La vicenda di Chiara Petrolini, una studentessa di ventidue anni che si è trasformata in madre assassina, è uno di quei casi che solleva domande profondamente inquietanti sulla mente umana, sulla dissociazione emotiva e sulla capacità di pianificare un crimine con una razionalità apparentemente fredda e distaccata. Chiara, studentessa universitaria e baby-sitter amata, è oggi accusata di aver ucciso due neonati – i suoi figli – subito dopo il parto. E di averne poi occultato i corpi nel giardino di casa. Ciò che rende il caso ancora più sconvolgente è l’apparente serenità con cui la giovane ha gestito la sua vita quotidiana durante il periodo delle gravidanze e subito dopo gli omicidi. Che cosa aveva in mente Chiara Petrolini? Dal mio punto di vista, la sua storia rientra nei casi di dissociazione emotiva. È come se la ventiduenne avesse creato, nella sua mente, due realtà parallele: una in cui viveva la vita quotidiana, fatta di relazioni familiari e sociali, e un’altra, oscura e nascosta, in cui preparava il destino dei suoi figli senza che nessuno sospettasse di nulla. Almeno apparentemente. Una simile scissione mentale le ha permesso di agire con una calma agghiacciante: il giorno successivo al parto, è uscita con amici e familiari come se nulla fosse successo. Poi, a meno di ventiquattro ore dalla soppressione del secondo neonato, si è recata dall’estetista, ha fatto il giro dei locali con gli amici e ha mangiato la pizza con la nonna. Tutto questo mentre nel giardino di casa giacevano i corpi dei suoi due figli, sepolti sotto il prato. L'assenza di segni evidenti di disagio emotivo in pubblico è indicativa di una mente capace di "spegnere" le emozioni più disturbanti, consentendo alla ragazza di comportarsi come se fosse una qualsiasi altra ventenne impegnata nella propria vita sociale.
Obiettivamente tale separazione tra emozione e azione rende il caso Petrolini particolarmente complesso e non comprensibile ai più. Non siamo infatti di fronte ad un improvviso corto circuito della ragione. Chiara ha agito con estrema lucidità, premeditando ogni dettaglio del destino dei suoi figli. Ha scavato le fosse prima ancora di partorire, e ha condotto ricerche meticolose su internet su come nascondere la gravidanza e come occultare un cadavere. Le sue ricerche online includono domande inquietanti come “come nascondere la pancia in gravidanza”, “come indurre il travaglio”, “schiacciare la pancia per stimolare il parto”, fino a ricerche decisamente più macabre come “dopo quanto puzza un cadavere”. La sua pianificazione era metodica, sistemica e priva di emozioni evidenti. Nel recente interrogatorio, ha anche negato di fare o aver fatto uso di marijuana e alcol, ma le lultime analisi e la visita ginecologica, hanno smentito anche questo.
Questa capacità di razionalizzare il crimine senza lasciarsi coinvolgere emotivamente è ciò che rende il caso Petrolini così complesso da comprendere. Siamo di fronte a una mente che, pur essendo dissociata emotivamente, rimane razionale e lucida. Non c’è stata improvvisazione: ogni gesto era calcolato nei minimi dettagli. Dopo aver partorito, Chiara ha tagliato il cordone ombelicale con delle forbici da cucina, causando il dissanguamento di uno dei due neonati. Ha seppellito i corpi dei suoi figli nel giardino di casa, avvolgendoli in un lenzuolo, e poi ha continuato a vivere la sua vita come se nulla fosse. È significativo che la famiglia di Chiara, il fidanzato e persino i suoi amici, fossero all’oscuro delle sue gravidanze. Non solo ha mantenuto segreta la sua condizione, ma ha anche continuato a vivere come se la maternità non la riguardasse. Ciò che emerge è una totale disconnessione con il sentimento materno. L'assenza di cure prenatali e la decisione di sopprimere i neonati fin dall'inizio suggeriscono che Chiara non li abbia mai visti come esseri umani da proteggere o amare. Non c’è stato, a quanto emerge, alcun legame affettivo, alcun desiderio di prendersi cura di loro. E qui entra in gioco una riflessione più ampia sulla maternità stessa.
Recenti studi americani, infatti, suggeriscono che l'istinto materno, inteso come una spinta innata e biologica verso la protezione e la cura del neonato, potrebbe non esistere nel senso tradizionale in cui lo intendiamo. Piuttosto, si parla di un sentimento materno, una costruzione emotiva che si sviluppa col tempo, attraverso l'interazione tra madre e bambino. Nel caso di Chiara Petrolini, sembra che questa costruzione non sia mai avvenuta. Non ci sono tracce di ricerche o azioni che suggeriscano un tentativo di salvare o proteggere i neonati. Al contrario, le sue azioni erano mirate unicamente alla loro soppressione, già pianificata durante il corso della gravidanza. Ogni ricerca, ogni gesto sembra funzionale a portare a termine un progetto che non prevedeva in alcun modo la vita dei suoi figli.
La famiglia di Chiara, ignara di tutto, era negli Stati Uniti con lei in vacanza al momento del ritrovamento del primo corpicino, ed è rientrata solo alla fine del viaggio, nonostante le comunicazioni degli investigatori. Un mese dopo, il quadro si complica ulteriormente con il ritrovamento delle ossa di un secondo neonato, sepolto nello stesso giardino. Di fronte all'evidenza, Chiara confessa di aver già partorito un altro bambino a maggio 2023 e di averlo seppellito nello stesso luogo. Anche in questo caso, il parto era avvenuto in segreto, senza che nessuno sospettasse nulla. Durante gli interrogatori, ha ammesso di aver voluto nascondere il corpo del neonato nel giardino "per tenerlo vicino a sé". Ma questa apparente ammissione di un legame affettivo è contraddetta dai fatti: Chiara ha agito con estrema indifferenza, cercando di occultare i cadaveri e continuando a vivere una vita normale subito dopo.
Cosa ha spinto una giovane donna, apparentemente normale, a compiere atti così efferati? La risposta non è semplice e, certamente, non può essere ridotta a una questione di pura malvagità. Ci sono probabilmente una serie di fattori psicologici e sociali che hanno contribuito alla formazione della frattura tra l’emotività di Chiara e le sue azioni. Da un lato, la dissociazione emotiva può essere il risultato di traumi pregressi o di un contesto familiare e sociale che non ha saputo cogliere i segnali di disagio. Dall’altro, la capacità di agire con un distacco disarmante, pianificando con precisione ogni dettaglio, suggerisce una personalità complessa, in cui il totale disinteresse ha preso il sopravvento sulle emozioni. Cosa succede quando una mente giovane si frattura tra emozione e azione? Quali sono i segnali che una persona stia vivendo una dissociazione così profonda da permetterle di compiere atti così atroci? E soprattutto, come possiamo intervenire prima che tragedie come questa si verifichino? È sempre troppo tardi.