Era il 2018 quando Luca Traini prese la sua Alfa Romeo, una pistola, e andò in giro per il maceratese sparando in strada alle persone di colore che incontrava. Una Glock 17 e l’intenzione di vendicare la morte di Pamela Mastropietro, per la cui morte era stato accusato un ragazzo nigeriano. Ai tempi di parlava di mafia africana, di immigrati impuniti e di “controllo degli extracomunitari”. Luca Traini, che era candidato con la Lega, ferì diverse persone prima di consegnarsi, davanti al monumento dei Caduti di Macerata, in posa mentre faceva il saluto romano. Sono passati quattro anni e lui sta scontando una pena di 12 anni per strage con l’aggravante dell’odio razziale. Ma nel frattempo ha partecipato ad alcuni laboratori di poesia, gestiti dall’associazione Nie Wiem, e di recente è risultato terzo classificato a un poetry slam che potrebbe valergli la finale regionale. La notizia ha destato scalpore, per via dei crimini per cui era stato condannato e anche contro l’associazione, che si sarebbe fatta pubblicità. Ma le cose stanno diversamente e lo abbiamo chiesto al presidente dell’associazione, il poeta Valerio Cuccaroni. Per capire di cosa si tratta si deve scavare tra i messaggi dei classici come Doestoevskij e comprendere l’impegno sociale per una riforma delle carceri che Nie Wiem porta avanti: «Immagina se i detenuti fossero tutti laureati». E sulla seconda chance a Traini? Per Cuccaroni si tratta di fare, realmente, antifascismo militante.
Sei tra i curatori di un progetto che fa scrivere poesie ai detenuti. Ce ne parli un po’?
Si chiama Ora d’aria, iniziò nel 2017 con un poetry slam, organizzato dalla nostra associazione Nie Wiem con il sostegno del Garante dei Diritti della Persona delle Marche, nell'ambito del festival di poesia totale La Punta della Lingua. Dopo alcuni anni in cui abbiamo usato altri generi poetici, quest’anno abbiamo indirizzato i laboratori alla preparazione dei carcerati a un nuovo poetry slam, com’era in origine, cinque anni fa. Chi si qualifica allo Slam, potrà partecipare, se gli accorderanno il permesso di uscire, alle finali regionali.
Ma come ci è finito Luca Traini a leggere poesie?
Luca Traini partecipò a un laboratorio di Ora d'aria, già, nel 2019, quando era a Montacuto, uno dei due carceri di Ancona (ora è a Barcaglione), ma in quell’occasione era ancora il Traini immerso in quel mondo razzista per cui era diventato un punto di riferimento. Riceveva lettere in carcere e aveva una corrispondenza. Quella volta a metà laboratorio decise di uscire perché diceva di dover andare a rispondere ai suoi fan. Quest’anno lo abbiamo ritrovato a Barcaglione e abbiamo visto una persona molto diversa da quella che avevano incontrato anni prima. Ha partecipato a tutti gli incontri del laboratorio, dall’inizio alla fine, e ha chiesto persino un incontro in più per prepararsi meglio. Ha titubato prima di partecipare allo slam, perché scosso da come era stato trattato dal programma Cronache criminali. Avendo potuto riflettere sui suoi errori, li ha riconosciuti come tali e non si riconosce più in ciò che era nel 2018. Nella seconda poesia che ha letto allo Slam, dopo aver elogiato le bellezze delle Marche, ha concluso dicendo che lui non può goderne perché ha commesso uno sbaglio.
Un redento che ora scrive versi.
Non vogliamo farlo passare per un poeta affermato o un poeta redento. È una persona che ha partecipato a un laboratorio e ha lavorato scavando nella sua interiorità. Sono emersi anche i suoi traumi, oltre alla situazione sociale di carcerato, che non è certo idilliaca.
Che tipo di traumi?
Per esempio aveva un rapporto con la morte che lo portava a non averne paura e a sfidarla. Ora ha iniziato a prendere le distanze da quell'atteggiamento.
Ma che lettore è Traini?
Ha interiorizzato la visione della mitologia nordica nazista e romana fascista. Per dire, in biblioteca leggeva Il legionario di Gordon Doherty. Nel laboratorio lo abbiamo invitato a staccarsi un po’ da quel mondo per imparare a vedersi da fuori e a scrivere a partire dalle piccole cose del quotidiano, da ciò che ha realmente vissuto, senza andare a pescare da miti defunti e astratti furori.
E ci è riuscito?
Grazie a questo spunto ha ragionato sulla possibilità di scrivere una poesia legata ai suoi occhiali da vista. A scuola, quando era ragazzo, fu bullizzato per via dei suoi occhiali, che indossa perché vedeva poco da un occhio. Il primo atto di violenza è stato proprio quello in reazione al bullo che lo maltrattava per gli occhiali. Questo stesso oggetto è stata l’ultima cosa che Traini ha riposto in macchina prima di consegnarsi alle autorità, al monumento dei Caduti, facendo il saluto romano. "Quegli occhiali - ci ha detto - hanno visto scorrere davanti a loro la mia vita". È il correlativo oggettivo, teorizzato da di T. S. Eliot, che lo aveva invitato a cercare Luigi Socci, con cui conduco il laboratorio. Uno spunto poetico che partiva da oggetti definiti e presenti nella sua vita.
