La tesi centrale di Marx a Wall Street (Piemme, 2025) non è soltanto che per comprendere il presente e lo stato attuale del capitalismo finanziario si debba tornare all’autore del Manifesto e del Capitale; ma che, marxianamente, per cambiare il sistema attuale, che ha anche assunto i connotati di una religione basata sulla deregulation (economica, seguendo l’ideologia della destra, e morale, seguendo quelli del progressismo liberal di sinistra), serva tornare al socialismo così come immaginato da Marx. Uno sforzo che non è isolato ma che, soprattutto in Italia, viene spesso criticato proprio dalla nuova sinistra e dai cosiddetti filosofi postmoderni, che di Marx preferiscono tenere pochissimo, applicando pedissequamente l’invito malsano di Carla Lonzi a “sputare su Hegel” (e dunque sui suoi diretti discendenti filosofici). Diego Fusaro, in questo senso, torna a una visione sistematica del capitalismo e della società basata sul marxismo ortodosso, grazie al quale, pur aggiornato al tempo presente, tenta di indicare la strada da seguire per una nuova utopia socialista.

Nel libro scrive che Marx è meglio di Keynes. Perché?
Allora, in estrema sintesi, Marx è preferibile a Keynes perché Keynes ci spiega come salvare il capitalismo, mentre Marx ci spiega come salvarci dalle sue calamità. Da liberale, moderato e riformista qual era, Keynes non pensava al superamento del capitalismo, ma riteneva che lo si potesse in qualche modo addomesticare e rendere più docile. Marx, invece, a mio giudizio in maniera più puntuale, aveva capito che il capitalismo è irriformabile ed è, per usare una sua espressione, “la contraddizione in movimento”. Già questo mi permette di dire che Marx è preferibile a Keynes. Inoltre, oggi, nel tempo dei disastri ambientali, la prospettiva di Keynes di una crescita con maggiore distribuzione della ricchezza, che sicuramente lo rende preferibile al coro dei neoliberali, non è più attuabile. Ci vuole semmai un socialismo della decrescita, come quello che l’ultimo Marx, dopo Il Capitale, aveva elaborato nei suoi manoscritti legati alle questioni biologiche e ambientali.
Di recente, nel libro Il Capitale dell’AntropoceneSaito Kohei, sostiene una visione simile. Crede che ci sia una consonanza tra gli studiosi di Marx a livello globale?
Non parlerei di un consenso univoco. Ci sono ancora liti abbastanza accese tra impostazioni diverse: hegeliani e antihegeliani, produttivisti e decrescisti. Lo studioso che lei cita, che ha scritto anche L’ecosocialismo di Karl Marx, coglie però un punto essenziale: l’ultimo Marx sosteneva che si potesse uscire dal capitalismo anche tramite vie laterali, come le comuni rurali russe, senza dover passare dal punto più evoluto del capitalismo, ovvero l’Inghilterra. Oltre alla contraddizione primaria dello sfruttamento della forza lavoro, esiste anche una contraddizione secondaria, quella dei limiti naturali allo sviluppo capitalistico. L’idea della crescita illimitata, fondativa del capitalismo, è incompatibile con quello che Marx chiama il “ricambio organico con la natura”. Molti marxisti non lo comprendono, perché continuano a essere ammaliati dall'idea di un Marx prometeico e produttivista, che semplicemente vuole una crescita non più legata allo sfruttamento della forza lavoro. Questo è ciò che è stato fatto, per esempio, in Unione Sovietica: un modello infinitamente preferibile al capitalismo, sia chiaro, ma che non è riuscito a uscire completamente dalla contraddizione del produttivismo.
Lei parla di un nuovo feudalesimo, che chiama “capitalesimo”, e cita Aristofane e il suo Pluto. Crede che il denaro sia diventato una nuova religione laica?
Direi proprio di sì. Per usare un’espressione de Il Capitale, “il denaro da servo della produzione diventa signore”. Il capitalismo finanziario è, di fatto, denaro che genera altro denaro, senza più passare attraverso la produzione di beni e servizi. Questo processo ha portato all’assolutizzazione del denaro. Di per sé, il denaro non è vile, né era disprezzato dai Greci, dai Romani o nel Medioevo. Il problema sorge quando, come accade oggi, il denaro diventa il fine stesso del sistema economico.

