A due giorni dal crollo, sulla Marmolada continuano le ricerche dei dispersi. Sette persone sono morte, cinque non si trovano ancora. Così sono intervenuti i droni, le squadre di soccorso, le unità cinofile. Tutt’attorno un brusio di accuse e congetture e, mentre l’Italia scopre i glaciologi, Mario Draghi visita i parenti. Tutti italiani, molti del vicentino. Piccole città in cui ci si conosce, specialmente quando ci si trova con una passione in comune come quella della montagna che per natura impone di lavorare in gruppo. Tra loro anche Lara Rosa, infermiera all’ospedale di Santorso, che contattiamo al telefono. Ha girato il mondo per vedere le montagne, ma per rispetto di chi ne fa un mestiere preferisce non parlarne: “Non mi definirei un’alpinista, anche se ho dedicato buona parte della mia vita alla montagna. Sono stata in Perù, in Ecuador, in Bolivia… Usavo lo sci alpinismo per viaggiare, quindi ho sciato in Islanda, in Norvegia, in Turchia, in Marocco. Ho usato questa mia passione per vedere un po’ il mondo”, racconta. “La mia prima spedizione è stata in Bolivia, tanti anni fa, quando non c’era ancora tanto turismo. La discesa più complicata invece è stata la Busazza, con gli sci. Mentre la salita più difficile è stata l’Ober Gabelhorn, di quattromila metri. Tutte, comunque, affrontate insieme ad alpinisti esperti”. Come molti appassionati della zona, Lara conosce bene la Marmolada: “Credo di averla scalata più di trenta volte: punta Penia almeno sei, mentre Punta Roca sicuramente una ventina. È una salita che si fa molto volentieri con gli sci”.
Poi racconta di una delle vittime, Paolo Dani, con cui si era trovata a scalare più di una volta: “Conoscevo bene Paolo, avevo una stima immensa nei suoi confronti sia come persona che come professionista. Era una guida alpina, ma anche istruttore dei soccorritori nell’alto vicentino. Teneva i corsi di aggiornamento per il soccorso alpino di varie squadre. Con Paolo ho fatto un corso di arrampicata e l’ho incontrato più volte nelle palestre di roccia. Lui aveva questo modo di dire, ‘fa pulito’, in dialetto. Vuol dire fai bene, a modo, prenditi il tempo che ti serve. Era una persona estremamente umile, con un modo pacato e gentile di invitare le persone ad essere prudenti. Non era mai saccente. E non potevi che ascoltarlo nonostante il fatto che non urlasse mai. Mai”.
Lara spiega che, a suo modo di vedere, il crollo non era prevedibile, come ci ha raccontato anche Alessandro Gogna: “Quello che mi dispiace è che adesso stiano facendo una grande ricerca su cause e concause. Ma non sono d’accordo con un grande alpinista (Reinhold Messner, ndr) che ha detto che era prevedibile. Poteva essere ipotizzabile, ma non prevedibile. Perché se fosse stato così quel ghiacciaio sarebbe stato monitorato come succede sul Monte Bianco in Val d’Aosta. Se guardiamo alle montagne in cui si sale, quella domenica chi poteva è salito in quota perché il tempo era stabile”.
Messner infatti, oltre a mettere l’accento sul cambiamento climatico, ha parlato anche di mancanza d’esperienza, dicendo che “un bravo alpinista non va sotto un saracco in quel modo: “Un alpinista bravo non ci va perché sceglie altre sfide - ci risponde Lara - È una salita di 3.000 metri, ma non ci sono pericoli. Se fossero andati senza clienti sarebbero andati di notte e l’avrebbero fatta in un paio d’ore”.
Le chiediamo se può essere stata una valutazione poco attente delle guide, o se - come succede nelle catene montuose dell’Asia - gli accompagnatori hanno scelto di salire per non farsi mancare il lavoro: “Mi sembra impossibile”, risponde. “Se hai dei clienti nuovi che non conosci, se la giornata non è gelida è più comodo per loro e più faticoso per te che fai la guida. La guida alpina deve stare al ritmo di chi accompagna, perché il cliente non è un essere a sé, la cordata è un corpo unico. Di certo non era un buon momento perché il ghiaccio era brutto, la montagna asciutta. Io non faccio quelle salite perché mi spiace calpestare il ghiaccio quando è così e non ci si va mai da soli. I crepacci sono aperti, ma in Marmolada - a parte quello nel tratto finale - non sono abbastanza grandi da finirci dentro. Il pericolo oggettivo non c’era, la possibilità di slavine nemmeno perché mancava neve. La valanga era impossibile. Poteva esserci stata una scarica di sassi, ma quella la senti e la eviti. Se tornerò sulla Marmolada? Penso che adesso chiuderanno per monitorare, quel ghiacciaio è scoppiato. Però si, ci tornerò appena sarà sicura. A me piace la montagna perché mette tutti umanamente allo stesso livello”.