In Another End c’è la stessa delicatezza di un sogno che si dissolve alle prime luci dell’alba e le stesse tante troppe ingenuità. A distanza di nove anni dall’ultimo film, Piero Messina ha presentato in concorso alla Berlinale 2024 Another End, quel genere di film che non convince del tutto la critica ma potrebbe fare innamorare presto il pubblico in sala. Il perno su cui Piero Messina sviluppa il film è la natura del ricordo e dell’identità. Ambientato in un futuro piuttosto prossimo, questo dramma romantico parla di Sal (Gael Garcia Bernal) un uomo che ha perso la compagna Zoe per un incidente in macchina. Divorato dai sensi di colpa e incapace di venire a patti col lutto si fa aiutare dalla sorella Ebe (Bérénice Bejo). Ebe lavora in un centro tecnologico dove si riporta in vita, tramite il progetto Another End, la coscienza dei defunti in un corpo ospite ma solo per un breve periodo di tempo. Il corpo ospite scelto - pericolosamente - più volte da Sal per interpretare la moglie morta è quello di Ava (Renate Reisve alla Berlinale con due film, tra cui A Different Man); in questo tipo di tecnologia che ricorda a tratti Westworld, si ‘scaricano’ i ricordi del defunto sull’ospite e si cerca di fare superare il trauma a chi è ancora in vita. Ci sono tante domande che permangono durante la visione, e anche alla fine di Another End, e va benissimo perché non credo che il cinema debba diventare uno spiegone o necessiti per forza di conclusioni, ma neanche rischiare di scivolare nel pasticciaccio confusionario.
Ciò che fa Piero Messina è prendere la natura nebulosa dei ricordi e applicarla alla storia: perché l’ospite non può replicare il defunto troppe volte? Come si scaricano i ricordi da un corpo morto? Come facciamo a sapere di non essere noi stessi gli ospiti dei transfert che gli altri fanno su di noi? È possibile continuare ad amare qualcuno nel corpo di un altro? E da quest’ultima domanda partono i paragoni con la cinematografia mondiale, perché il difetto maggiore di Another End è la mancanza di una identità ben precisa: da L’inafferrabile signor Jordan (il remake più conosciuto è Il paradiso può attendere), fino a Il sesto senso, passando Strange Days, Se mi lasci ti cancello agli episodi delle serie Twilight Zone, Black Mirror oppure Outer Limits. Ma quanti incontri ci vogliono per dire addio a una persona? Gli ospiti non hanno memoria delle sessioni, si risvegliano in dei bozzoli bianchi in una specie di hangar gigante per iniziare una nuova giornata nella loro vita reale, qualunque cosa significhi reale.
Ma quanti incontri ci vogliono per dire addio a una persona? Gli ospiti non hanno memoria delle sessioni, si risvegliano in dei bozzoli bianchi in una specie di hangar gigante per iniziare una nuova giornata nella loro vita reale, qualunque cosa significhi reale. Messina non è molto interessato a illustrarci questo mondo parallelo o questo futuro distopico, e va benissimo, sembra più concentrato a ritardare il più possibile i colpi di scena concentrandosi sul lato più romantico e stucchevole della vicenda. Sal non usa le sedute a disposizione per dire addio, e non sembra neanche intenzionato a scoprire di più di quella tecnologia, ma a voler dare un continuo ai suoi sentimenti tramite Ava per chi è realmente, così quando lei stacca come ‘ospite’ lui inizia a pedinarla sul posto di lavoro. Così mentre di Sal sappiamo poco e nulla, di Ava scopriamo che una spogliarellista con un passato incasinato. Gael Garcia Bernal fa un lavoro straordinario e sostiene l’intero peso del film, anche quando il film sembra dimenticarsi di se stesso e da dove è partito. Che gioiello sarebbe stato Another End se si fosse concentrato sul processo del lutto? E per lutto non intendo per forza una morte, ma anche quando l’amore svanisce tra due persone, indipendentemente dalla relazione che instaurano. Così questo secondo lungometraggio di Pietro Messina, che avrebbe tanto da dire ma non sa come dirlo, è stato accolto tiepidamente a Berlino, vittima dell’impossibilità di farci fare reset e cercarci un altro finale.