Ci sono cose che non esistono, come la finale del Grande Fratello. La finale del Grande Fratello non esiste, perché fra sei mesi ricomincia. Per partorire una nuova stagione del Grande Fratello servono sei mesi, capite, in Mediaset hanno meno decoro di Madre Natura stessa, che almeno nove mesi di intervallo tra un figlio umano e l’altro li concede. Ma i figli di Signorini son più facili da fare uscire rispetto ai figli del Signore: maschere, con un copione che non hanno più neanche bisogno di scrivere (tranne che, parrebbe, per quel che riguarda il televoto…). È il gioco di specchi tra aspettativa del telespettatore medio di Canale 5 e desiderio patinato dei concorrenti di diventare qualcuno. Attenzione, di diventare, essenzialmente, qualcuno. Non qualcuno in particolare, ma una pura presenza. Una presenza depauperata della sua sostanza. Si annotino rare eccezioni, tre principalmente: Fulvio Abbate, Barbara Alberti e Giampiero Mughini, che, si potrebbe dire, come una volta parlò Aldo Busi in tv (altro concorrente di un reality, tra l’altro, L’isola dei famosi), arrivarono nella casa con un’opera alle spalle.

Ciò che merita il Grande Fratello è ciò che fin troppi programmi meriterebbero: una critica di natura politologica, weberiana. In effetti il Gf è un talkshow politico. Immaginate di sostituire Zeudi, Helena, Jessica e Lorenzo, che hanno parlato di libertinaggio, amore omosessuale, origini e natali poveri, bullismo, amore tossico, con Carlo Calenda, Giorgia Meloni, Matteo Renzi, Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Loro sono i qualcuno della nostra politica italiana, pure presenze in momenti epocali della storia della seconda Repubblica: Matteo Renzi era lì nel momento in cui il politico è diventato influencer. Giuseppe Conte è stato l’uomo che ha subito, più che gestire, la Pandemia. Giorgia Meloni è la donna della svolta a destra dell’Italia in un momento in cui tutto il mondo occidentale pare guardare a destra (ma cos’è Giorgia Meloni? Conservatrice? Non molto. Liberale? Per niente. Fascista? Mah…). Matteo Salvini, in fondo, non è altro che i suoi post, cioè una sublimazione totale dell’uomo politico nel suo rachitico messaggio politico.

Ecco, il Gf, che ora è arrivato alla finale ma la finale non esiste, è come la politica, uno spettacolo eterno in cui “i personaggi ammirevoli in cui il sistema si personifica sono ben noti per non essere ciò che sono: sono divenuti grandi uomini scendendo al di sotto della realtà della minima vita individuale, e tutti lo sanno” (sì, alla fine abbiamo citato, prevedibilmente, Guy Debord). Ma abbiamo detto “weberiana”, ecco perché: il Grande Fratello, come il “retequattrismo” che ha fatto guadagnare a qualche giornalista un “vaffanculo” da Del Debbio (che ha così aiutato a definire il retequattrismo per quel che è), è uno “spirito dell’epoca”. Quel che Max Weber dice della “vocazione professionale” (e cioè della Beruf) vale proprio per i concorrenti di qualsiasi reality show (anche quello parlamentare): c’è, dietro, una vera e propria vocazione professionale che spinge a far parte di quel mondo lì. In questo senso Helena Prestes, che sostanzialmente per mestiere partecipa ai programmi televisivi, è il simbolo di questo sistema, basato sul posizionamento e non sull’identità (un sistema queer…). E, a conferma dell’equazione tra concorrenti del Grande Fratello e concorrenti della politica, basti pensare che è un dato assodato definire i politici in base ai tentativi di mantenere la propria poltrona negli anni, con alleanze, compromessi, magheggi e traslochi in altre forze politiche.
