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Guido Meda, l’invito di Valentino Rossi ad apprezzare la lentezza e l’elogio dell’auto moderna e del suo silenzio: “Un luogo in cui prendere del tempo per sé stessi”

  • di Matteo Suanno Matteo Suanno

15 aprile 2025

Guido Meda, l’invito di Valentino Rossi ad apprezzare la lentezza e l’elogio dell’auto moderna e del suo silenzio: “Un luogo in cui prendere del tempo per sé stessi”
Lavorare stanca. Correre, nonostante l'estasi del brivido, pure. È un elogio della lentezza e, in particolare, della “macchina moderna” quello che scrive Guido Meda. Perché se da giovani i motori sono la chiave per l’eccesso, la sfida all’autorità del limite, più tardi si impara che “ci sono giorni in cui guidi per arrivare a altri in cui guidi per pensare”. Ed è lì che si scopre il mondo dentro l’automobile: “A guidare con la parte aggressiva della tua anima non ci pensi più e non ci trovi nemmeno qualcosa di male”. Del resto, scrive Meda, Valentino Rossi ci era arrivato – come sempre – prima di tutti: “L’uomo ha un bisogno naturale di momenti in cui essere veloci non serve affatto”

di Matteo Suanno Matteo Suanno

C’è un momento in cui si guida per guidare e uno in cui si guida per pensare. Sono entrambi parti della quotidianità di chiunque e, non di rado, sono metafore della vita che passa. Perché se si inizia volendosela spolpare – la vita e la strada – correndo veloci anche in macchina, spesso ci si ritrova appieno quando si inizia ad apprezzare la lentezza e lo spazio che questa lascia ai pensieri. E questa parte dell’esistenza di un viaggiatore la si apprezza al meglio in un luogo: “L’auto, quella moderna, è un posto esclusivo, accogliente e ovattato; perché delle vetture attuali potrai dire che perdano personalità, ma sul comfort è meglio fare silenzio. Silenzio, appunto, l’ambito nel quale i pensieri galleggiano più liberi”. Sono queste le parole che Guido Meda sceglie per raccontare quella che chiama la “macchina moderna” tra le pagine di Auto. Lui, che con la voce spinge i motori al massimo della loro potenza. Ma la guida non è solo un gesto tecnico, né il luogo in cui sfidare le leggi della fisica e l’ineluttabilità del tempo: “Quel posto lì, su ruote, diventa un cappello pensatore, un confessionale di se stessi con se stessi, un urlatorio, un vaffanculodromo, un palco per cantare stonando in libertà, un riparo dalle inquietudini, una via di fuga”, continua Meda.

Guido Meda
Guido Meda

Nel raccontare la macchina, Meda racconta l’essere umano. Che cambia, lambisce le proprie ferite, apprezza impara ad apprezzare ciò che la gioventù nemmeno contemplava abbandonando i sensi di colpa: “Diminuiscono i giorni in cui guidi per guidare, perché l’auto moderna è un ambito nuovo in cui si può addormentare la bella grinta del guidare di una volta. Che non serve e non ti viene più nemmeno naturale. Ti appassioni a tutte le cose bellissime che lei, la “macchina moderna”, può fare al posto tuo. Ti appassioni ai suoi silenzi. Ti abitui a sfiorare le cose con le dita per aprire alcuni dei suoi mondi. E pure i 130 all’ora regolamentari che prima ti parevano pochi, adesso sono tollerabili. Ed è tutto onestamente anche bello e sorprendente. Ti abitui alle soste per la ricarica prendendole con solitaria e serena filosofia. Quando iniziano le curve l’auto moderna può farti sentire la sua pesantezza e segnalarti l’esistenza di un telaio che è nato per la pura fruibilità. A guidare con la parte aggressiva della tua anima non ci pensi più e non ci trovi nemmeno qualcosa di male”. Ed è una sensazione che piano piano tutti iniziano a comprendere, risucchiati e tritati negli algoritmi istantanei della contemporaneità: È uno di quei casi – come diceva Valentino Rossi – in cui la lentezza la apprezzi perché l’uomo ha un bisogno naturale di momenti in cui essere veloci non serve affatto”. Come vi capiamo, eterni ragazzi.

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