Papa Giovanni Paolo II ha coperto la scomparsa di Emanuela Orlandi? Dopo le notizie di questi giorni e l’attenzione data alle parole di Pietro Orlandi, che riporta quanto ascoltato in un audio (“Mi è stato raccontato che Wojtyla la sera se ne usciva con due suoi amici monsignori polacchi […] Non andava certo a benedire le case”), c’è chi lo crede possibile. Ma davvero un Papa si sarebbe scomodato per occultare un caso di pedofilia? Per capirlo possiamo guardare a un altro caso in cui il Vaticano sembra aver optato per la discrezione.
Era una fredda mattina del 2002, quando George W. Bush convocò d’urgenza i responsabili della comunicazione della Casa Bianca nel suo studio. Giovanni Paolo II, il Vaticano, aveva alzato ulteriormente il tiro contro l’amministrazione statunitense, rea secondo Wojtyla, ed è la verità incontestabile, di aver invaso l’Afghanistan. Un atto superbo e crudele secondo il Papa, una conseguenza legittima e dovuta secondo gli Usa, ritenendo il governo di Kabul colpevole di aver organizzato gli attentati dell’11 di settembre. Dopo quella riunione del presidente americano con i suoi collaboratori accadde qualcosa d’inaspettato: Giovanni Paolo II edulcorò molto i toni della polemica contro Washington. Il perché dovremmo chiederlo alla CIA, ma grazie al cielo, le vie del Signore sono infinite, così come le gole profonde. Erano decenni in realtà che qualcuno tentava, voleva sollevare il velo da sopra quegli orrori e quel contrasto tra Bush e il Papa divenne il più utile dei pretesti per colpire la Santa Sede.
Avete capito bene: la CIA sapeva da sempre e quei documenti in suo possesso, tenuti segreti fino a quel momento, sarebbero stati usati contro il Vaticano qualora questi avesse assunto una posizione in aperto contrasto con Washington. Così la stampa americana iniziò a prestare attenzione all’epidemia di preti che molestavano i bambini e i loro superiori che trasferivano i colpevoli in altre diocesi, dove, secondo i media americani, fomentando in tal senso l’opinione pubblica, avrebbero potuto attingere ad altre potenziali vittime. A quel punto a Roma, Oltretevere, compresa e bene la lezione, Giovanni Paolo II tornò a toni più distensivi e meno esacerbati contro gli USA, ma la frittata era fatta. Una notizia del genere avrebbe attirato l’attenzione di mezze penne, ma anche di qualche inchiostro di razza, soprattutto un paio di giornalisti investigativi che riuscirono, con esperienza e proficui contatti, indispensabili per il mestiere, a mettere mano su alcuni documenti scottanti che rivelarono decennali tentativi di occultamento da parte della chiesa e dei suoi massimi rappresentanti. Il primo documento spiegava cosa fare quando un prete era accusato di atti sessuali con un penitente (qualcuno di cui aveva ascoltato la confessione), un bambino o un animale. Il documento venne inviato a ogni membro altolocato di tutto il clero nel mondo. In buona sostanza il religioso incriminato doveva essere processato in gran segreto da funzionari della chiesa locale o in rari e particolari casi dal Sant’Uffizio del Vaticano. Le autorità secolari non dovevano essere informate e tutti i documenti sarebbero andati nell’archivio segreto della diocesi. Le ‘istruzioni’ comprendevano una clausola di assoluta segretezza, un giuramento attraverso il quale l’ecclesiastico che era venuto a conoscenza di certe debolezze di altri religiosi s’impegnava, pena la scomunica, a non confessare mai i suoi ‘peccati’ al di fuori del clero e mentire sempre di fronte ad ogni altra autorità laica. Istruzioni emanate da sua eminenza il Cardinale Segretario del Sant’Uffizio e approvate personalmente da Papa Giovanni XXIII nel 1962.