Quando Jeremy Clarkson apre un articolo con “Non ho trovato una sola caratteristica degna di nota”, sai di essere al cospetto di un’esecuzione pubblica. La Mazda CX-80, passata sotto la lama affilata della penna del recensore più temibile al mondo su The Times, esce dall’esperienza non solo distrutta, ma intrinsecamente destinata al dimenticatoio. Come dire: qualcuno la noterebbe se Clarkson non la stroncasse? E qualcuno la noterà almeno dopo?
L’attacco è già una mazzata: “È un’auto ideale per la fuga, perché non c’è nessuno al mondo che saprebbe dire alla polizia che auto fosse.”
Un’auto talmente anonima che non solo il pubblico, ma neppure chi l’ha progettata, riuscirebbe a descriverla: “Non vedo come persino l’uomo che l’ha disegnata potrebbe riconoscerla, visto che evidentemente l’ha scarabocchiata durante una pausa caffè e poi se n’è dimenticato entro l’ora di pranzo.”
Clarkson racconta di essersi trovato la CX-80 davanti casa senza sapere nemmeno che auto fosse. Il colore? “Un bordeaux marroncino simile a quello che si trova sulle trapunte nei motel americani più economici.”
Le cromature? “Sembravano appiccicate a caso per farla sembrare elegante e sofisticata, ma con lo stesso successo di un tatuaggio su un maiale.”
E il prezzo? Qui si fa beffa vera: “Quasi 60.000 sterline. Sessantamila! Per una Mazda che nemmeno Mazda sembra aver voglia di riconoscere.”

Alla guida, la situazione precipita. Sul portellone posteriore c’è scritto “Skyactiv”. Un nome che evoca leggerezza, etere, dinamismo. Ma Clarkson è spietato: “Dà l’impressione che l’auto operi come se fosse appesa a una nuvola. E lo fa. Ma non una nuvola soffice di quelle sopra un prato di fiori. Piuttosto, una cumulonembo gonfia e sinistra sulla Louisiana pronta a scatenare un tornado.”
Il motore della sua CX-80 in prova? Un 3.3 litri sei cilindri diesel con distribuzione partially premixed compression ignition e un supporto mild hybrid 48V. Clarkson taglia corto: “Non ho idea di cosa significhi nulla di tutto ciò, ma posso riferire che il risultato finale, seppur efficiente ed ecologico, è rozzo come una chiatta.” E come se non bastasse, aggiunge: “Non andrete mai abbastanza veloci da notarlo, però, perché è dotata di un sistema di avviso sui limiti di velocità così intrusivo da sembrare progettato da un carceriere vendicativo.”
Il sistema si può spegnere, ma secondo Jezza solo a prezzo della sanità mentale: “Si può disattivare, sì, ma solo se siete un tecnico della Silicon Valley con due settimane libere prima di partire.”
E in caso decideste semplicemente di rispettare i limiti? Clarkson risponde con l’usuale, lapidaria ironia: “Guidare a 20 all’ora è antisociale, pericoloso e da Liberal Democratico.”
Ma il colpo di genio arriva quando racconta che perfino la sua strada privata viene riconosciuta dall’auto come zona 20 mph (poco più di 30 km/h): “Mi ha obbligato a scendere lungo il vialetto di casa mia come se stessi guidando un trattore con le ruote bucate.”
E se pensate che l’interno sia il momento della redenzione, sbagliate. Clarkson demolisce anche l’abitacolo: “Si potrebbe pensare che dentro sia una cattedrale del buon gusto. Ma non lo è. È una discarica del kitsch. Hanno provato a copiare Volvo, con il suo legno chiaro scandinavo che fa tanto architetto zen, e hanno finito per produrre un effetto lucido e pacchiano da negozio di cianfrusaglie a Skegness.”
I sedili sono configurabili in varie combinazioni. Ma, ancora una volta, Clarkson affonda il colpo: “La macchina non è abbastanza grande per far funzionare davvero nessuna di esse. O ci metti i bambini. O ci metti i bagagli. Non entrambi. A meno che tu non voglia piegare i figli come ombrelli.”
A chi si chiede se almeno qualcun altro l’abbia apprezzata, Clarkson risponde con disarmante ironia: “Lisa, la mia compagna, ha detto che le piaceva. Ma solo se indossava le cuffie per non sentire i beep. Poi le ho detto che costa sessantamila sterline. E non le è piaciuta più.”

Il giudizio finale è da epitaffio su pietra: “Mi dispiace per i progettisti. Sono entrati in Mazda per lavorare alla MX-5 o all’RX-7. Volevano fare auto che ringhiano, scoppiettano, si arrampicano sull’adrenalina. E invece gli hanno chiesto di disegnare un cassonetto a sette posti. È come chiedere a Dostoevskij di scrivere un dépliant. O ai Led Zeppelin di comporre musica da ascensore.”
E il consiglio al lettore? Brutale nella sua chiarezza: “Se avete bisogno di un’auto a sette posti, comprate un Volvo XC90 di tre anni fa. Non vi suona addosso ogni cinque secondi, ha un cruscotto che non sembra preso da un centro hi-fi di quart’ordine, e vi farà risparmiare 20.000 sterline.”
Clarkson chiude con una riflessione che è insieme diagnosi e condanna di un’intera epoca dell’automobile: “Mazda non è sola. Tutti i costruttori oggi sono costretti a pensare in modo sensato, ecologico, dentro i limiti. Ed è per questo che non riesco più a identificare nessuna delle auto che fanno. Scommetto che nemmeno loro ci riescono.”
