo Corsini, per il ruolo avuto nell’approvazione del nuovo piano.
Mentre la dirigenza Rai difende l’accordo sostenendo che gli spostamenti sono su base volontaria e servono a coprire carenze di organico nelle sedi regionali, Ranucci insiste: si tratta di una decisione che compromette un’eredità professionale costruita in decenni, e che “con una firma viene cancellata di botto”.