Quali letture che gli avete consigliato lo hanno colpito?
Abbiamo letto molti poeti insieme, però in nostra assenza gli abbiamo consigliato di leggere due romanzi. Il primo era Lo straniero di Albert Camus, perché la letteratura deve funzionare come mezzo di straniamento: questo effetto potrà prodursi in lui confrontandosi con un personaggio che, pur essendo molto diverso, è come lui orfano di madre e implicato in una sparatoria che lo condurrà in carcere, dove, dopo aver picchiato un prete, ha una sorta di illuminazione. Il romanzo si chiude con una presa di coscienza. L’altro libro è Delitto e castigo di Dostoevskij. In questo caso abbiamo Raskol'nikov che uccide un'anziana, per ragioni del tutto diverse ma alla fine confessa quello che deve confessare e va in carcere.
Sono romanzi impegnativi.
Il vero problema in realtà, ed è lui ad averlo notato, è che questi romanzi nella biblioteca del carcere non ci sono. Per questo, dopo avergliene parlato, glieli porteremo noi. Sono strumenti, speriamo, che lo aiuteranno ad avviare un processo di riabilitazione, non stiamo immaginando una fulminazione sulla via di Damasco o cose del genere. La cultura agisce sui tempi lunghi e in un carcere è fondamentale.
Perché?
Perché altrimenti il carcere sarebbe soltanto una scuola del crimine. Le attività culturali, è bene che si sappja, rientrano tra le attività trattamentali che sono fondamentali per la riabilitazione dei detenuti. E infatti i dati ci dicono che i detenuti che si laureano hanno un tasso di recidiva molto inferiore rispetto a quelli che non si laureano. Nell'ottica che noi italiani, con Beccaria, abbiamo insegnato al mondo il carcere non deve servire a punire ma a formare. Cosa succederebbe se tutti quelli che sono in carcere potessero prendere una laurea prima di uscire? Innanzitutto ci troveremmo in un Paese con un maggior numero di laureati, come i paesi più avanzati; in secondo luogo – se i dati venissero confermati – avremmo meno recidive. C’è, quindi, anche un aspetto pragmatico da tenere in considerazione. Noi paghiamo, con le imposte, la vita in carcere a migliaia di persone, pertanto senza creare delle reti formative il danno che creiamo è doppio per la società: da un lato i detenuti non avranno acquisito nessun mezzo per cambiare vita, dall’altro la comunità dovrà continuare a pagare quando torneranno dentro, come accade nel 62% dei casi.
Un carcere come luogo di formazione sembra essere lontano dalla nostra idea di detenzione.
Dobbiamo muoverci in un’ottica di superamento del carcere per come lo conosciamo. Abbiamo davvero bisogno di strutture così grandi in cui radunare centinaia di persone che si confrontano tra loro sui crimini commessi e da commettere? Non sarebbero meglio strutture locali, territoriali, in cui queste persone possano scontare la propria pena studiando e lavorando per non commettere altri reati?
C’è chi non ha apprezzato che abbiate fatto partecipare un detenuto come Traini.
Non siamo noi a scegliere chi partecipa. Non ci spetta e non è corretto. Rispondo da giornalista al fatto che è stato svelato il nome di Traini: quando un personaggio è pubblico, non è un detenuto anonimo, sconosciuto. Essendo rientrato nel novero dei classificati, non dichiarare il nome di Traini sarebbe stata una censura. Dal momento che dei due poeti uno era già qualificato alla finale regionale, se l'altro, per un qualunque motivo, rinunciasse, allora il posto spetterebbe a Traini in quanto terzo.
C’è anche chi dice che in questo modo dareste una seconda chance ai fascisti.
È l’altra obiezione, rivoltaci da molti antifascisti militanti. Sostengono che associare il nostro nome a quello di Traini faccia cattiva pubblicità a noi e buona pubblicità al Traini fascista e razzista. Io comprendo questa reazione. Però Traini è una persona carcerata che ha partecipato a un laboratorio insieme ad altre persone detenute come lui, di cui noi non sappiamo i crimini e non ci interessano. Li consideriamo come partecipanti ai laboratori. La nostra associazione è antifascista e promuove l'antifascismo ma non possiamo aggiungere arbitrariamente una pena a un'altra pena, che Traini sta già scontando, affinché si realizzi l'oblio o la gogna mediatica. Infine, dov’è l’umanità se una persona che si dissocia da crimini di quattro anni prima, non può essere riabilitata? È una norma che vale per tutti quelli che sono in carcere, compresi i pentiti di mafia.