Certe storie sembrano finite e archiviate. Poi succede qualcosa, un dettaglio, un rumore, una sensazione, e tutto torna. Così, mentre il mondo si riempie di plug-in e auto ibride, qualcuno rimette le mani sul motore diesel e si accorge che non è proprio tutto da buttare. Quel qualcuno è Guido Meda, che in un articolo pubblicato su Auto firma una "dichiarazione d'amore" tardiva, ma intensa. A fargli perdere la testa è l'Audi A6, un modello "ibrido, intelligente e diesel". Una specie di piccola rivoluzione, come lui stesso l'ha definita, dopo "anni di confino da Dieselgate". Meda non ha proposto una semplice "prova su strada", ma un racconto personale, fatto di padri, delusioni meccaniche e riscatti a gasolio. Perché il diesel, a casa Meda, "era nato proprio male". Il primo incontro è con il padre che abbandona il glorioso bialbero Alfa per una Giulia a diesel blu presidenziale, motorizzata Perkins 1.7. "Faceva un rumore orrendo. Tum tum tum. Lenta, spazzava via tutte le mie elucubrazioni e le mie aspirazioni da pilota". "Eh, ma consuma poco" gli disse ai tempi suo padre. Risposta? "E chi se ne frega".
Poi è arrivata la Nissan Patrol 3.3, il primo diesel da pilota. Brutta, consunta, bianca, con l'adesivo di un paperino incazzato. Ma capace di un gesto romantico: "si bucò la marmitta mentre vagavo in libertà per i monti della Tolfa e il mondo diesel divenne bellissimo". Un'illuminazione tossica e poetica. "Un rumore pieno e aggressivo faceva cocktail con il fumo di nafta". La storia si intreccia con Mercedes, Subaru, trattori e station wagon, fino a vent'anni di benzina e ibride. Ma il diesel resta lì, nell'ombra. E quando ricompare, lo fa con classe: l'A6 diesel è "un quattro in linea con una bella coppia, 190 cavalli e un telaio allungato per un'auto bilanciatissima, silenziosa… una comodità che non ho mai più sperimentato". Il diesel non è più quello dei camionisti col braccio fuori dal finestrino, è diventato "onestissimo nei consumi, silenzioso e con il cambio automatico". E no, non tossisce più.