Marx è ancora letto dalla sinistra italiana ed europea? Per esempio, Elly Schlein lo ha letto?
A mio giudizio, no. E se lo ha letto, non lo ha capito. Io da tempo non chiamo più questa sinistra “sinistra”, ma “sinistrash”, come titolava un mio libro di due anni fa. È una sinistra comica, che pensa di essere la soluzione, mentre è parte del problema tanto quanto la destra, o “destrash”, se preferite. Se fosse vivo Lenin, oggi tuonerebbe contro l’Unione Europea. Già all’epoca diceva che l’Unione degli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico sarebbe stata l'Unione dei capitalisti d'Europa contro i lavoratori d’Europa. La sinistra attuale non legge Marx e probabilmente lo considera un autore totalitario, dato che ha aderito al mito della “open society” neoliberale. Ha abbandonato la lotta di classe e la lotta all’imperialismo, finendo per difendere le classi dominanti.
Si è parlato molto di Papa Francesco come unico vero marxista nel mondo. Lei cosa ne pensa?
No, il Papa, che a mio giudizio peraltro non è neanche il papa, dato che per me il pontefice resta Ratzinger, che non ha mai abdicato, non ha nulla di marxista. Semmai ha un tono vagamente “left-oriented” organico ai moduli della società attuale, che è economicamente di destra e culturalmente di sinistra, per una deregulation economica di destra e della deregulation antropologica di sinistra. Bergoglio non ha nulla di marxista nella misura in cui non propone un cambio di modo della produzione in via rivoluzionaria alla maniera marxiana. Non propone una lotta all'imperialismo. Si limita – ed è già qualcosa, va detto – a denunciare le aggressioni della Nato o i massacri a Gaza, ma non porta avanti una protesta radicale in senso marxiano. Dunque, Bergoglio non mi sembra marxista, bensì un liberale di sinistra.
Giorgia Meloni crede sia effettivamente una conservatrice, come dice di essere, o è anch’essa sottomessa alle logiche del capitalesimo?
Giorgia Meloni rappresenta il “coté droite”. Quando sento dire che è fascista, scoppio in una fragorosa risata. Semmai è possibile che la sua posizione sia addirittura peggiore del fascismo storico, perché è perfettamente integrata nel neoliberismo contemporaneo, che è la variante dominante dello spirito del capitalismo. Meloni rappresenta un capitalismo con qualche venatura conservatrice, ma ridicolmente conservatrice. Volere la tradizione e l’identità accettando il capitalismo, che distrugge tradizione e identità, significa difendere le cause opponendosi agli effetti.

L’alleanza tra Trump e Musk rispecchia la logica del sistema attuale o l’inizio di una nuova fase del neoliberismo?
Non considero Trump e Musk fascisti, ma liberisti estremi. Dobbiamo liberarci dallo stadio mentale del “fascismo eterno”. Il fascismo non c'è più, è morto e sepolto, per fortuna. Ma questo non ci deve esentare dal vedere le contraddizioni di un presente che, per più versi, sembra anche peggiore dello stesso fascismo. Trump e Musk, così come Biden, incarnano il capitalismo in forme diverse. Tuttavia, credo che siano solo una fase temporanea, perché lo spirito del capitalismo è meglio rappresentato dall’anima liberal-progressista alla Biden o alla Elly Schlein.
In Europa abbiamo tempo prima di diventare come l’America di Wall Street o è già troppo tardi?
L’Unione Europea è ormai un laboratorio repressivo neoliberale, il tempio vuoto del capitale finanziario. È diventata un duplicato di Wall Street. Non è più un argine al capitalismo finanziario, ma il suo strumento.
Lei crede che sia possibile rifondare una vera sinistra o è un progetto ormai perduto?
Ritengo che la dicotomia destra-sinistra sia esaurita. Entrambe sono le due ali dell’aquila neoliberale che vola sempre più in alto, mentre manca un’azione politica che parta dal basso, dalle classi lavoratrici. Dobbiamo riarticolare il conflitto economico secondo la dicotomia “alto-basso”, o, hegelianamente, “signore-servo”. La verità, diceva Hegel, è nel servo e non nel signore. Questo deve essere il programma minimo di ogni ripensamento politico del presente.
Esiste oggi un leader che potrebbe guidare questo cambiamento?
Attualmente, in Occidente, non ne vedo alcuno. Nutro speranza in Xi Jinping e nella saggezza cinese, che sta contenendo gli impulsi imperialistici della civiltà del dollaro e sta riorganizzando un’economia su basi socialiste. Non è perfetta, ma rappresenta una reale alternativa alla barbarie capitalistica occidentale.
Non teme che questo rafforzi l’idea che il marxismo sia intrinsecamente antidemocratico?
Ogni civiltà ha la sua storia. In Cina, prima di Mao, non esisteva una democrazia splendente. Erano in una condizione semi-feudale, da cui il socialismo ha permesso di uscire. Questo non significa che il socialismo europeo debba essere uguale a quello cinese. Anzi, io auspico un socialismo democratico, che neghi l’Unione Europea e l’ordine capitalistico.
Questa è l’utopia di cui parla nella conclusione del suo libro?
Sì. L’idea di un’umanità finalmente fine a se stessa, sottratta al giogo del capitale. Non ho paura di recuperare la parola “socialismo”.
