Caporedattore di Identità Golose, Carlo Passera è un giornalista che non ama solo gustare il cibo, ma anche raccontarlo. Conosce tantissimi ristoranti di alta cucina e non riesce a non citarli tutti, sottolineando la bravura e la particolarità di ognuno. Dalla Gintoneria a Da Vittorio - il ristorante preferito di Vittorio Feltri - ha esplorato i migliori indirizzi gastronomici, senza tralasciare l’enorme varietà di pizze in Campania, da quelle napoletane alle casertane, fino alle versioni più contemporanee. Non solo Sud: Passera riconosce e valorizza anche la cucina del Nord. Ci ha parlato del Bocuse d’Or, la più prestigiosa competizione culinaria internazionale con sede in Francia, ma dove l'Italia fa troppa fatica a emergere. Ha discusso delle differenze tra competizioni gastronomiche vere e proprie e show televisivi come MasterChef, che pur avendo un valore di intrattenimento e divulgazione, restano lontani dalla realtà della ristorazione d’alta gamma. Abbiamo anche affrontato il tema del prezzo nella pasticceria d’autore, parlando delle creazioni di Iginio Massari: è giustificato pagare di più per un brand di prestigio? Secondo Passera, sì, perché il valore di un prodotto non è dato solo dagli ingredienti, ma anche dall’esperienza, dal know-how e dall’immagine che porta con sé. E non poteva mancare una riflessione sulle nuove tecnologie in cucina: l’Intelligenza Artificiale può davvero sostituire la creatività umana? Passera ha assistito a un esperimento a San Sebastián, dove un’IA ha sfidato uno chef stellato nella creazione di un piatto. Il risultato? La giuria ha premiato nettamente lo chef, confermando che, almeno per ora, il tocco umano è insostituibile. E quando gli chiediamo i suoi chef preferiti, lui rifiuta di fare classifiche, ma ci svela quattro nomi della nuova generazione che lo entusiasmano.

Dopo il caso Gintoneria, ci si chiede quanti altri locali, oltre allo champagne, ai cocktail o al vino, favoriscano la prostituzione o l'uso di stupefacenti. Secondo lei il fenomeno è molto diffuso o è un fenomeno isolato?
Io credo che in generale, laddove c'è una domanda, si crea un'offerta. Quindi, ahimè, c'è una legge generale del mercato. I dati lo dicono, esiste un consumo, non dico diffuso, ma certamente non marginale, di sostanze stupefacenti. C’è una clientela fidelizzata alla prostituzione e così via. Inevitabilmente si creano questi fenomeni. Poi, ovviamente, non entro nel merito dal punto di vista della legge e dell'ordine pubblico sulla vicenda in sé. Certamente la Gintoneria è un locale abbastanza noto in Italia come un luogo della notte e questi elementi da vita notturna oggi vengono stigmatizzati. Ma, come anche altri hanno sottolineato, le dinamiche erano note da tempo.
Lei c'è mai stato alla Gintoneria? Com'era?
Una volta, nel 2018. C'era un nostro congresso a Milano e, con un gruppo di colleghi, anche di produttori e di ristoratori, si era fatto un po' tardi. La Gintoneria era uno dei locali milanesi in cui si sapeva di poter restare fino a tardi, perché gli altri magari chiudevano all'una, alle due e così via. Era la classica notte di bisboccia e quindi si decise di continuare la serata lì. Devo dire che Milano offre molto di meglio dal punto di vista dell'accoglienza e della bellezza dei locali, con cocktail bar molto più curati. Quello era in una zona semiperiferica, certamente non tra le più belle della città, vicino alla Stazione Centrale. Il posto era abbastanza anonimo, con arredi non particolarmente eleganti e frequentato da una clientela varia. L'impressione che avevo io, conoscendo un po' la fama di questo locale, era che potesse avere anche una clientela "normale", gente che voleva semplicemente farsi un giro in zona o che, come noi in quel caso, si trovava fuori fino a tardi senza molte alternative. All'epoca non sciabolammo, anche perché non sono il tipo che va a sciabolare in giro. C'era anche della gente "strana", passami il termine, che potevi un po' individuare. Noi bevemmo i nostri vini e poi ce ne andammo a casa.
Infatti molti dicono che, al di là dell'inchiesta, Lacerenza fosse un buon ristoratore e un grande conoscitore di champagne.
