Due casi di omicidio di uomini finiti nelle cronache in poche ore. Nelle cronache ma non proprio al centro, perché? Due casi distinti, lontani centinaia di chilometri, ma che si intrecciano in un punto preciso: i carnefici non sono uomini, come spesso accade nella cronaca, ma donne. Compagne. E in un caso, anche la madre. Alessandro Venier, 35 anni, è stato ritrovato fatto a pezzi e cosparso di calce viva nella cantina della sua abitazione a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Maurizio Ansaloni, 58 anni, è stato invece soffocato a Gioia Tauro nel gennaio del 2023, ma la verità è emersa solo adesso: la compagna, Clementina Fumo, è stata arrestata con l’accusa di omicidio. E il procuratore di Palmi parla senza esitazioni di “maschicidio”. Nel caso di Gemona, a uccidere Venier sarebbero state, secondo quanto trapelato finora, la compagna e la madre.
Entrambe avrebbero ammesso la propria responsabilità davanti ai carabinieri. Il corpo dell’uomo era stato sezionato, nascosto in garage e coperto di calce viva, nel tentativo di rallentare la decomposizione. Non è ancora chiaro dove sia avvenuto il decesso, né in quale modo. Le due donne hanno parlato di un gesto esploso al culmine di una lite. Ma qualunque fosse il motivo, resta il fatto: un uomo ucciso e fatto a pezzi, mentre in casa c’era anche la figlia di sei mesi. La piccola è stata presa in carico dai servizi sociali. La comunità è sotto shock. Il sindaco di Gemona, Roberto Revelant, parla di “fatto straziante, mai successo prima”. La procura frena: “Stiamo accertando ogni dettaglio, anche medico e scientifico, per attribuire con precisione le responsabilità”, ha dichiarato la pm Claudia Danelon.

Il secondo caso arriva dalla Calabria. Maurizio Ansaloni era stato dato per morto a causa di un improvviso malore. La compagna, Clementina Fumo, aveva chiamato i soccorsi parlando di una tragedia improvvisa. Ma secondo la Procura di Palmi le cose sono andate diversamente: la donna avrebbe lasciato morire l’uomo senza prestare soccorso. L’autopsia ha rivelato segni compatibili con il soffocamento. I vicini parlano di litigi frequenti. Niente motivi economici, “solo questioni becere, interne alla coppia”, ha detto il procuratore Emanuele Crescenti. In entrambi i casi, i moventi sono ancora incerti. Si parla genericamente di discussioni, tensioni familiari, futili motivi. Ma quel che è certo è che nessun movente può giustificare simili atti efferati. Né quando a compierli sono gli uomini, come ricordiamo ogni volta che si parla di femminicidio, né quando a uccidere sono le donne, ma su questi casi si pone sempre poca attenzione, perché si ritiene che il sesso femminile non abbia le capacità per poter togliere la vita a qualcuno per una questione di forza fisica. Però no, non è così, e sarebbe sbagliato, oltre che fuorviante, porla in questi termini. Quindi l’intimità domestica, ancora una volta, si trasforma in teatro di orrore. E la narrazione mediatica, che spesso ha una direzione univoca, qui si inceppa.
Perché i ruoli si ribaltano. E le vittime sono uomini. Non si tratta di costruire una retorica speculare al femminicidio. Non si tratta di mettere in competizione le vittime. Ma solo di guardare la realtà per quella che è: esistono uomini uccisi in casa, uccisi da chi diceva di amarli. E non sono meno vittime. C’è chi propone, anche con una certa provocazione, di introdurre il termine maschicidio. E forse è un passo inevitabile, se vogliamo affrontare davvero il nodo della violenza nella sua interezza, senza lasciare zone d’ombra. I dati ufficiali dicono che le donne vittime di violenza sono molte di più. Ma i casi come quelli di Alessandro e Maurizio, uccisi, il primo smembrato, il secondo soffocato, dimostrano che la violenza non ha un solo volto. Una bambina di sei mesi rimasta orfana, una donna arrestata due anni dopo un omicidio mascherato da malore. E due uomini che non avranno mai giustizia se continueremo a pensare che queste storie siano “eccezioni”.