Il grande gioco della finanza italiana si infiamma. La battaglia tra Unicredit e Banco Bpm per il controllo degli asset strategici entra in una fase critica, segnata da avvertimenti, accuse e il concreto rischio di uno strappo. Al centro del conflitto, un nodo apparentemente tecnico, ma che cela profonde implicazioni politiche ed economiche: l’aumento del prezzo dell’opa su Anima e il cosiddetto Danish Compromise, un meccanismo che potrebbe garantire a Banco Bpm un beneficio contabile decisivo.
L’avvertimento di Orcel: "Non giochiamo a rialzo"
Con una mossa senza precedenti nel pieno di un’offerta pubblica, Unicredit ha lanciato un segnale forte agli azionisti di Banco Bpm. Se l’assemblea del 28 febbraio ratificasse l’incremento del prezzo dell’opa su Anima da 6,2 a 7 euro senza aver prima ottenuto il via libera della Bce al Danish Compromise, il rischio sarebbe quello di un bilancio più fragile e meno appetibile per Piazza Gae Aulenti. La banca guidata da Andrea Orcel è stata chiara: una simile decisione potrebbe minare la stabilità patrimoniale di Banco Bpm e, di conseguenza, portare al ritiro dell’ops da 10,1 miliardi.
La nota diffusa il 17 febbraio non lascia spazio a interpretazioni. Se il Danish Compromise non venisse applicato, l’impatto dell’operazione Anima si tradurrebbe in un calo del coefficiente patrimoniale Cet1 dal 13% al 12,32%, con il rischio di una discesa ulteriore fino all’11,38%. Unicredit si chiede, senza mezzi termini, «quali siano le azioni di mitigazione» previste da Banco Bpm «al fine di mantenere il proprio ratio Cet1 più alto del 13% e un payout ratio dell’80% degli utili, come previsto dal piano industriale» (fonte: Milano Finanza).
Tradotto: Banco Bpm sta giocando una partita ad alto rischio e, se l’aumento del prezzo dell’opa su Anima andasse in porto senza certezze sul Danish Compromise, Unicredit potrebbe ritirare la propria offerta. Un colpo che avrebbe effetti devastanti sulle quotazioni del titolo Banco Bpm e sull’intero risiko bancario italiano.
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Castagna risponde: "Influenzano i nostri soci"
La reazione del numero uno di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, non si è fatta attendere. Intervenuto su Bloomberg TV, il banchiere ha definito la presa di posizione di Unicredit come «accuse pericolose per influenzare i nostri soci» in vista dell’assemblea cruciale del 28 febbraio. Per Castagna, Orcel sta conducendo un’abile strategia di pressione, cercando di orientare il voto degli azionisti in una direzione favorevole a Unicredit. Ma Banco Bpm non ci sta e, oltre a respingere le accuse, minaccia azioni legali. «L'affermazione che non otterremo il Danish Compromise in relazione all'opa su Anima è una notizia completamente falsa», ha dichiarato Castagna, precisando che la banca milanese vuole accelerare il proprio processo di crescita senza dipendere dalle decisioni della Bce (fonte: Milano Finanza).
L’obiettivo? Rafforzare Banco Bpm come istituto completo, senza vincoli esterni. Ecco perché l’aumento del prezzo dell’opa su Anima non è solo una questione finanziaria, ma una mossa strategica per consolidare il proprio posizionamento nel mercato.
Il rischio di un terremoto finanziario
Lo scontro tra i due colossi del credito non è solo un duello di dichiarazioni. Se Unicredit decidesse di ritirare l’offerta su Banco Bpm, gli effetti sarebbero immediati e potenzialmente dirompenti. Il titolo del Banco potrebbe subire un tracollo in Borsa, con ripercussioni anche sulle altre partite in corso, a partire dal dossier Generali.
Inoltre, un’eventuale marcia indietro di Unicredit rimetterebbe in gioco il risiko bancario, aprendo la strada a nuovi equilibri e possibili operazioni alternative. Non è un caso che, dietro le quinte, si vociferi già di altre banche pronte a entrare in scena qualora l’ops su Banco Bpm dovesse naufragare.
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Il verdetto passa dai soci
La data chiave è il 28 febbraio, quando gli azionisti di Banco Bpm saranno chiamati a decidere se accettare il rilancio su Anima. Sarà il momento della verità per la strategia di Castagna, che dovrà convincere i suoi soci che il gioco vale la candela.
Ma il rischio è alto. Se il Danish Compromise non arrivasse, l’operazione potrebbe tradursi in una debolezza strutturale per Banco Bpm, rendendola meno attraente agli occhi di Unicredit. E, se Orcel dovesse davvero ritirare l’offerta, il colpo per Piazza Meda sarebbe pesantissimo.
Sullo sfondo, resta la grande incognita delle mosse della Bce, arbitro silenzioso ma decisivo di questa partita. Una cosa è certa: la sfida tra Unicredit e Banco Bpm segna un passaggio cruciale per il sistema bancario italiano. E il finale è tutt’altro che scritto.