Un esperto di champagne sicuramente. Vado a memoria, ma lui è stato insignito di un riconoscimento ufficiale. e vai su YouTube, trovi che anni fa è entrato nella Maison de Champagne. Un riconoscimento ufficiale, perché vendeva molto Krug o altre bottiglie prestigiose. Se sia stato anche un buon ristoratore non te lo so dire, perché alla Malmaison non ho mai mangiato. Non mi piaceva il modello. Se ti puoi permettere di servire i carabineros - quegli scampi spettacolari che vengono dalla Spagna o dal Portogallo, buonissimi - non ci vuole molto per deliziare il palato, perché sono carnosi, croccanti, grandi, saporiti. Quindi, se riesci a vendere quel prodotto lì, è difficile che si mangi male. Vado a memoria, ma lui è stato insignito di un riconoscimento ufficiale.

Vittorio Feltri, che recentemente ha pubblicato un nuovo libro dal titolo Mangia come scrivi, durante un'intervista al Corriere della Sera ha affermato che piatti iconici del Sud, come la pizza e gli spaghetti al pomodoro, siano tutte schifezze, mentre la vera cucina italiana sarebbe quella del Nord, come i pizzoccheri. Lei cosa ne pensa?
Io penso che Vittorio Feltri sia Vittorio Feltri e faccia Vittorio Feltri. Ossia che lui, come sempre in maniera provocatoria, tra il giocoso e il finto antipatico, voglia lanciare dei messaggi. Dai tempi di Giovanni Dipendente, provocatoriamente ha lanciato questa proposta di rivalutazione della cucina del Nord. L'idea di cucina italiana che si ha all’estero, o comunque la rappresentazione più diffusa della cucina italiana, è la cucina di stampo mediterraneo. Ma bisogna rivendicare il fatto che la ricchezza della cucina italiana sia plurale, si dovrebbe parlare di cucine italiane. La ricchezza straordinaria, la forza del nostro mangiare bene è la straordinaria varietà di stili, di prodotti derivati da una biodiversità straordinaria (mi sembra di essere Oscar Farinetti!) quindi davvero è difficile trovare in un paese così piccolo una così enorme differenza di stili di cucina e di ricette, come ci può essere dal Friuli alla Sardegna, dalla Calabria al Piemonte, dalla Puglia alla Toscana.
Quindi secondo lei il messaggio era volutamente provocatorio ma con l'intento di porre l'attenzione sulla cucina, spesso ignorata, del Nord?
Potremmo dire così. Ma, ad esempio, io sono lombardo. E la cucina lombarda, dal mio punto di vista, è un po’ più povera. Io sono un appassionato di cucina piemontese, trovo che la cucina veneta sia straordinaria. Trovo che sia una delle cucine più sottovalutate ma più raffinate, più moderne, più eleganti. Ma anche quella ligure, che ha questa straordinaria varietà di ortaggi profumatissimi, saporitissimi, con delle ricette che sono di una finezza... Senza neanche troppo essere modificate e rese contemporanee, entrano di diritto in un concetto di alta cucina. Lasciamo perdere quella emiliana, poi, con tutta la ricchezza delle paste ripiene. Quindi, c’è una tale varietà che posso dire che Feltri ha fatto bene a rivendicarla. La parte brutta del suo discorso, semmai, riguarda l'aver gettato fango su due piatti, pasta e pizza, che ovviamente sono straordinari.
Feltri ha detto che il suo ristorante preferito è Da Vittorio a Brusaporto. Lei lo conosce?
Sì, lo conosco bene, e non si può non essere d’accordo con Feltri. Non perché sia il mio ristorante preferito - anche se lo amo moltissimo - ma perché Feltri fa parte di una borghesia milanese intellettuale, e Da Vittorio magari rappresenta la grande cucina. Non solo si mangia benissimo Da Vittorio, ma c’è il senso di accoglienza, la capacità di metterti a tuo agio, il servizio perfetto, la cantina, il cannoncino che ti viene riempito al momento, i paccheri che ti vengono conditi e serviti sul momento. Tutte quelle attenzioni piacciono non solo a chi, come me, fa questo lavoro. Piacciono non solo al buongustaio, al gourmet, che è disposto a prendere una macchina e fare 200-300 km per andare a mangiare da Niko Romito a Castel di Sangro, che è un po’ lontano da tutto. Ma piacciono anche al borghese, piacciono alla famiglia, piacciono all’imprenditore bergamasco, bresciano, che va a godersi una serata in piena armonia. Perché la famiglia Cerea ha una capacità di accoglienza e di coccolarti che è straordinaria.

