Abbiamo intervistato Giulio Base. Regista, produttore, ora al cinema con Albatross. Un film della discordia. Tanti i commenti affrettati, diversi i cambi di opinione degli spettatori dopo aver visto il film in sala e parecchie le riflessioni attorno alla figura di Almerigo Grilz. Un uomo, un giornalista che, a distanza di anni, ancora fa pensare, discutere, decidere. Almerigo Grilz triestino dal passato piuttosto ombroso, con un passo sospinto verso l'estrema, estrema destra, ma ricordato soprattutto per una cosa. Per il suo lavoro. Il Cardinale Zuppi : “La sua storia è una storia importante, di un uomo coraggioso che faceva conoscere quello che era nascosto, che non esisteva perché non c'erano immagini, non si sapeva perché il paese era interamente paralizzato, ma non c'erano immagini che lo spiegavano. Davvero dobbiamo a lui la conoscenza di una realtà, quella del Mozambico, e il coraggio di andare e rischiare la vita come purtroppo poi è avvenuto per lui”. Base, nel 2019, ha sentito il suo nome e ha deciso di studiarlo, approfondirlo. A convincerlo è stato un aspetto della sua vita, e forse anche le parole di chi aveva conosciuto Grilz prima che morisse giovanissimo. Il regista, durante la nostra chiacchierata, ha specificato un aspetto importante: film su personaggi divisivi ce ne sono, e Albatross non è certo il primo. “Se non si potessero raccontare personaggi controversi o negativi, metà del cinema non ci sarebbe. Prima si vede, poi si valuta.” E qui viene da pensare se non sia davvero questo, alla fine, se non viva nell’idea di costruire un dialogo, abbattere un muro, arrabbiarsi, polemizzare, finire per litigare o per spedirsi messaggi di stima, il senso stesso di fare cinema. Staccarsi per sempre, unirsi grazie a un'idea, purché alla fine se ne parli. Sempre più. Di cultura.

Giulio Base, hai detto di aver iniziato a pensare ad Albatross nel 2019, per poi interrompere e riprendere solo negli ultimi anni. Cosa ti aveva fatto desistere dal portare avanti il film, e perché senti oggi la necessità di raccontare e recuperare la sua storia?
Nel 2019, la società con cui lavoro, One More Pictures, con cui avevamo già realizzato due film mi parlò di questa figura. Così feci una ricerca veloce e, d’istinto, mi venne da dire: “No, perché rischiare di affrontare una vicenda così divisiva e spinosa?”. Poi mi fornirono filmati e altro materiale, così approfondii e capii che era una storia che meritava davvero attenzione. Non solo: mi sono anche pentito di quella mancanza di coraggio iniziale. Sentivo fosse un’ingiustizia che alcuni suoi colleghi, solo perché schierati dalla “parte giusta”, venissero celebrati, mentre lui doveva essere dimenticato. Così ho deciso di metterci un po’ di coraggio e riprovarci, cercando un’idea giusta. Ho impiegato del tempo, finché mi sono imbattuto nell’introduzione di uno dei libri di Toni Capuozzo, che ha una storia politica e ideologica completamente diversa da quella di Grilz che mi ha fatto venire voglia di raccontarlo. Lui, pur essendo stato nel Partito Comunista e in Lotta Continua, scriveva che gli sembrava giusto dare dignità e memoria a un giornalista completamente dimenticato. E lì è nata l'idea.
Almerigo Grilz, “inviato di guerra indipendente”. Un personaggio molto divisivo: qual è l’aspetto della sua vita su cui vorresti che lo spettatore si soffermasse?
Avvicinandomi a lui, anche se in un dialogo muto, ho percepito qualità abbastanza uniche del protagonista. Non era solo un giornalista: scriveva in un italiano bellissimo, da piccolo vinse diversi premi, disegnava in modo sublime, e i quadri presenti nel film sono ispirati ai suoi dipinti. Era conosciuto a livello internazionale, aveva, dicono tutti, una leadership naturale e politica che forse lo avrebbe portato ai vertici governativi. Non ultimo, e questa è anche una cosa che mi piace pensare come imput per i giovani. Aveva uno spirito seppur piratesco, imprenditoriale: insieme ad altri ragazzi inventò in una sorta di covo un’agenzia di stampa, da cui il film prende il nome, che riuscì a fare concorrenza ai vari network importanti per decenni. Un po' mi viene in mente la favola di Steve Jobs che nel suo garage fonda Apple o Zuckemberg che nella sua camera fonda Facebook. Ragazzi che creano un'agenzia di stampa così dal nulla. E il concetto di libertà. Il film si muove anche sui territori del tempo, seppur in modo anacronistico: e poi, a proposito di tempo, penso che, se ne avesse avuto di più, determinati suoi pensieri li avrebbe forse cambiati.

Com’è stato dirigere insieme un maestro come Giancarlo Giannini e un giovane talento emergente come Francesco Centorame?
Bellissimo, in entrambi i casi. Giancarlo è una colonna del cinema mondiale. Mi colpì molto fin dalla prima lettura del copione: era contento di partecipare, ma mi disse che i monologhi voleva interpretarli nel modo più impersonale possibile, ed era esattamente ciò che desideravo anch’io. Misurava le parole: “Non voglio mettere enfasi”, diceva. E io ero (e sono) perfettamente d’accordo. Francesco, invece, è un bolide giovane, fresco. È stato divertente guidarlo perché ha potenzialità immense: è ricettivo, ascolta tutto e lo mette in pratica immediatamente. Si è messo completamente a disposizione, anche in condizioni difficili. È un “secchione”, diciamo. Non conosceva la storia, ma alla terza o quarta sera mi ha lasciato un vocale in triestino: lì ho capito che era quello giusto.
Sono nate diverse polemiche e riflessioni su “Albatross”. Ti dispiace che di un'opera cinematografica come nel tuo caso si parli più di politica che di questioni artistiche?
Sarei un bugiardo se dicessi che non me l’aspettavo. Fa parte di quel primissimo “no” che avevo detto anche a me stesso. È una storia che si presta immediatamente a essere attaccata. Se il dibattito fosse civile, se portasse a un vero dialogo, anche affrontato dal punto di vista politico, non mi dispiacerebbe. Anzi, sarebbe bello se servisse ad alzare un po’ il livello dell’ascolto e del rispetto reciproco. Quello che mi è dispiaciuto, però, sono stati i giudizi espressi prima di vedere il film. Come se non si potesse fare un film su tutto. Ma se non si potessero raccontare personaggi controversi o negativi, metà del cinema non ci sarebbe. Un film prima si vede, poi si valuta. Tanto è vero che chi ha visto il film, se cerca di attaccarlo, ha poche armi: non c’è una presa di posizione esplicita nel film. È evidente che il personaggio è raccontato in modo in parte eroico, ma c’è anche il mio personaggio che sottolinea ed interpreta una fascia di pensiero che la pensa diversamente, per far capire che non c’è reticenza. Le critiche le abbiamo lette e studiate. Se si vogliono discutere lati buoni e negativi del film e da lì avviare un dibattito, ben venga.
Ma alla fine non è positivo che si arrivi a discutere di cultura, parlando di cinema?
Certo, assolutamente.

