Tony Sosa, Francesco Tony, Tony Opaco, Tony Lo Svelto, Tony il Fantino, Luca Tony, Tony Fendi, Valentony Rossi, Chef Tony, Papa Tony Bergoglio, Tony Baby, Tony Boss. Questa è una lista, non esaustiva, dei numerosi soprannomi con cui Tony Effe ama farsi chiamare, perché a differenza dei comuni mortali a lui i soprannomi non li assegnano gli altri, magari anche in modo offensivo, ma se li fabbrica da sé periodicamente. Spazia dallo sport alla moda, dalla religione alla televisione, ma sceglie sempre e solo i numeri uno per autorappresentarsi, attirando così da un lato gli sberleffi di chi non ne coglie l’ironia, dall’altro la simpatia di chi invece riesce a vedere oltre la facciata, ma anche di chi si ferma solo a quella. Sicuramente tanti dei viaggiatori, che si sono trovati a passare alla Stazione Termini in questi giorni si saranno indignati davanti allo spazio allestito per la promozione del disco la scorsa settimana, quando è stata annunciata a sorpresa l’uscita di Icon, il secondo album da solista di Tony Effe. Specificamente, una pseudo cappella è stata costruita e aperta al pubblico nel mezzo della stazione con tanto di inginocchiatoi e altare, dietro al quale impera una foto del divo, tra cui erano seminati indizi sulle collaborazioni incluse nel disco, ormai note. Questa megalomania, però, non è tanto da leggere come celebrazione sfacciata dell’ego, Tony Effe non crede mica di essere Dio e nemmeno il rapper più bravo d’Italia, è solo un ragazzo nato e cresciuto in una città che naturalmente ti imprime una visione del mondo monumentale e inevitabilmente sacrale. Tony è romano, di Rione Monti per essere precisi e ha sempre rimarcato la sua provenienza in tutti i modi in cui era possibile esprimerlo, dalle canzoni ai tatuaggi, dalle collane a forma di Colosseo ai soprannomi Roma-centrici e oggi che vive a Milano tutto questo immaginario si vela un po’ di malinconia, quella di chi si è allontanato dalla sua origine ma soprattutto dalla sua infanzia.
Il Tony di Icon non è più il Tony Effe della Dark Polo Gang, il gruppo non-gruppo che lo ha reso noto, non perché voglia rinnegare un percorso, ma semplicemente perché è maturato e comincia a guardarsi indietro, come nella copertina guarda la foto del se stesso di qualche anno fa, quando faceva i tour nelle discoteche insieme agli altri membri della gang, Side Baby, Pyrex, Wayne Santana e Sick Luke, tutti comunque presenti nel disco con qualche contributo. In Particolari sporchi emerge tutta la nostalgia per l’infanzia e i vent’anni trascorsi nella spensieratezza, Vorrei tornare un bambino canta, mentre nel ritornello viene campionata Tu corri dei Gemelli Diversi, ripescata direttamente dalla sua adolescenza. Con questi pezzi più conscious, come nel rap si definiscono quelli più personali e intimisti, Tony ha dimostrato di saper spaziare in tutti i repertori del genere, dal gangsta rap a quello più commerciale, dalle canzoni d’amore a quelle più goliardiche, ma non è per questo che Tony Effe è diventato un’icona. Tale riconoscimento, a differenza dei mille soprannomi, gli viene direttamente dalla sua gente, la sua fanbase, limitandosi per una volta a prendere atto della realtà, senza fantasticare.
Tony Effe non ha mai avuto sogni di rivalsa né economica né sociale, ha sempre goduto di un certo benessere e non ci interessa spiegarne il motivo, ma non c’entra la famiglia, che, come si è visto nel servizio de Le Iene, è una normalissima famiglia italiana. Ed è proprio per questo che dal pubblico generalista viene più invidiato o a limite deriso che apprezzato come artista, perché a differenza di quasi tutti gli altri rapper in lui il successo non è giustificato con la ricerca del sogno e l’intenzione nella passione ma semplicemente con il divertimento. Ci si dimentica troppo spesso quando si ha a che fare con l’arte, ancora di più se si tratta di musica, che una grossa componente della creatività sta proprio nel divertimento e nella dimensione del gioco, in cui si è più propensi alla sperimentazione proprio per l’assenza della serietà e del peso dell’Arte. Tony Effe ascoltava la techno da ragazzino, ha iniziato a rappare per caso per ammazzare la noia di un pomeriggio in compagnia di Wayne, Side e Pyrex che invece erano dei veri e propri intenditori del genere. Così a forza di giocare a fare il rapper e ad autocelebrarsi con soprannomi ed espressioni elogiative Tony è finito per farlo veramente il rapper e diventare anche un’icona di massa in modo credibile e con il rispetto di tutta la scena rap contemporanea. A leggere il testo di Dopo le 4, se non siete troppo impegnati a cercare frasi sessiste o antifemministe, noterete addirittura un Tony Effe sponsor di Body Positivity e inclusività, anche in questo caso senza aver mai fatto proclami né facendosene paladino (“Mi piacciono le donne, le magre, le tonde, Quelle del Medio Oriente, le more, le bionde”). Se Nicolò Rapisarda è diventato Tony Effe è per merito della sua creatività, del popolo dei social e del web ma soprattutto del suo modo di essere distaccato e a tratti annoiato dalla carriera da rapstar, atteggiamento di per sé sufficiente a garantirgli una certa eleganza che lo ha portato a essere considerato l’icona che è. Caro Tony, per oggi il soprannome te lo diamo noi: Tony Icon.