L'Italia parteciperà al Bocuse d’Or del 2027. Sono queste le vere gare di cucina, a differenza di MasterChef o programmi simili?
Il Bocuse d'Or ha una lunga storia. È una competizione che ha una lunga tradizione. È una gara di stampo completamente francese, strutturata secondo regole ben definite fin dalla sua nascita, che forse andrebbero rinnovate. L'Italia, in questa competizione, non ha mai brillato, ma per una serie di ragioni che eviterei di elencare per non annoiarti. In genere, vincono o i francesi o gli scandinavi, semplicemente perché, per poter trionfare in questa gara, è necessario lavorare molto di squadra per diversi mesi. Serve anche un investimento importante da parte di un ente che consenta ai partecipanti di allenarsi a lungo e con dedizione. È una competizione che, a mio avviso, si basa su parametri un po' superati, soprattutto dal punto di vista estetico. Non dico che siano ammuffiti, ma poco attuali. Personalmente, mi lascia abbastanza indifferente. Detto questo, MasterChef non c'entra nulla. MasterChef è puro spettacolo televisivo, anche divertente, e negli anni ha dato visibilità a chef interessanti. Penso, ad esempio, a Valerio Braschi, che ora cucina qui a Milano ed è molto bravo. Tuttavia, parliamo di due competizioni nate in contesti diversi, con sviluppi e modalità completamente differenti. Nel Bocuse d’Or c’è una squadra, mentre MasterChef è un format televisivo individuale. Il primo è una vera competizione gastronomica, il secondo è intrattenimento.
Sono entrambe valide nelle loro differenze?
MasterChef, come spettacolo, è anche interessante. Alla fine aiuta lo spettatore ad avvicinarsi a prodotti, ricette e alcune frontiere della cucina. Ha quindi anche una funzione educativa per un pubblico più vasto, offrendo spunti su alcuni aspetti del mondo agroalimentare. In Italia non abbiamo un concorso simile ma più ristretto e settoriale, che non si rivolge a un pubblico ampio. Qui i concorsi sono strettamente legati al mondo della cucina professionale.
Quindi in Italia non abbiamo gare simili a quella del Bocuse d'Or...
No. Esistono competizioni con un taglio sempre internazionale, come il San Pellegrino Young Chef Academy Competition, che ha il suo cuore in Italia perché la finale si svolge sempre a Milano. Questo avviene perché lo sponsor è San Pellegrino e la sua academy organizza una serie di competizioni: prima nazionali (italiane, francesi, ecc.), poi la finalissima internazionale, che si tiene ogni due anni a Milano. Ma per il resto... Sai quando si sente parlare del "campionato del panettone"? Probabilmente ce ne sono almeno 120 in Italia, e alla fine quasi tutti i panettoni vengono premiati.
Parlando di pasticceria, si è discusso molto anche dei prezzi di Iginio Massari. Sono giustificati oppure no?
Premesso che la qualità va pagata e che nessuno è obbligato ad acquistare nulla, faccio questa riflessione. Se vado in un ristorante stellato o comunque importante e pago un conto di 100 euro, quanta parte di questa cifra corrisponde al cosiddetto food cost, cioè al valore effettivo del cibo che sto mangiando? In media, il food cost si aggira attorno al 20%: può essere il 18%, può essere il 23%, ma è generalmente intorno al 20%. Allora uno potrebbe chiedersi: "Com'è possibile che spendo 100 euro e il valore effettivo del cibo che consumo sia solo 20?" Perché tutto il resto serve a coprire la struttura, il personale, il servizio… ma anche il brand. Se compri un vestito di Armani che costa 1.000 euro, sai perfettamente che il valore del tessuto in sé è forse di 15 euro. Ma stai acquistando un marchio che offre un'identità, una garanzia di qualità, un prestigio. Anche il semplice poter dire di indossare un capo Armani ha un valore per chi lo compra. Lo stesso discorso vale per i dolci di Massari. Se compri un suo dolce, oltre alla qualità del prodotto, acquisti anche il brand, l'idea, quasi un sogno. E magari fai anche bella figura con gli amici. Ogni prezzo è giustificato finché esiste un mercato disposto a pagarlo, a patto che non sia drogato da fattori esterni. Se Massari mette i suoi maritozzi o le sue chiacchiere a un certo prezzo, il valore sta nel prodotto, ma anche nella firma. Personalmente, non le ho mai assaggiate perché non amo particolarmente le chiacchiere. Quindi non posso dire se valgano effettivamente quel prezzo dal punto di vista gastronomico. Ma chi le compra lo fa probabilmente con la consapevolezza di portare a casa un prodotto di alta qualità, firmato da un grande maestro. Oltre al dolce, si compra anche il nome di Massari.

