Teo Mammuccari che a “Belve” si sottrae platealmente a Francesca Fagnani, spiegando poi di aver temuto domande sui suoi familiari, probabilmente si è guadagnato un prossimo encomio pubblico da parte di Aldo Grasso, che in un video sul Corriere della Sera ha intanto (proprio nelle stesse ore) tenuto a ribadire che quelle di Report “non sono propriamente inchieste” ma – l’ha scritto già – mascalzonate: soprattutto perché “svolte” per strada molestando persone perbene… troppo riservate. Con il suo defilamento strategico e scomposto, il comico romano ha però ottenuto che sulla sua vita privata sia nato un interesse spropositato. Tutti vogliono – giustamente e ovviamente, secondo le ineluttabili regole del villaggio mediatico - sapere perché un personaggio pubblico non vuole che si parli della sua vita privata. Inevitabile che la gente si chieda subito cosa nasconde. Di qui la ricerca degli scheletri, per cui c’è stato chi su Instagram ha scovato un post lapidario ed enigmatico della ex compagna (“Tempo al tempo… prima o poi la maschera cade”) che è stato come gettare benzina sul fuoco. Adesso non c’è rotocalco che non stia rovistando in casa di Mammuccari per scoprire dove tiene la polvere. Molto più gli sarebbe convenuto rispondere a tutte le domande scomode piuttosto che porre un veto, perché la tendenza del pubblico è di farsi i fatti dei vip senza distinguere tra sfera privata e professionale, anzi preferendo sapere mille volte più della prima che della seconda. I settimanali di gossip non vivono forse proprio di questo dato di natura? E l’epopea dei paparazzi non celebra forse la più smaccata violazione della privacy?
A maggior ragione, non è possibile alcuna distinzione tra pubblico e privato che riguardi un uomo politico o comunque una personalità o un dirigente di un ente statale, se il costume televisivo ha ben abituato a vedere persino anonimi privati nel mirino di giornalisti che li inseguono per strada o bussano in casa loro come dame di San Vincenzo o piombano davanti ai loro tavoli di lavoro per avere risposte private a domande di interesse pubblico. “Striscia la notizia” e “Le Iene” hanno fatto scuola. Ancor di più la prassi televisiva, giornalistica e non (vedi Staffelli che consegna tapiri solo per strada, le interviste ai passanti senza liberatorie, quelle ai testimoni occasionali e giudiziari nei Tg…), insegna che sono più eloquenti, oltre che più spettacolari e televisivamente efficaci, i tenaci silenzi opposti ai microfoni che le tirate egolatriche ed apologetiche da colpi di sonno. Storico e pezzo iconico della televisione è diventato il mutismo di Enrico Cuccia, presidente Mediobanca, che nel 1995 percorse mezza Milano con la telecamera appresso tenendosi zitto e ignorando la filza di domande che gli rovesciava addosso l’inviato di Striscia. Epperò sarà proprio lo stesso inviato del sedicente telegiornale satirico” a essere nel 2013 condannato dalla Cassazione a risarcire Marina Ripa di Meana per averla attesa nel 1994 sotto casa allo scopo di rivolgerle “domande tendenziose, provocatorie ed ingiuriose, senza darle la possibilità di sottrarsi”. Secondo la massima corte il tampinamento non era inteso a fini giornalistici ma per suscitare reazioni emotive che facessero show. Ecco allora il discrimine, che Aldo Grasso vuole ignorare: la natura giornalistica di quella che egli chiama “mascalzonata”. I Reporter di Ranucci hanno tampinato per strada i due funzionari del ministero della Cultura per avere risposte sul caso Sangiuliano-Boccia o per metterli deliberatamente alla berlina? E dunque: le loro sono “propriamente inchieste” o no? Il termine “inchiesta” etimologicamente significa “cercare dentro”, dunque chiedere, interrogare: quello che esattamente hanno fatto i giornalisti di Report. I quali devono per soprammercato rispondere alla Commissione di vigilanza Rai e alla Procura di Torre Annunziata della conversazione tra l’ex ministro, allora in carica, e la moglie messa in onda e probabilmente fornita dalla Boccia che l’ha registrata dal vivo. A ben vedere, quel file audio ha violato la privacy dei due coniugi non più di quanto l’intervista di Sangiuliano al Tg1 in prima serata ha violato quella della Boccia, trascinata in piazza senza la possibilità di replicare.
