Per chiamarlo risiko, ora, ci vuole una bella immaginazione. Quel che accade fra le maggiori banche italiane sembra più simile a un intreccio di macchinazioni da cospirazioni dell’Antica Roma, dove chi ambisce ad essere il più grande rischia di beccarsi una stilettata in mezzo alle scapole. Mentre il countdown per l’assemblea di Mediobanca del 16 giugno si accorcia, a Piazzetta Cuccia, si stringono le fila. L’ad Alberto Nagel, in abito scuro e nervi saldi, ha radunato il patto di consultazione – l’11,87 per cento del capitale – per spiegare l’operazione Banca Generali: un’offerta pubblica di scambio (ops) che, più che strategica, pare tattica, pensata per alzare le difese contro Monte dei Paschi di Siena (Mps). “L’assemblea dei partecipanti ha apprezzato il forte razionale industriale e finanziario alla base dell’operazione”, si legge nel comunicato finale. In altre parole: un sì politico al blitz. Nonostante il lutto improvviso per la scomparsa di Angelo Casò, storico presidente del patto, i soci – da Mediolanum al gruppo Pecci, passando per lo stilista Aspesi – hanno fatto quadrato. Ma il socio Francesco Gaetano Caltagirone, col suo 7 per cento ha già dichiarato battaglia: vuole più trasparenza e chiederà un rinvio dell’assemblea. La mossa è un invito neanche troppo velato alla Consob, che potrebbe pretendere più chiarezza da Mediobanca. In gioco non c’è solo l’acquisizione di una controllata, ma il controllo di Generali e la sopravvivenza del modello Piazzetta Cuccia. La merchant bank milanese, a sua volta nel mirino di Mps, deve sottostare alla passivity rule, ma intanto prova a conquistare il mercato. Il titolo Mediobanca ha già guadagnato l’11 per cento dall’annuncio dell’operazione. Dietro le quinte, il pallottoliere scotta: Delfin (20 per cento) gioca di rimessa, i Benetton sono in silenzio, le casse previdenziali si muovono sotto traccia. Il grosso lo farà il mercato, quel 50 per cento sparpagliato tra fondi e retail, molti dei quali stanno rastrellando azioni solo per farsi sentire al voto.

Ma non c’è solo Mediobanca nella grande sfida bancaria. A sparigliare le carte ci pensa anche Andrea Orcel, il ceo dal pugno d’acciaio di Unicredit, che a sorpresa ha ritirato la richiesta di sospensiva al Tar contro il decreto del 18 aprile con cui Palazzo Chigi ha imposto il Golden Power sull’ops lanciata da Piazza Gae Aulenti su Banco Bpm. Mossa distensiva? Per ora solo in apparenza. L’istituto ha annunciato che il ricorso resta in piedi, ma sarà discusso nel merito il 9 luglio. Orcel prende tempo, giura di voler “dialogare”, ma nel frattempo continua a farsi largo a colpi di carte bollate. “Ancora una volta confusione e incertezza”, ha sbottato l’ad di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, secondo cui Unicredit dice una cosa e ne fa un’altra: “Ci risulta che proprio ieri sera abbia richiesto al Tar l’annullamento della lettera del ministero”. Da Bpm sono arrivate anche le parole del presidente Tononi, intervistato a Repubblica: “Trovo legittimo che il governo valuti gli effetti dell’acquisizione di una banca sistemica come noi. Lo stesso accade in Germania su Commerz e in Spagna su Sabadell”, ha detto in merito al ricorso ai poteri speciali”. Piazza Meda è ritenuto un fulcro bancario vicino alla Lega di Matteo Salvini e del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, motivo che spiegherebbe, suggeriscono alcuni commentatori, la strenua resistenza del Mef: “Questa supposizione è del tutto infondata. Banco Bpm è una banca privata con soci privati, e non ha rapporti particolari con questa o quella forza politica. Essendo banca sistemica, è comprensibile che qualche esponente politico manifesti opinioni o timori sulle potenziali ricadute dell’ops. Ma ipotizzare affiliazioni politiche è del tutto fuori luogo”, si è difeso Tononi. Pur essendosi sempre battuto per difendere Bpm dall’ops. il Mef, per ora, tace, ma il vicepremier Antonio Tajani – in quota Forza Italia – ha colto la palla al balzo: “La via del dialogo è sempre la migliore”. Una carezza alla banca di Orcel, ma anche una frustata al collega Giorgetti, che invece non vuol sentir parlare di modifiche al golden power. Anzi: ha minacciato le dimissioni nel caso qualcuno metta le mani sul decreto. Insomma, dietro le banche ci sono ormai due governi: quello visibile e quello che trama tra via XX Settembre e i corridoi di Bruxelles.

E a proposito di Bruxelles, proprio ieri è arrivato il primo via libera comunitario per l’Ops Unicredit-Bpm, anche se riguarda solo eventuali aiuti esteri distorsivi della concorrenza. Ma la strada è lunga e disseminata di ostacoli: tra il 10 e il 23 giugno si terranno le udienze decisive per il via libera Consob, il parere dell’Antitrust e la partita legale tra Banco Bpm e Tesoro. Intanto, nel risiko si infila anche Bper: la banca modenese ha ottenuto l’ok della Consob per lanciare l’Ops sulla Popolare di Sondrio, con calendario serrato: si parte il 16 giugno, si chiude l’11 luglio. Mentre Mediobanca lotta per tenersi Generali e Unicredit cerca un varco sotto il tiro incrociato del governo, Bper spinge sull’acceleratore per diventare il terzo polo italiano. Tre partite diverse, tre piani narrativi, un solo campo di battaglia: Piazza Affari. Qui si combatte senza esclusione di colpi, tra soci blindati, fondi silenziosi e mosse a orologeria. Il rischio? Che a decidere tutto, ancora una volta, non siano i banchieri, ma i legali.