Andrea Grignaffini ritiene che la cucina molecolare crei illusioni culinarie nell'alta cucina, dove il piatto inganna il commensale lasciandosi credere qualcosa che non è. Lei cosa ne pensa, è d'accordo?
Come dire, il trompe-l'œil non è necessariamente un difetto della cucina molecolare, che è stata molto di moda quando è stata inventata e per un po' di anni. Oggi fa parte del bagaglio di conoscenze di ogni cuoco contemporaneo importante. Chi proponesse un piatto puro di nouvelle cuisine non sarebbe più attuale rispetto all'ambiente di oggi. Oggi, chi proponesse un piatto basato sulla cucina molecolare apparirebbe vecchio di 15 o 20 anni. Ogni periodo della storia della cucina ha i propri riferimenti. Non siamo più ai tempi di Ferran Adrià. Ferran Adrià è stato un grandissimo chef che ha cambiato il mondo della cucina. I suoi insegnamenti hanno consentito alla cucina di evolversi e, proprio evolvendosi, la cucina poi è progredita e ha avuto un suo sviluppo. La sferificazione può essere un elemento nel piatto, ma difficilmente può essere, di per sé, dal punto di vista tecnico, un protagonista del piatto, perché non desta più il wow di nessuno. Credo che pochi ormai si emozionino di fronte allo spettacolo dell'azoto liquido che fa il fumo. Venti anni fa era un'innovazione funzionale anche a un percorso gastronomico. Oggi come oggi, sono strumenti che fanno parte del bagaglio tecnico dello chef, ma come tanti altri: come il frullino, il forno. Il forno è tecnica, la reazione di Maillard è chimica e fisica. Ogni arricchimento tecnico, chimico, fisico della cucina è utile nel momento in cui viene scoperto ed è anche spettacolare. È un'innovazione, quindi desta stupore. Poi diventa semplicemente parte della conoscenza comune.
Un'altra innovazione è l'intelligenza artificiale in cucina: è nato un nuovo robot chef italiano, Liffo, in cui basta inserire gli ingredienti e cucina da solo. Queste novità possono danneggiare il mondo della cucina o possono rappresentare un aiuto essenziale?
Nel novembre scorso ero a San Sebastián per seguire, come faccio quasi tutti gli anni, Gastronomika, il più antico congresso di alta cucina al mondo. Hanno organizzato un esperimento divertente, un semplice divertissement: una sfida in cui si sceglievano degli ingredienti a caso e li si affidavano, da una parte, a un grande chef - Riccardo Camarena, due stelle Michelin a Valencia - e, dall'altra, a un'intelligenza artificiale, ovviamente con un tecnico che ne monitorava l'operato. Entrambi hanno proposto e cucinato dei piatti, basandosi sugli stessi ingredienti. Le ricette dell'intelligenza artificiale sono state poi realizzate da uno chef, per garantire un confronto equo. Una giuria, ignara di quale piatto fosse stato creato dallo chef e quale dall'IA, ha assaggiato e votato.
Il risultato?
Ha stravinto lo chef. Quindi, per ora, il problema non esiste. In futuro, è probabile che l'intelligenza artificiale, standardizzando alcune tecniche e processi, possa essere molto utile in una fascia di mercato media o medio-bassa. Se parliamo di ristorazione veloce - pensa a un fast food come McDonald's - è plausibile che, con l'ausilio di macchinari digitali e IA, si possa arrivare a ridurre al minimo l'intervento umano nella preparazione dei piatti. Ma nella cucina più seria, più importante, la creatività umana è fondamentale. Persino l'errore umano è essenziale: la storia della gastronomia è piena di esempi di errori creativi, di piatti nati per caso, da scelte apparentemente sbagliate che hanno aperto nuove strade.