E del resto: se le amene e privatissime chiacchierate di Berlusconi con “olgettine”, procacciatori e compagni di alcova furono rese note senza risparmio alcuno di dettagli cochon, fino all’epico “bunga bunga”, e senza conseguenze per i loro – e furono tante le testate giornalistiche – propalatori, anzi toccò all’allora premier doversi presentare ai giudici, perché adesso, della divulgazione di un documento il cui rilievo pubblico è provato dal rumore suscitato, sono chiamati a rispondere i suoi artefici? Piuttosto che esecrare ancora di più la condotta di un ministro che si piega, su pressione della “amica”, a telefonare alla moglie per dirle della loro relazione, attivando pure il vivavoce, viene deplorata una trasmissione che consegna alla storia una pagina certamente di conto del libro “Come si viveva al tempo del governo Meloni”. Sangiuliano avrebbe dovuto fare come Mammuccari: scappare. Innanzitutto dalla Boccia. Non lo ha fatto, scegliendo di sbatterci la testa, e ora a pagarla deve essere Report che ha detto solo la verità, rivelandola come Apollo? Qualcuno ha ventilato a carico di Ranucci & C. il reato di “interferenze illecite nella vita privata altrui”, disciplinato dall’art. 615 del Codice penale, senonché la norma subordina il concetto di vita privata a quello di dimora privata, intesa come luogo perlopiù chiuso, quindi la propria casa, ma dalla giurisprudenza esteso agli spazi anche lavorativi e persino ricreativi. Vietato è per esempio filmare quanto avviene nell’ufficio di fronte e un’aggravante è diffondere il video. Nel caso della telefonata tra Sangiuliano e la moglie, la supposta interferenza si sarebbe avuta nella sfera di due persone tra loro distanti. La dottrina è concorde nel ritenere che nell’esempio di due coniugi uno dei quali parli con un terzo (in casa o all’aperto) e l’altro ne registri la conversazione, il reato non si ha se chi aziona il registratore è presente alla conversazione e vi partecipi. Questo principio vale anche per le telefonate registrate, come quella che la Boccia avrebbe (condizionale obbligatorio) realizzato e passato a Report. È stata presente, ma virtualmente e parzialmente, perché non ha partecipato alla conversazione e ha agito all’oscuro della moglie. La domanda a questo punto è se Sangiuliano sapesse o meno che la Boccia stava registrando la chiamata. Anche se ne era ignaro, azionando il vivavoce ha consentito intenzionalmente alla Boccia di ascoltare. Ora, avendo nel 2007 la Cassazione stabilito che usare un registratore equivale a memorizzare una conversazione, Sangiuliano non ha che messo la sua “amica” nella posizione di chi ascolti e prenda appunti. In definitiva quindi Report si trova a dover rispondere, avendo divulgato l’audio, di un fatto avvenuto legalmente: non c’è stata interferenza perché non si applica l’art. 615 C.p., mancando il presupposto della dimora privata, e la registrazione telefonica è stata legittima, anche se eticamente molto biasimevole sia per lui che per lei, perché consentita. Quanto al fatto che poi sia stata utilizzata pubblicamente, vale il principio di prevalenza dell’interesse pubblico su quello privato sancito non dal Codice ma dal Canone della consuetudine consolidata. Si può infatti essere certi che Report non avrebbe mai messo in onda, per sola morbosità, un battibecco tra marito e moglie che fossero stati due quisque de populo.