“Ho ucciso mio padre. Tutti in casa subivamo le sue violenze, soprattutto mia mamma”. Una tragica vicenda si è consumata ieri sera nell'appartamento di famiglia in via San Giovanni, dove Makka, diciotto anni, ha confessato di aver colpito mortalmente suo padre, Akhyad Sulaev, che anni ne aveva cinquanta. L'uomo è deceduto poco dopo essere stato ferito con un coltello all'addome. La giovane, classe 2005, è stata trovata in uno stato di choc dai carabinieri intervenuti sul posto, appoggiata a una parete, ed è stata condotta in caserma per essere ascoltata. Dopo ore di interrogatorio, Makka ha ceduto confessando l'omicidio. Di origini russe, Akhyad Sulaev si era trasferito con i famigliari in Piemonte e, secondo quanto è emerso, era riuscito ad integrarsi bene nella comunità di Nizza Monferrato. Makka, la figlia primogenita, frequentava il terzo anno del liceo scientifico e lavorava in un ristorante di sera. Così come facevano i suoi genitori. La realtà, però, all’interno delle mura domestiche era delle più bestiali. La giovane e sua madre erano vittime di abusi da parte dell’uomo descritto come un padre e un marito iper controllante. Un uomo che, secondo quanto riportato, esigeva di conoscere e vigilare su ogni loro movimento. Il fatto di sangue si è consumato durante l’ennesimo litigio, quando, Akhyad Sulaev licenziatosi dal lavoro con l'intenzione forse di tornare in patria, ha avuto uno scontro con le due donne. La discussione è degenerata in violenza fisica, culminando con l'intervento drammatico di Makka, che ha preso un coltello dal cassetto della cucina e si è scagliata contro il genitore. Secondo i primi riscontri, non erano mai state presentate denunce di maltrattamenti. Ma non c’è da stupirsi. Abbiamo a che fare con un copione che si ripete. O quasi. Che cosa può spingere una ragazzina nata nel 2005 ad uccidere suo padre? Cosa è scattato davvero nella sua testa? La sensazione di impotenza vissuta da Makka emerge come un nodo cruciale nel tessuto comportamentale che ha condotto all'omicidio. Il padre, figura autoritaria, teneva saldamente le redini della vita familiare, controllando ogni frangente delle loro esistenze. Un vero e proprio dominio coercitivo di un padre padrone.
Un dominio che ha probabilmente indotto in Makka una profonda sensazione di impotenza oltre che la percezione di non avere il controllo sul proprio destino. L'accumulo di stress derivante da una costante situazione di violenza domestica ha dunque sicuramente contribuito a creare un terreno fertile per l’uccisione del padre. I flashback, brevi ricordi intrusivi di eventi traumatici passati, potrebbero aver intensificato l'angoscia di Makka, rendendo il litigio finale un momento di estremo stress emotivo. L'ipervigilanza, ovvero la costante ricerca di segnali di pericolo, può aver acuito la tensione ed essere diventato il punto di rottura. Probabilmente perché Makka non aveva più la lucidità per distinguere tra minacce reali e percezioni distorte. L'omicidio, quindi, potrebbe essere stato il suo estremo grido di ribellione contro un ambiente che le negava ogni forma di autonomia e dignità. Propria e della madre. Anche se in verità non si esclude che possano esserne stati vittima anche i fratellini minori. In un atto disperato di autoaffermazione, dunque, la diciottenne ha cercato di riappropriarsi della situazione, anche se tragicamente attraverso la più alta e sanguinaria forma di violenza. Un ultimo disperato tentativo di rompere il ciclo di sopraffazione e di liberarsi dallo stato di impotenza che ha caratterizzato la sua breve esistenza.