Quindi lo stesso vale anche per AI Food, l'intelligenza artificiale di Cracco? È solo un supporto, non potrà mai sostituire la creatività in cucina?
Esattamente. AI Food è una bella iniziativa, ma fondamentalmente è un sistema che organizza e mette a sistema tutto il patrimonio culinario di Cracco. È un supporto per lo stesso Cracco e per chiunque voglia sperimentare con le sue ricette. Si tratta di un’enciclopedia digitalizzata della sua cucina, arricchita dall’intelligenza artificiale, che può offrire anche spunti innovativi. Tuttavia, per quanto sofisticate possano essere le sue risposte, queste saranno sempre frutto di un database, di conoscenze preesistenti caricate sulla macchina. Ecco perché ogni suggerimento dell’IA dovrà comunque essere vagliato dall’intelligenza umana. È un po’ come quando oggi facciamo una ricerca con ChatGPT: posso ottenere informazioni utili, ma so anche che possono esserci errori. Certo, col tempo questi errori diventeranno sempre più rari, ma il punto è un altro: la creatività, l'originalità, il tocco umano restano insostituibili. Ti racconto un episodio. Ricevo spesso richieste di collaborazione da giovani che vogliono intraprendere la carriera nel mondo dell’editoria gastronomica. Mi fa piacere aiutarli, perché è un percorso difficile, soprattutto oggi. Ma, ahimè, mi è capitato più di una volta di ricevere articoli scritti con ChatGPT o strumenti simili. E sai cosa? Lo si capisce subito. Manca qualsiasi elemento di creatività. Il testo è standardizzato, ha uno stile uniforme, privo di anima. È come se seguisse un copione predefinito, senza quella scintilla che solo l’intelligenza umana può dare. Lo stesso vale per la cucina. Per ora, se vuoi un piatto con un’anima, serve l’uomo. Il futuro? Chi lo sa.

E a proposito di un grande derby culinario: è meglio la pizza casertana o quella napoletana?
Per me non esiste un meglio o un peggio. Noi siamo nati nel 2005, poi abbiamo creato la guida ai ristoranti, ora c'è la guida alle pizzerie e quella ai cocktail bar. Non diamo mai punteggi, e non lo facciamo per paraculaggine, ma perché i paragoni sono sempre impropri. È come chiedersi se sia migliore la cotoletta alla milanese o il saltimbocca alla romana. Posso dire quale piace più a me, ma pretendere di stabilire un criterio oggettivo per confrontare due cose così diverse è assurdo. Anche nel mondo della pizza parliamo di stili diversi. È migliore la pizza contemporanea di Simone Padoan vicino a Verona? O quella di Tommaso Vatti in Toscana? È meglio la pizza di Franco Pepe o di Francesco Martucci a Caserta? Oppure quella di Enzo Coccia a Napoli? Sono tutte grandi espressioni, diverse declinazioni di un piatto che può assumere forme molto differenti. Solo in Campania trovi la scuola di Tramonti, con la pizza biscottata, poi quella casertana, la classica napoletana e già dentro Napoli una nuova scuola contemporanea. E poi mille varianti di stile: alcune recuperano vecchie ricette, altre innovano totalmente. Qual è la migliore? La risposta è che non esiste una risposta.
I suoi tre chef preferiti?
Allora, ti risponderò così. Dato che, come dicevo prima, non facciamo classifiche - perché non ha senso dire che uno è migliore di un altro - ti nominerò tre giovani chef che amo particolarmente. In questo modo, escludo subito dall’elenco i grandi maestri come Bottura, Alajmo, Romito e così via. Tra le nuove generazioni, mi piacciono molto Davide Guidara, in Sicilia, che fa una cucina esclusivamente vegetariana ed è, a mio avviso, un talento straordinario; Daniele Lippi, a Roma, al ristorante Acquolina, che ha già due stelle Michelin, quindi non è certo una mia scoperta, ma trovo che sia un grandissimo talento nel suo ambito; e Enrico Marmo, in Liguria, e qui torno a sottolineare l’enorme potenziale della cucina ligure. Ti dico questi tre perché li amo particolarmente, ma ne apprezzo molti altri. Mi scuseranno gli esclusi, ma tu mi hai imposto di sceglierne solo tre. Anzi, facciamo quattro: aggiungo Alberto Gipponi, in Lombardia. Così siamo più tranquilli!
