Col tempo, abbiamo imparato a circoscrivere il tema della follia. L’abbiamo conosciuta con il volto di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo, nel rinomatissimo giallo Shutter Island, tra le righe poetiche di Alda Merini e le perizie dello psichiatra Vittorino Andreoli. Di primo acchito, pensiamo a elettroshock, lobotomie e altre violenze inenarrabili, mentre in realtà le cose, dalla legge Basaglia – l’11 marzo vi è stato il centenario della sua nascita - in poi, dentro i centri di riabilitazione psichiatrica, sono cambiate. Invisibili e insidiose, le malattie mentali hanno ricevuto negli ultimi anni nuova voce, nella speranza anche di potersi liberare dallo stigma della vergogna che le ha da sempre accompagnate. Negli ultimi dieci anni sono aumentate notevolmente le narrazioni che parlano di salute mentale, diventando quasi di tendenza, soprattutto tra i giovanissimi, tra serie tv e libri best seller. Stefano Redaelli, professore di Letteratura Italiana presso la Facoltà di Artes Liberales dell’Università di Varsavia, si è interessato ai rapporti tra scienza, follia, spiritualità e letteratura, temi che emergono con forza nei suoi ultimi lavori, tra i cui Beati gli inquieti e soprattutto Ombra mai più (editore NEO, 2022). Il protagonista di quest’ultimo romanzo, Angelantonio, è appena uscito dal centro psichiatrico Villa delle Farfalle e si ritrova, richiamato al mondo come in un viaggio a ritroso, catapultato nella sua vecchia e sospettosa città.
Occuparsi della follia non è un compito facile, come non lo è averci a che fare nel quotidiano e confrontarsi con la sofferenza più profonda. Sviluppando questo difficile tema, Redaelli utilizza un linguaggio che muta e si modifica, passando da incursioni nello slang giovanile, a citazioni di versetti biblici, facendo del mondo interiore dei personaggi, il cuore pulsante del romanzo, in grado che indaga nel profondo la loro capacità di esprimere emozioni e modi di essere. È significativo, è importante, ritrovare nella letteratura una rappresentazione dell’universo della follia dove finalmente la protagonista è l’esperienza umana, al di là della malattia, e dove i malati non sono visti soltanto come contemporanei Don Chisciotte alle prese con mulini a vento invisibili. Angelantonio sostiene che “Quando torni nel mondo, del mondo ti devi fidare”: è stato per tre anni ospite di una struttura psichiatrica e, una volta uscito, il suo sogno è quello di poter pubblicare il libro che ha scritto sulla sua follia, vissuta dall’interno e da vicino. È tutto fuorché semplice: il tempo è inclemente, i genitori sempre più anziani, e la società lo guarda con sospetto, paura e compassione. L’unica immutabile certezza resta il grande platano di quando era ragazzo: l’accostamento tra l’uomo e gli alberi ripercorre l’intero romanzo nei suoi capisaldi, dalla “madre bonsai”, al titolo stesso del romanzo, Ombra mai più, riferimento al platano ombroso dell’infanzia del protagonista che lo ha accolto e protetto. Il punto di forza del romanzo è il racconto proprio di quella fragilità che accomuna tutti: quella che tendiamo a semplificare in matti e sani, in buoni e cattivi. È una fragilità che parla una lingua misteriosa, la lingua della follia, del mondo, ma anche della saggezza dei folli, personaggi con una debolezza e una fragilità, che tuttavia non ne vengono vinti.
Il libro è stato anche proposto dallo scrittore Daniele Mencarelli al Premio Strega 2023 perché “I gesti di fiducia sono molto più frequenti di quel che si pensi. In fondo, la nostra vita è regolata da questi gesti, reciproci, di riconoscimento dell’altro e delle sue azioni. Poi ci sono gli scarti, quelli di cui non ci si può fidare, quelli che per tradizione e istituzione giocano il ruolo dei pericolosi, inaffidabili, imprevedibili. I malati mentali, così come i detenuti, gli ex tossicodipendenti, fanno parte di questa umanità tollerata solo se tenuta a distanza.” Redaelli ha scritto un romanzo nel quale il coprotagonista dell’uomo è il suo coraggio: significa letteralmente “avere cuore”. Nell’antichità, infatti, era il petto umano il luogo in cui risiedevano i sentimenti, il centro della vita spirituale e i desideri più profondi. Ecco perché l'espressione “avere cuore” significa avere “forza d'animo”: il coraggio è una virtù ampia che si dona all’incerto e al pericolo e che predispone al sacrificio. Angelantonio ha l’esperienza di chi conosce il dolore, di chi sa che forse le domande che ha posto sono sbagliate e sono da cambiare. E allora quanto coraggio serve per spiccare il volo? Quanto per togliersi, finalmente, dall’ombra?