È successo davvero. Zerocalcare ha deciso di non partecipare a “Più libri più liberi”, la fiera della piccola e media editoria che ogni anno si tiene a Roma. Motivo? La presenza dello stand di della casa editrice Passaggio al Bosco, il cui catalogo si basa “in larga parte sull’esaltazione di esperienze e figure fondanti del pantheon nazifascista e antisemita”. E Michele Rech su questo insegna, perché “non si condividono gli spazi con i nazisti”. Punto. Non è bastata la lettera firmata da un gruppo di autori, case editrici e personalità del mondo della cultura per arginare l’inevitabile. Perché chiederselo ora viene spontaneo. Chi altri, oltre Zerocalcare, ora deciderà di non prendere parte alla fiera? Inutile fare finta di niente, chi ha partecipato a “Più libri più liberi” almeno una volta sa che il grosso di visitatori lo porta proprio lui, il fumettista romano che non piega i suoi ideali davanti a nulla. E dopo il forfait dato a Lucca nel 2023, ora tocca alla fiera romana, che dovrà fare a meno del suo nome di punta. Eh sì, quest’anno niente file chilometriche per un firmadillo. Michele Rech ha annunciato la sua decisione come sa fare lui, al meglio del suo modo di comunicare: con un lungo video che ha pubblicato sul suo profilo Instagram. “Quest'anno in Fiera ci sta una casa editrice c'ha tutta roba che onestamente pare proprio nazista. Il problema non è manco questo, perché alla fine le fiere sono sempre piene de roba orrenda. È che questi sono pure militanti che stanno facendo un'operazione politica, pure di livello alto, cioè organizzano campi, svolgono con quei testi un lavoro di formazione che abbraccia tutto l'arco che va dai gruppi neofascisti fino ai giovani de Fratelli d'Italia, tutto sotto lo stesso ombrello”. Tutto un magna magna.
Eh sì, Zerocalcare spiega quanto per lui sia impossibile venire meno ai propri ideali: “Io purtroppo sono cresciuto con un paletto molto rigido che non me lo sono inventato io, ma è stato tramandato da quelli che erano più grandi di me, e a sua volta era stato tramandato a loro da chi era più grande di loro. Ovvero che non si condividono gli spazi con i nazisti”. Motivo? “Stare in un contenitore insieme a loro è come aprire un catalogo e dire, vedi qua ci sono i razzisti, qua gli antirazzisti, qua i fascisti, qua gli antifascisti. Cioè significa accettare che sono tutte opinioni uguali e una vale l'altra. Regà, ma è davvero così? Davvero per le istituzioni culturali di questo paese è così? Possibile che per loro il nazismo e l'antinazismo siano la stessa cosa?” No, non sono la stessa cosa, e il tentativo di voler generalizzare tutto, che sta prendendo piede nei vari ambienti, e non solo culturali, è il segno evidente di una catastrofe sociale che ci saluta da vicino. “Con tutto il bene, ma io come faccio a partecipare a un'operazione che normalizza la convivenza con questi? Io lo capisco che qualcuno dirà che invece bisogna andare e non lasciare tutto lo spazio a loro. Lo capisco davvero, ma a me nessuno ancora mi ha spiegato come si rompe quella compatibilità se stiamo là dentro, e come si evita che un ragazzino alla fine pensi, “vedi, con quelli ci si può convivere”. Perché no, non ci si può convivere. Perché l’ultima volta che qualcuno l’ha pensato è finita così: “Con un paio di musei della memoria e con le gite delle scolaresche che ancora oggi vanno a vedere i forni dove si bruciava la gente”. Uno schema che non si può riproporre. E la domanda alla fine è una, quando ci decideremo a tracciare quella linea che ci divide dal baratro? O forse ci siamo già caduti dentro senza rendercene conto…