Alla Mostra del Cinema di Venezia ci sono i tappeti rossi, le urla fuori dagli hotel e i film che “sono proprio come te li aspetti”. Tipo Frankenstein di Guillermo del Toro, uno di quei titoli che già sulla carta te lo immagini, con tutta l’aria barocca e i mostri tristi che ti guardano con gli occhi lucidi. L’estetica gotica, l’impronta visionaria, e i temi della diversità e della solitudine: tutto come da programma, firmato da uno che col mostruoso ci ha fatto carriera. In mezzo Oscar Isaac, Jacob Elordi, Christoph Waltz, Mia Goth, Felix Kammerer: insomma, il cast dei sogni di un cinefilo hipster col maglione largo e il vinile della colonna sonora già preordinato. Ma a Venezia, a raccontare come stanno davvero le cose, c’è uno che non la manda a dire: Zerocalcare. Ospite per Best Movie, s’è guardato il film e, nel tragitto in treno (con tanto di audio “un po’ ‘na merda” perché “me vergogno a fa’ e vocette”), ha postato su Instagram la sua personale recensione. Puro oro. “Frankenstein de Guillermo del Toro è esattamente quello che te aspetti da un film de Frankenstein de Guillermo del Toro.” La sorpresa, semmai, è che a spaventare non è la creatura. O almeno non per come ce la ricordavamo: “Non è quel mostro un po’ tozzo che se ricordavamo da ragazzini. È na creatura lunghina, un po' efebica che gira mezza nuda per tutto il film.” Insomma, Achille Lauro in versione gotica. “Hanno speso un botto de soldi per fare Achille Lauro. Praticamente sì.” Ecco, con una frase così, Zerocalcare spiega meglio di mille critici quello che succede sullo schermo: un Frankenstein esteticamente raffinato, ma senza quel guizzo narrativo che ti fa dire “cazzo, non me l’aspettavo”.

Ma a modo suo dice la cosa che tanti non hanno il coraggio di dire: che del Toro ha fatto un film bellissimo da vedere, sì, ma che sta dentro le righe. Una di quelle robe che si muovono tra la reverenza per il mito e l’assenza totale di rischio. Mentre l’unico vero rischio lo corre proprio lui, Zerocalcare, che dice le cose come stanno senza paura di sembrare snob o superficiale. E infatti colpisce anche nei dettagli. Come quando descrive la Creatura non solo fisicamente (“un altissimo Lucio Corsi”), ma anche emotivamente: “Creatura naïf e pura. Finirà a fare badante a un vecchio. Ci condividerà così a sorte ingrata che tocca a tutti i badanti. Accusati ingiustamente de orende nefandezze.” E in mezzo a questa poetica da centro sociale e Netflix, Zerocalcare trova pure la metafora sociale. Che non è da tutti. Alla fine, questo Frankenstein è un film che farà impazzire chi si struscia forte con l’immaginario di Del Toro. Ma se cerchi la sorpresa, forse te la dà più uno con l’accento di Rebibbia in un audio mezzo sgangherato che tutta la baracca hollywoodiana.
