Guardando i reel di Thomas Macorig, ascoltando i podcast, abbiamo dinanzi il medesimo protocollo di motivazioni. Da vincente, inscalfibile, di una tenacia con poche applicazioni nella vita, perché ne tradisce la peculiarità. La tenacia sbarra arroganza. Ma è un metodo, state attenti. Un metodo. Una di quelle cose che qualcun’altro per una questione di interesse proprio intende trasfondere a un soggetto terzo. Una lezioncina, con agli albori precedenti fastidiosi. Venditori di enciclopedie, aspirapolveri, insistenza da Testimoni di Geova. Thomas ha vent’anni, viene da Udine. Neanche a ribadirlo, dice che vive a Dubai. Anche lui. Identica trafila. Un lessico imbastardito di inglesismi: skill, reselling, brand, drop shopping, network marketing, general store. Eccetera.
Allure da sportivo. Intelligente, dinamico. Terrori che non diventano mai virtù, perché dicevo non somigliano a una destinazione reale, ma a un metodo, appunto. Eppure non dobbiamo arrabbiarci, indignarci, con la ragione che questi ragazzi spendono parole per esempi biasimabili. Un refrain del capitale in quanto unico valore, peraltro molto datata come questione, da cui non ci siamo mai allontanati, ognuno per fatti nostri, se volessimo essere onesti fino in fondo. I soldi. Punto. Averne o non averne. E finisce là. Tutto dipende da quanti ne hai nella tua vita. Per comprare la felicità, fidelizzare le gratificazioni, avvicinarsi o bordeggiare un’idea quantificata dell’amore persino. Paradossalmente, segretamente, è l’indirizzo che chiosa su ogni esistenza. Di recente su MOW hanno intervistato un professionista che ha spiegato molto bene il dietro le quinte dei giovani brillanti imprenditori dell’ecommerce. Una realtà prevedibile, una specie di sistema di scatole cinesi dove i giovani “reclutati” non sono altro che lo specchietto per le allodole. Un gioco che fa paura, che diventa un giogo, un massacro di innocenze, desideri e ambizioni legittime.
Che fine fanno i giovani brillanti imprenditori dell’ecommerce? Dopo intendo. Dopo il fallimento, la polverizzazione della chimera venduta ai coetanei sopra cui attecchisce, come gramigna dai fiori sorprendenti, mai visti, insidiosi, fasulli. Eppure li vedi articolare ottime conversazioni, pontificare con eloquenza manageriale, da dietro lo schermo, seduti al tavolo di un ufficio nudo e desolante, riferiscono, nella hall di un albergo esclusivo di Dubai. Non andremo a indagare lo sguardo privo di guizzi di purezza e svagato, distratto da possibilità indicibili e nuove come la stagione della giovinezza. Piuttosto noteremo lo sguardo fisso, inceppato nel loop e negli inglesismi a sciorinare, in un imbuto vuoto. Non è un fenomeno contemporaneo e inedito. Cosa deve sorprenderci? Wanna Marchi vendeva lo scioglipancia, con accanto un santone brasiliano del quale – a inchiesta della procura aperta - si sono perse le tracce. Scioglipancia capite? E i venditori di aspirapolveri e ogni diavoleria con inceppamenti mirabolanti che imbandivano corsi di formazione a ragazzotti imbambolati, disoccupati in erba, creduloni, scansafatiche, morti di fame, erano così distanti dai nostri valorosi? Di solito con costoro non si vedeva mai un soldino, e i venditori di fumo sapevano sparire molto bene, secondo la prassi o il vademecum anzi del “buon truffatore”. Thomas parla di skill, in luogo di abilità. La sua skill migliore è vendere. Saper vendere e ancor prima comunicare. Assicura: non rimarrei mai senza soldi. Per farne cosa? Se il suo mondo luccicante che può prefigurare, visto che dice di lavorare anche sedici ore al giorno, fosse fattibile, esistente, in quale misura riuscirebbe a collocare l’adeguata equazione e cioè vita uguale soldi uguale felicità? È la domanda delle domande, la più abusata e ovvia. La vera domanda è: dov’è la risposta?