Diego Fusaro torna in libreria con il suo ultimo libro, La dittatura del sapore. Larve, insetti e grilli: contro il gastronomicamente corretto (Rizzoli, 2024). Il filosofo marxista e fichtiano dedica il suo saggio a una critica puntuale della globalizzazione anche in ambito culinario, dove il politicamente corretto ha portato a proporre il “piatto unico” della società dello spettacolo. L’uomo? È homo neoliberalis, cioè merce tra le merci. E il cibo? Non serve più a nutrire ma a mostrarsi, come “sacerdoti” del sistema tecnocapitalistico. E come si sta comportando il governo italiano? Ecco cosa ci ha detto.
Partiamo dal titolo, cosa intende per “dittatura del sapore”?
Intendo il fatto che si sta imponendo su scala planetaria un modo di mangiare che non è una scelta dei popoli o un’evoluzione delle identità che spontaneamente avviene, ma che è in larga parte indotta dalla classe capitalistica transnazionale che sta imponendo e propagando questo nuovo menù globalizzato che io definisco la variante del pensiero unico del politicamente corretto, che diventa anche piatto unico del gastronomicamente corretto.
Ha parlato della spettacolarizzazione consumistica del cibo e il cibo diventa la nuova religione del nostro tempo. Quindi è lo spettacolo la religione del nostro tempo, giusto?
Proprio così, è una delle forme della religione contemporanea. Possiamo dire che la divinità fondamentale è il mercato e poi, nel sancta sanctorum del mercato troviamo lo spettacolo, la tecnoscienza, il politicamente corretto e molte altre determinazioni ancora. Indubbiamente la nostra è la società dello spettacolo, come aveva già puntualmente detto Debord. E il cibo stesso diventa spettacolo, basta accendere la tv per vedere infiniti programmi di show cooking con chef stellati che esibiscono il cibo, che diventa, da prodotto culturale che era, una semplicemente merce reclamizzata tra le tante.
Anche su Instagram va molto, c’è un aspetto performativo.
Sì, è il cosiddetto “food porn”, i piatti prima di venir mangiati vengono esposti, quasi che il lato spettacolistico valesse più di quello nutritivo sia sul piano materiale che su quello simbolico.
Lei ha anche combattuto una battaglia contro l’abuso dell’inglese. Ora sente parlare di “food porn”, “food influencer” e “cooking show”. L’uso dell’inglese è un segnale?
Sì, rientra a peino in questa figura dello sradicamento linguistic oche la globalizzazione sta operando, imponendo a tutti un’unica lingua, l’inglese dei mercati e non quello di Shakespeare o Wilde. L’inglese che serve solo alle dinamiche mercantili. È il linguisticamente corretto.
Abbiamo parlato di religione, ma stavolta l’uomo è solo “merce tra le merci”. Cosa vuol dire?
Che l’uomo diventa semplicemente un sacerdote dell’apparato tecnocapitalistico, parafrasando Heidegger. Diventa semplicemente un mediatore di merci, che divengono i veri soggetti del paesaggio capitalistico. Diventa sempre più una pedina eterodiretta, un guscio vuoto, svuotato di ogni identità e di ogni prospettiva. Potremmo dire, sempre parafrasando Heidegger, che l’uomo sempre meno esiste e sempre più è alla stregua di tutti gli altri enti e di tutte le altre merci.
È questo l’homo neoliberalis di cui parla?
Sì, l’ho neoliberalis è sostanzialmente un uomo liberista in economia, libertario nella cultura, resiliente, in grado di sopportare tutto in silenzio. È lo schiavo ideale dell’antro platonico, che oggi diventa un antro globale.
Senza forma (quindi tutte le forme), resiliente. Sembrerebbe un tumore…
Certamente, la fluidità è la cifra della società liquida di cui parlava Baumann, o del prevalere del mare sulla terra, per dirla con Carli Schmitt. Ciò che è fluido non ha un suo contenuto.
Lei parla dell’uomo come di un “ontofago”. Mangia ciò che è e soprattutto l’essere circostante. Quindi anche gli animali. L’uomo “non può” essere vegetariano? O da vegetariano è un uomo monco?
Il paradosso della condizione dei viventi sulla terra è che tutti si mangiano tra loro e in qualche modo, quindi, Schopenhauer aveva colto una verità quando diceva che il mondo è l’infinito scenario della volontà che si autocannibalizza, gli enti che si mangiano tra loro, sopravvivere è l’alternativa tra mangiare o essere mangiati. Il vegetarianesimo è una rispettabilissima forma culturale, radicata nella nostra civiltà dai pitagorici a oggi. Il problema è quando il vegetarianesimo o il suo fratellino minore, il veganismo, divengono una moda cool, fintamente oppositiva e segretamente complementare ai processi di valorizzazione capitalistica. Quindi la mia critica non va al vegetarianesimo, che è rispettabile, ma oggi tende a diventare una moda ostentata tra le tante. Viviamo nel tempo della cibomachia, il cibo crea conflitti tra vegetariani e vegani, tra fruttariani e carnivori. Si producono conflitti legati al cibo.
Insetti e farine di grillo, anche in questo caso non è contrario ai cibi in sé quanto al fatto che vengano imposti.
Penso che, come sempre accade con la cosiddetta libertà liberale, il fatto che una cosa non venga imposta ma venga resa possibile, determina poi il fatto che sarà economicamente imposta a chi non potrà permettersi altro. Per esempio, nessuno impone alle donne di affittare il proprio utero, ma è la loro condizione economica a imporglielo. Ugualmente, nessuno imporrà di mangiare le farine di grillo o le mosche, ma sarà la condizione economica delle classi più deboli a non permettere loro di mangiare altro. La libertà liberale non realizza la libertà degli individui, anzi la sacrifica per l’unica libertà ammessa e riconosciuta che è quella del mercato.
L’hamburger del McDonald’s, spiega, è stato il primo “cibo postmoderno” senza identità o cultura, ma ora si è inserito nella nostra cultura, ed è un simbolo americano (una cultura che possiamo odiare, ma comunque cultura resta). Non potrebbe succedere lo stesso con la faria di insetti?
Io credo di no. Il McDonald’s è il simbolo dello sradicamento di una cultura, di una distruzione dell’identità. Com’è noto le identità, come le culture, possono esistere solo al plurale. Se ce n’è una sola viene meno l’identità stessa come rapporto tra identità. Lo stesso credo possa avvenire con queste nuove mode planetarie.
Lollobrigida lancia la leva agricola. Utopia sovranista e georgica o una bella iniziativa?
Credo si possa solo ridere di fronte a queste uscite. Questo governo era partito con il tema della sovranità e un po’ alla volta ha rinunciato a ogni sovranità, quella politica, quella economica, quella militare. Gli resta solo la carta della sovranità alimentare, ma anche lì sembra barcollare.
“Solo un Dio ci può salvare”, o c’è un governo che potrebbe farlo?
Non questo sicuramente. Sarebbe necessario un governo, poco conta se di destra o di sinistra, che rimettesse al centro la sovranità nazionale come base per riconquistare spazi di democrazia e indipendenza. E quindi per tornare a fare politiche sociali e socialiste. Ma ora siamo nel periodo di ciò che ho definito, in Demofobia, “l’alternanza senza alternativa” tra destra e sinistra neoliberali.