Il Garofano Rosso Film Festival, alla sua quarta edizione, è un festival che parla di identità di genere, libertà e inclusione sociale. Sessanta film, otto categorie, e tanti talk. Tutto il programma ha un obiettivo preciso: raccontare “la marginalità”. Un Festival che, come recita la stessa presentazione sul loro sito, “pensa all’incomunicabilità e all’acuirsi di diversità già aspre in passato, e al buio che tutto questo comporta, per le vite di tutti”. Al timone di questa nave immaginaria che approda in un’isola, anzi in un paese freddissimo, che è Forme di Massa d’Albe (senza ricezione telefonica), in provincia dell’Aquila, location di svariati capolavori del cinema come La Bibbia di John Huston e Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini, c’è Valentina Traini. Regista, documentarista diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia di L’Aquila, e finalista all'Academy Student Award nel 2018, grazie a Exhibit Human un documentario co-diretto con Arianna Vergari e Marco Camilli. Noi le abbiamo chiesto quali sono le sfide più grandi relative alla gestione di un festival come il Garofano Rosso in Italia e sul "valore trascurato" del cortometraggio... Ecco l’intervista completa a Valentina Traini.
Quali sono le principali sfide che affronti nella gestione di un festival cinematografico come Garofano Rosso?
Organizzare e promuovere un’iniziativa culturale in un piccolo borgo di 400 abitanti, nelle aree appenniniche, interne presenta sicuramente delle criticità importanti. Prima di tutto, la gestione del rapporto con la comunità locale è qualcosa a cui dedichiamo molta cura e attenzione: è fondamentale che questa sinergia non si spenga mai, e che lo scambio sia sempre assolutamente fluido e bilaterale. Da parte nostra, c’è la volontà di offrire a tutti una proposta culturale ricca e alternativa, spesso difficilmente accessibile in contesti come il nostro, e la comunità risponde sempre con curiosità e apertura, manifestando un’incredibile voglia di accogliere tutti gli stimoli ma anche tutti gli ospiti con cui interagisce in maniera diretta (o indiretta) durante la settimana del festival.
Un'altra difficoltà?
Sicuramente quella più evidente, a noi così come a tutte le altre organizzazioni che provano a promuovere la cultura in Italia e ovviamente faticano a sopravvivere: il reperimento di fondi. Purtroppo la promozione culturale è attualmente un comparto in perdita, e non riscontriamo un reale interesse a salvarlo, sia da parte delle istituzioni nazionali ma soprattutto da quelle locali. La nostra iniziativa è in sicuramente in crescita, e quindi necessità di un impegno anche economico maggiore, motivo per cui siamo costantemente alla ricerca di soluzioni creative per restare a galla. Ultima difficoltà, ma sicuramente non la meno importante: organizziamo un festival in un paese senza ricezione telefonica. Vi lascio immaginare.
Qual è la risposta del pubblico locale e internazionale al festival? Quali strategie usate per attrarre spettatori da fuori?
La nostra è una realtà ancora giovane, ma è in crescita costante. Negli anni abbiamo avuto ospiti in presenza provenienti da ogni parte del mondo: Turchia, Iran, Inghilterra, Germania, Spagna, Stati Uniti. È una cosa che ci inorgoglisce incredibilmente. Questa in particolare è stata un’edizione da record in termini di partecipazione, che ha sicuramente superato ogni mia aspettativa. Il pubblico ha seguito tutte le serate con grande costanza ed entusiasmo, ma la cosa che più mi soddisfa è il feedback assolutamente positivo ricevuto da ogni ospite che ha visitato il nostro borgo durante la settimana del festival. Tutti hanno percepito l’incredibile lavoro di cura che l’organizzazione porta avanti per fare in modo che gli autori siano al centro dell’iniziativa. Ecco, forse questa è l’unica strategia che mettiamo in atto: fare innamorare tutti di Forme e del Garofano Rosso, e fino ad ora ha avuto successo.
Come pensi che il cinema indipendente e i festival come Garofano Rosso possano affrontare le sfide legate alla distribuzione e visibilità dei film in un'era di streaming?
Francamente credo non ci sia più possibilità di arginare queste problematiche, che ormai sono troppo culturalmente radicate. Io stessa, lo confesso, cedo molto spesso alle lusinghe del VOD e rinuncio ad andare al cinema quando invece dovrei. Credo che iniziative come il Garofano Rosso siano comunque necessarie, perché permettono ad un dispositivo come quello del cortometraggio di sopravvivere e di circolare. È un formato trascurato che trova spazio quasi esclusivamente nei circuiti festivalieri, ed è un vero peccato perchè invece offre agli autori una straordinaria libertà espressiva, permettendo di sperimentare senza le limitazioni che il mercato e l'industria cinematografica impongono. Non dovrebbe essere visto semplicemente come un punto di partenza per la carriera di un regista, ma piuttosto come una forma d'arte autonoma e un rifugio creativo, dove è possibile esplorare idee e narrazioni con una libertà che altrove sarebbe impensabile. Credo che sia fondamentale quindi impegnarsi per cercare di dare il giusto spazio e il giusto valore a chi sceglie di prendere determinate strade.
Essere una donna, regista e attivista in Italia è già un percorso impegnativo. Quali sono stati gli ostacoli più difficili da superare, sia a livello personale che professionale, nel lanciare e dirigere un festival come il Garofano Rosso?
Direi che, più semplicemente, in Italia è impegnativo essere donna. Gli ostacoli legati alla mia professione però sono sicuramente legati ad altri fattori, anche se devo dire di averli superati e di aver trovato posto il mio posto in un mondo nuovo, che qualche anno fa non pensavo neppure che potesse interessarmi. Come sottolinei, nasco come regista diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia, e ho iniziato a lavorare come programmer di festival quasi per gioco. Mi sono innamorata di questo lavoro immediatamente, e ho deciso di buttarmi a capofitto in questa avventura. Oggi considero il Garofano Rosso la mia piccola creatura, e la vedo lanciata senza ostacoli verso una bella crescita soddisfacente.