C'è un po' di tensione. Dove? Dappertutto. Quando? In ogni momento. Questo il titolo dell'ultimo tour prodotto da The Comedy Club, dello stand-up comedian Sandro Cappai. Il ragazzo classe 1993 che voleva fare il rapper, fan di Kanye West (ma anche di Nas). Co-fondatore del progetto Stand-up Comedy Sardegna, nei suoi monologhi si ritrova spesso a fare i conti con la paura. Gli psicologi, l’ansia. Un dramma affrontato con l'arma dell'ironia. “Oltre alla terapia, anche la comicità è stata una forma di esorcismo. Mi ha colpito un messaggio ricevuto da una persona che non soffre di ansia, ma che grazie ai miei pezzi è riuscita a comprendere meglio un amico ipocondriaco con cui aveva spesso discussioni. Queste cose mi fanno capire che sto facendo qualcosa di utile”. Del resto, anche gli esperti lo dicono: ridere è il modo migliore per esorcizzare il dolore e quei pensieri che scorrono dentro di noi senza tregua forse si possono fermare così. Sandro Cappai ci ha raccontato di quella volta in cui alcune persone se la sono presa con lui per un video sui social, di quanto sia grande Milano, e di quanto gli manchi Cagliari. Ecco l’intervista a Sandro Cappai.


Sandro Cappai. In una recente intervista hai detto che Milano è la capitale italiana della comicità. E Cagliari, invece, cosa rappresenta per te, considerando le tue radici?
Non ricordo bene dove ho detto questa cosa di Milano, ma è possibile. Comunque, essendo la Sardegna una nazione, Cagliari è la capitale della comicità sarda. È la mia città: ci sono nato, cresciuto e ho iniziato lì la mia carriera da comico. Mi sento un comico cagliaritano a prescindere dai temi che tratto sul palco o dalla direzione che ha preso la mia carriera.
In un’intervista a Tintoria hai raccontato che un tempo volevi fare il rapper. Quali erano i tuoi punti di riferimento?
Ho avuto molte influenze americane, più che italiane. Sicuramente sono stato, e probabilmente lo sono ancora, un grande fan di Kanye West. Se devo dirne un altro, dico Nas. Perfino Kanye West ammette che Nas è un rapper migliore di lui, direi che questo la dice lunga.
Se dovessi esibirti davanti a Kanye West, quale spettacolo porteresti?
Il pezzo su di lui del mio nuovo spettacolo, non dico altro. Sperando che la prenda bene...
C’è uno sketch di un tuo collega che avresti voluto scrivere tu?
Sì, ce ne sono tanti. A volte capita di ascoltare un pezzo e pensare: Che genio!, altre volte invece provi una vera e propria fitta di gelosia perché avresti voluto pensarci tu.
Magari anche solo una battuta che ti ha colpito e che avresti voluto “rubare”?
Un pezzo di Pete Holmes che ho sentito di recente: parla di quando sei a una festa e, all’improvviso, ti accorgi che ti stai comportando in maniera un po’ troppo esuberante. È come se uscissi dal tuo corpo e ti guardassi dall’esterno dicendoti: Ma che problemi hai? Mi ci sono ritrovato tantissimo e ho rosicato. E poi una battuta di John Mulaney: parla di come i comici prendano spesso in giro chi crede in Dio, e lui dice: Ma chi è che crede in Dio, oggi giorno? Beh, mia madre crede in Dio. Ed è una brava persona. Mi ha fatto morire.
Qualche tempo fa hai dichiarato che la comicità funziona quando è al limite. Perché?
Sono d’accordo che la comicità possa funzionare quando è al limite, ma non è una regola assoluta. C’è un fraintendimento diffuso sulla stand-up comedy: non è obbligatorio parlare solo di argomenti pesanti. Ci sono tantissimi comici molto bravi che trattano temi leggeri. Detto questo, quando si toccano temi più delicati, bisogna capire fino a che punto ci si può spingere e se si hanno gli strumenti per farlo. Negli ultimi anni si è discusso tanto di politicamente corretto e cancel culture, ma alla fine i comici si guadagnano il diritto di parlare di qualsiasi cosa, finché il pubblico accetta di seguirli.
Hai raccontato spesso della tua ansia e ipocondria. L’autoironia ti aiuta a vincere la paura?
Sì, assolutamente. Non so se valga per tutti, ma nel mio caso è stato fondamentale. Parlarne sul palco mi ha aiutato tantissimo a gestirla. Non è che non sia più ipocondriaco, ma ho imparato a conviverci meglio. Oltre alla terapia, anche la comicità è stata una forma di esorcismo. Mi ha colpito un messaggio ricevuto da una persona che non soffre di ansia, ma che grazie ai miei pezzi è riuscita a comprendere meglio un amico ipocondriaco con cui aveva spesso discussioni. Queste cose mi fanno capire che sto facendo qualcosa di utile.
In uno degli ultimi video che hai condiviso, parli del femminismo e delle richieste estreme delle donne. Com’è stata la reazione?
Quel video mi ha fatto passare tre settimane d’inferno. Minacce nei Dm, commenti arrabbiati, storie di insulti… C’è un’idea diffusa che le femministe si indignino facilmente, ma la verità è che chi si arrabbia di più sono sempre gli stessi: fascisti, maschilisti e conservatori. Quelli che dicono di essere contro il politicamente corretto sono gli stessi che mi hanno attaccato per un pezzo di stand-up, senza accorgersi che stanno facendo esattamente ciò che criticano: indignarsi e rompere le scatole a un comico.
Sei molto seguito sui social. Ti spaventa l’idea di finire vittima di un’aggressione mediatica per un vecchio tweet o un fraintendimento?
No, non ci penso. Certo, capita che qualcuno si indigni per una battuta, ma nulla di clamoroso.
Dove ti vedremo a breve?
Al momento sono in tour con C’è un po’ di tensione. La prima parte si chiuderà ad aprile, poi ci sarà una seconda parte in autunno e, forse, anche un tour estivo.

