Jeremy Clarkson, con il suo stile tagliente e dissacrante, torna su The Sun con una nuova bordata diretta stavolta al mondo della Formula Uno. Il bersaglio? L’eccesso di visibilità, le interviste infinite, la scomparsa del mistero. E quei piloti che passano più tempo davanti a un microfono che a bordo pista. “Non è più divertente fare il pilota di Formula Uno”, scrive Clarkson. “Perché quando sei un pilota, guidi la tua macchina per tre ore a settimana e per le restanti trecento vieni intervistato da ogni dannato idiota con un iPhone”. Negli altri sport, dice, non funziona così. I calciatori scendono dal pullman, si chiudono negli spogliatoi, giocano, magari uno di loro dice qualcosa al volo a una telecamera, e via. “Ma in F1 no. Ti beccano prima, durante e dopo la gara. Se poi finisci sul podio, sei fregato: ti filmano anche mentre parli con gli altri due mentre bevi l’acqua”. Clarkson è caustico come sempre: “Se fossi un pilota in corsa per la vittoria, all’ultimo giro mi farei superare apposta per arrivare quarto e evitarli tutti”. Perché in mezzo a interviste ufficiali, conferenze stampa e comparsate, ci si mettono pure gli influencer: “Un esercito di idioti che ti piazzano il telefono in faccia per chiederti se preferisci i biscotti o il formaggio, il rosa o il marrone”.

Per contratto, e con avvocati meno bravi di quelli dei team, sei costretto a reggere il colpo. Con il sorriso. “Ma forse qualcosa sta cambiando”, scrive. Alonso in Australia ha detto che sarebbe stato gentile, sì, ma senza dire nulla. Verstappen ha risposto a una domanda sulla pioggia con: “Renderà la pista più scivolosa. Dovrò tenerne conto”. La retorica ha contagiato anche Drive to Survive. “All’inizio beccavi le litigate sussurrate, perché la gente non si accorgeva dei microfoni. Ora appena ne vedono uno con scritto Netflix entrano in modalità Pr”. Aston Martin? “Sembrava non ci fosse proprio”. E qui arriva la chiosa in perfetto stile Clarkson: “I piloti dovrebbero avere un po’ di mistero. Non voglio sapere cosa fanno dopo la gara o dove vanno in vacanza. Nella mia testa sono tutti James Hunt. Non modelli da pubblicità di dentifrici”. Poi, tra un giro e l’altro, Clarkson torna a parlare del Regno Unito e dell’ultima trovata del leader laburista Sir Keir Starmer, che vorrebbe pesare i cittadini e somministrare farmaci per combattere l’obesità. “Per una volta sono d’accordo”, scrive sarcastico, “un obeso è orribile da guardare, e io l’ho visto allo specchio”. Ma suggerisce un’alternativa: “Invece di imbottirci di farmaci, fateci mangiare cibo coltivato localmente”.

Non manca il ricordo (alla Clarkson) di Eddie Jordan, morto a 76 anni. “Sua moglie ha detto che ‘illuminava una stanza’. Verissimo. Di solito perché gli dava fuoco. Ho passato tante serate con lui. Non ne ricordo una”. Infine, una stoccata ai “buoni” del welfare: “Si dice che Starmer voglia tagliare i sussidi. Ma no, non lo farà mai. È nel suo Dna marxista pensare che chi lavora debba mantenere chi non fa nulla”. E così Clarkson chiude raccontando del suo giardiniere, arrivato al lavoro con un occhio nero e stordito come se avesse preso una pallina da cricket in faccia. “Non riusciva a ottenere un appuntamento medico, e ha passato il weekend a guardare i vicini disoccupati ricevere un televisore nuovo e far lucidare la macchina”. Più che una rubrica, un GP di provocazioni. E Clarkson, ancora una volta, taglia il traguardo prima degli altri.