Di Carlo Calenda si dovrebbe dire ciò che diciamo degli articoli di Carlo Calenda durante le riunioni di redazione: non fanno traffico, non tirano. Calenda è la morte dell’algoritmo, un bug della politica: resta a galla ma non è mai un trend, non è un influencer. Al massimo a qualcuno può sembrare un po’ trash per via dell’attitudine da blastatore. Pare lo invitino per questo in tv e infatti lo fanno discutere con Elena Basile o Marco Travaglio. Poi si stupiscono che guardi a Giorgia Meloni per possibili alleanze (possibilità mai scartata fin dalla vittoria di Fratelli d’Italia alle elezioni del 2022). Infine, non accettano il suo “linguaggio violento”, quello che lo ha portato a dire di recente: “Il Movimento 5 Stelle va cancellato”. La destra e la sinistra tentano di grattarsi via con le pagliette di ferro qualsiasi tratto aggressivo, nella speranza che questo basti a istituzionalizzarli (così la destra, a titolo di esempio, fa la morale a Romano Prodi che tira i capelli a una giornalista ma si scorda il ministro Urso che stringe un polso a una inviata di Report nel 2021; e la sinistra tifa per la pace trumpiana in Ucraina mentre è Putin a continuare la conquista e invasione lanciando missili).

Calenda conta pochissimo ma è il rappresentante di cui avremmo bisogno ma non meritiamo: un politico con un curriculum da non politico, con esperienza in Ferrari e Sky, ex giovanissimo comunista rinsavito dopo la pubertà poi diventato addetto alle relazioni con le istituzioni finanziarie a Maranello e in una emittente privata che ha fatto scuola. Calenda, amico di Lapo Elkann ma soprattutto nemico di John Elkann. Nove volte su dieci ha ragione, dieci volte su dieci dice liberamente quello che pensa, dall’Ucraina alla crisi di Stellantis, forse proprio perché conta poco poco. La vicinanza con Giorgia Meloni è “radicale”, un po’ pannelliana, pragmatica. È esattamente ciò che auspica Il Foglio quando elogia Merz in Germania o, soprattutto fino a qualche mese fa, sperava in una Meloni più liberale e meno sovranista. Calenda, incapace di diventare premier o leader di maggioranza, potrebbe diventare lo zoccolo liberale di un’alleanza con l’unica forza che potrebbe spingere verso un liberalismo moderato, e nonostante tutto è ancora la destra di Giorgia Meloni a poter fare qualche passo in quella direzione. È un bomber che non sa fare goal, un regista che non ha ancora fatto l’assist giusto, all’interno dell’area, a porta vuota. Ma ha il talento e la competenza per poter lavorare su questo. Cosa gli manca? Gli altri dieci della squadra, una curva, il tifo moderato e un allenatore. Per ora gioca da solo, sul campo piove fango e Carletto sta ancora cercando il pallone.
