“Gianni Versace ha inventato la donna potente”: Carla Bruni, tra le voci del documentario presentato al Torino Film Festival di Mimmo Calopresti, Gianni, l’imperatore dei sogni, descrive così l’impatto di Versace sulla moda e sull’idea che le donne hanno di loro stesse. Vestite di seta e pelle, realizzate e vincenti. Le sfilate ideate dallo stilista calabrese non erano le solite catwalk in cui le modelle guardano fisse davanti a loro. C’era lo show, il buio, i sorrisi: anche nella comunicazione del suo stile Gianni Versace è stato innovativo. Le sue campagne erano affidate a fotografi come Richard Avedon, in un momento in cui lo stilista era anche colui che decideva le scelte negli shooting. Invece, Versace decise di affidarsi a un’altra mente creativa. La sua immaginazione era comunque in costante movimento. Sono pochissimi i momenti in cui lo stilista è fermo davanti alla telecamera a parlare di sé. “Un designer deve essere colto: deve leggere, ascoltare la musica”: se la moda vuole essere qualcosa che rimane nel tempo deve ispirarsi al mondo in cui sorge, all’arte e all’epoca che sta vivendo. Smentendo se stessa, rifiutando la sua definizione effimera. Santo Versace, il fratello di Gianni, ricorda come lo stilista non smettesse mai di lavorare, la sua creatività traeva sempre spunto da qualcosa di nuovo. Da giovane spiegava i film e i libri che leggeva agli amici. Era timido, anche se gli abiti che creava sembravano suggerire il contrario. Forse per questo è stato grande: ha saputo proiettare la sua anima in quello che faceva. I suoi sogni diventavano materia. Il documentario di Mimmo Calopresti unisce alle testimonianze reali di chi ha conosciuto Gianni una messa in scena della sua infanzia a Reggio Calabria, della nascita della sua passione e l’ammirazione per la madre sarta. “Il film non è un documentario sulla moda. E non è l’agiografia acritica, quella che oggi si chiama elegantemente biopic di chi, venuto dal niente, ha costruito un impero”, ha chiarito il regista. L’imperatore dei sogni è, piuttosto, un excursus su un’eccellenza che dall’Italia è arrivata in tutto il mondo. E poi, la morte: quella morte incomprensibile, a cui il documentario solo accenna. Due colpi di pistola. I volti distrutti dei presenti al Duomo di Milano al funerale: Elton John, Naomi Campbell, Lady Diana e Giorgio Armani, il quale aveva confessato di considerare Gianni Versace “l’altra metà della mela”.
“Sto vivendo il mio sogno. Quale? Quello di essere Gianni Versace”: senza bisogno di aspirare a diventare nessun altro che non fosse se stesso, Versace ha cambiato le donne, gli uomini e la loro immagine. Un cambiamento che, al contrario della caducità della moda, resterà per sempre. Gianni, l’imperatore dei sogni ha fatto discutere soprattutto per il “rifiuto” della direzione della Festa del Cinema di Roma, che ha valutato il documentario di Calopresti come “non idoneo”. Lo stesso regista ha poi dichiarato alla Gazzetta del Sud che, con ogni probabilità, è stato Santo Versace a far ritirare il film dalla manifestazione. Minerva Pictures (di cui Santo è presidente), produttrice al 50% dell’opera, ha fatto sapere che la famiglia Versace si era ritirata dal progetto e che “il film non era pronto” al momento dell’evento romano. Ora il film è arrivato al Torino Film Fest e, dopo un accordo con la famiglia Versace, uscirà anche nelle sale. Al di là di tutto, i film sono più importanti delle polemiche. Specie se ritraggono persone come Gianni Versace, capaci di vestire di metallo la pelle delle donne. Una moda quasi paradossale che fraintende la propria natura passeggera. “Abbiamo bisogno di vino, non di champagne”, qualcosa che rimanga e che non si annulli l’istante successivo alla creazione. Un sogno, quello di Gianni Versace, che è ancora oggi materia vivente.