Ci vuole essere Massimiliano Parente, delle volte, per dire in modo chiaro e meglio di altro come non funzione un sistema. Sarà la sua passione per la scienza. O sarà perché è scrittore, davvero, e non siamo più abituati. Comunque scrivere, con la certezza di offendere inevitabilmente anche qualcuno che ti legge, un lungo post per infilare uno dopo l’altro alcuni dei principali problemi del sistema culturale italiano, non è da tutti, soprattutto se ancora pubblichi, se sei ancora letto e recensito; insomma, se a conti fatti potrebbe non convenirti. Ma se hai, come disse Aldo Busi in tv, un’opera alle spalle, non devi certo cercare di compiacere le meringhe dell’editoria (per meringhe si intenda: i rifattoni, i montati, ma che scarti restano). Si parla dal cambio d’epoca deprimente: “Una volta mi scrivevano aspiranti scrittori per chiedermi, con una certa umiltà, se potevo leggere il loro manoscritto. Word, pdf, anche stampato, con dediche patetiche tipo ‘a te che mi hai insegnato tutto’, io non ho mai voluto insegnare niente a nessuno, altrimenti non avrei fatto lo scrittore, avrei puntato a una cattedra universitaria e morto lì, e oltretutto dalla letterina di presentazioni capivi subito che era pesca a strascico, tu o un altro era uguale senza rendersi conto di quanto fossero uguali loro in partenza, figuriamoci all’arrivo. Tant’è che la stima, quando rispondevo che non avevo tempo o non mi interessava, diventava un “ma chi ti credi di essere”, e ok (cosa volevi da me allora?). Tuttavia adesso ti mandano direttamente il link Amazon del loro romanzo autopubblicato, e la frase è cambiata: ‘Ciao! Se ti va, mi farebbe piacere una tua recensione’”.

Il bello? Che forse quei libri non li hanno neanche scritti loro: “Nessun accenno alla stesura, al lavoro, alla fatica, che infatti non c’è siccome la novità è che non lo hanno scritto loro, l’ha scritto l’intelligenza artificiale. Magari non l’hanno neanche letto. Sicuramente non hanno mai letto niente di mio, altrimenti si guarderebbero bene dal mandarmelo (mi propongono perfino libri di poesie, a me), credo però non abbiano letto niente in generale. Si è sempre detto che gli italiani leggono poco ma tutti hanno un romanzo nel cassetto, ora tutti hanno un romanzo senza cassetto, scritto con l’AI e autopubblicato su Amazon, e hanno pure la spocchia di sentirsi indipendenti, liberi”. Il problema è anche dell’industria culturale (dai gigaeditori ai grandi distributori, oggi divenuti anche bacino per autori in cerca di self-publishing)? “Amazon sta diventando una discarica culturale perfetta, peggio dell’industria editoriale, che almeno è un’industria e vende a lettori veri. Invece un libro generato da un prompt, una copertina generata da un prompt, un autore generato da un nickname e sono tutti scrittori. Alcuni titoli sono talmente assurdi che sembrano fatti apposta per diventare virali, solo che sono solo l’algoritmo che tenta di capire cosa funziona: Il monaco che cambiò password, Come ho guarito la mia ansia con la respirazione del cinghiale, Dostoevskij per manager. E qualcuno li compra. Forse per sbaglio. (In realtà non so quanti li comprano, oltre all’AI che ti scrivono i libri dovrebbero fare anche le AI che li leggono)”.
E sì, l’Ia, che tutto può, o così pare ai più. Si parla solo di lei. Si scrive solo con lei. “Secondo un’inchiesta del Guardian, ci sono libri generati con l’AI venduti come saggi medici, consigli sull’Adhd, coaching esistenziale, tutto scritto da chatbot. Nessuna fonte, nessun controllo, nessuna coscienza, nessuno studio, nessun editor, nessuna redazione, solo stringhe di frasi in italiano corretto che sembrano avere un senso. Amazon dice che interverrà. Come no, intanto ogni minuto ne spuntano dieci. Così ricevo ogni giorno link a libri che l’autore non ha nemmeno sfiorato e tantomeno è sfiorato dal dubbio di non essere uno scrittore, neppure un autore, e in ogni caso dal non doversi rivolgere a me neppure sotto tortura, per dignità. Ma il futuro è questo? Gente che pubblica romanzi che non ha scritto per farsi recensire da qualcuno che non li leggerà? Il paradosso finale è che a volte mi tocca ammettere che non sono nemmeno peggiori di quelli che finiscono al Premio Strega (ecco, loro, che vivono di pubbliche relazioni da salotto e cene con gli Amici della Domenica farebbero meglio a usare l’AI). Un editore, l’altro giorno, mentre chiacchieravo su questo fenomeno, mi ha detto: ‘Dovresti scrivere un saggio su questo’. Gli ho risposto: ‘Ma lo staranno già scrivendo le AI’. ‘Appunto,’ ha detto. ‘Almeno scrivilo prima che lo pubblichino loro’”.
