Nel grande risiko della finanza italiana, i colpi si fanno sempre più duri. Sul ring, UniCredit, Banco Bpm e Mps, ma l’ombra lunga che avvolge la contesa è quella del leone alato, il vero trofeo che tutti vogliono conquistare: Generali. Il cuore della finanza italiana, il bottino finale?
Il nodo che può far saltare tutto: il Danish Compromise
Al centro della battaglia c’è il cosiddetto Danish Compromise, un escamotage contabile che può decidere chi resta in piedi. Come spiega Milano Finanza, questa misura, introdotta nel 2012, permette alle banche di ridurre l’assorbimento di capitale quando acquisiscono compagnie assicurative, aggirando i paletti del regime di Basilea 3. Senza il via libera della Bce, le mosse di UniCredit, Banco Bpm e Mps rischiano di naufragare.
Ma c’è di più. La decisione non è solo tecnica: richiede il via libera del governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, e, se arrivasse un no, il domino sarebbe letale: salterebbero l’opa di Banco Bpm su Anima, l’ops di UniCredit su Banco Bpm e quella di Mps su Mediobanca, lasciando solo la resa dei conti su Generali, prevista per l’assemblea dell’8 maggio (MF-Milano Finanza).
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Orcel sferza, Castagna risponde colpo su colpo
La battaglia si è accesa quando UniCredit, guidata da Andrea Orcel, ha minacciato di ritirare l’ops su Banco Bpm se il Banco non ottenesse il Danish Compromise per l’opa su Anima, paventando una voragine patrimoniale: «Senza il Danish Compromise, l’impatto sul Cet1 di Banco Bpm sarà di 268 punti base».
Ma la replica del ceo di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, è stata feroce: «UniCredit insinua dubbi sulla nostra offerta e sulla sua redditività, ma non chiarisce la sua posizione su Commerzbank, Generali e sull’esposizione alla Russia». Non è solo una difesa: è un attacco diretto alla trasparenza del colosso di Orcel.
La replica di Banco Bpm è chirurgica. Da una parte, rassicura il mercato: «Manterremo un Cet1 superiore al 13%, anche senza il Danish Compromise» (Milano Finanza). Dall’altra, smonta le insinuazioni di UniCredit: «I calcoli di UniCredit sugli impatti patrimoniali sono errati e fuorvianti» (Milano Finanza).
Ma non basta. Castagna, colpendo al cuore, mette in discussione la strategia di Orcel, insinuando che UniCredit stia nascondendo i propri rischi. E lo fa con tre domande velenose:
- Cosa nasconde UniCredit su Commerzbank?
- Perché non chiarisce i piani su Generali, dove ha già il 5,2%?
- Quanto pesa davvero l’esposizione in Russia?
Il Banco sottolinea: «L’esposizione russa di UniCredit è ancora stimata in 55 punti base, nonostante gli accantonamenti. I nostri azionisti devono sapere quali rischi stanno correndo» (Milano Finanza).
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Il bersaglio grosso: Generali
Ma al di là degli insulti, il bersaglio sembra essere anche il controllo di Generali, il colosso delle assicurazioni che vale molto più delle singole prede bancarie. Qui entrano in gioco Mps e Mediobanca, la cassaforte di Trieste.
Mps, guidata da Luigi Lovaglio, vuole Mediobanca, perché controlla il 13% di Generali. Ma anche per Mps serve il Danish Compromise, e la partita si gioca sul filo della vigilanza della Bce e di Bankitalia. Se il diniego arrivasse anche per Siena, tutto il risiko crollerebbe, lasciando in piedi solo la sfida finale su Generali tra i big della finanza:
- Da una parte: Mediobanca con Nagel e Donnet (attuale ceo di Generali).
- Dall’altra: Delfin (la holding di Caltagirone) pronta a ribaltare il tavolo.
La Consob osserva, l’assemblea di Generali deciderà
Con le accuse di comunicazioni fuorvianti e prezzi distorti, c’è chi ipotizza un intervento della Consob per fare chiarezza. Ma il vero verdetto sarà politico e finanziario: l’8 maggio, all’assemblea di Generali, si deciderà tutto.
Caltagirone contro Nagel e Donnet, UniCredit con il piede in due scarpe, Mps pronta al colpo grosso. Il risiko, iniziato tra banche, finirà tra leoni, alati e non. E alla fine, chi avrà in mano Generali avrà in mano l’Italia della finanza?
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