Lorenzo Luporini, nipote di Giorgio Gaber e di Sandro Luporini, ha in comune con i due grandi maestri l’attenzione per la parola. Luporini junior (alla seconda) incanta chiunque lo ascolti, lo abbiamo visto spesso sul canale di Venti (di cui è co-direttore creativo insieme a Sofia Viscardi e Irene Graziosi). Quando gli viene dato il microfono per dire la sua su temi come la sessualità, l'amicizia e la nostalgia ci riporta indietro nel tempo, a quei modi gentili e a quelle conoscenze maneggiate con grande cura dai suoi nonni. Se riesce a essere così bravo da dietro uno schermo, figuriamoci che effetto possa fare dal vivo su una classe di ragazzini ogni volta che entra in una scuola per parlare di musica e teatro. Lorenzo Luporini, infatti, lavora (anche) per la Fondazione Giorgio Gaber, una realtà nata nel lontano 2006 dall'imprenditrice Dalia Gaberscik (la figlia di Gaber che nel documentario di Riccardo Milani, Io, Noi, Gaber - che tornerà nelle sale il 12 e 13 dicembre - sembra tenere la mano allo spettatore in sala per condurlo nella città e nelle poesie di suo padre con una delicatezza che fa commuovere), Roberto Luporini e Paolo Dal Bon. Lorenzo si occupa principalmente di curare i laboratori e le lezioni-spettacolo per la Fondazione al fine di divulgare in modo circostanziato l’opera del grande artista. Perché è sempre tempo per riascoltare i testi del Signor G, è sempre tempo per immaginarcelo assieme a noi in questo presente incerto. Gaber aveva parlato quasi di tutto: comunismo, suicidio, fatti di cronaca... Persino in queste settimane per rispondere alla nefandezza del pensiero attualissimo e a quella sensazione di intorpidimento del potere di fronte ai sempre più frequenti casi di violenza di genere, ognuna di noi sta alzando la voce per “un amore - che dovrebbe essere - senza alcun appuntamento col dovere” (Gaber, Quando sarò capace di amare). Ma perché di fronte alle mille domande che ci facciamo ogni giorno sul senso di questa vita e delle cose che succedono attorno a noi, alla fine è sempre in Gaber che troviamo una risposta? Sicuramente, come ci ha detto Lorenzo, i suoi nonni anni fa ci avevano visto lungo, lunghissimo, mentre noi, oggi, ce ne stiamo un po’ troppo fermi. Ci sono degli eredi di Gaber nella musica italiana contemporanea che possono perlomeno avvicinarsi a quel tipo di cantautorato impegnato? Luporini preso alla sprovvista ci ha fatto qualche nome. Willie Peyote è uno di quei fari nella notte che in Metti che Domani omaggia il Signor G: “Libertà è partecipazione. Ma se il maestro vedesse in che situazione siamo adesso cambierebbe posizione. Costretti a esprimere sempre un'opinione, non fai in tempo ad averne una. Aspettiamo un blackout per tornare a guardare la luna…”. Ma cosa ne pensa il giovane Luporini di quel passaggio di inizio carriera di Gaber, dalla televisione al teatro-canzone? Ancora, cosa succede quando si abusa delle parole, come accade con la trap, genere musicale accusato di essere portatore sano di ogni male a causa di testi intrisi di violenza e sessimo gratuito? Che fine fa la poesia? Ecco tutto quello che ci ha raccontato.
Cosa vuol dire essere il nipote di Gaber?
È una fortuna immensa, un privilegio. Fare queste attività nelle scuole e sul palcoscenico per la Fondazione Giorgio Gaber mi riempie di enorme orgoglio.
Com’è nata l’idea dei laboratori per le scuole e le attività culturali della Fondazione?
Ho rilevato un’attività meravigliosamente svolta da Andrea Pedrinelli nel 2013 che prima di me organizzava incontri nelle scuole. Diciamo che ho iniziato a lavorare in Fondazione prima di tutto come supplente. Ad alimentare l'interesse dei ragazzi sull'argomento credo sia stata la vicinanza d'età tra me e loro. Ho riscontrato nelle classi un grande effetto curiosità e per cinque anni abbiamo fatto tantissime lezioni (siamo a quota cento) in Piemonte, Lombardia, Toscana anche nel Lazio ed è stato molto bello perché si trattava di un confronto sincero tra me, Gaber e gli studenti. Vedere persone nate dopo di me e di mio nonno parlare e rispondere alle domande, ai temi e alle parole scritte cinquant'anni fa è emozionante.
Qual è la domanda e l’intervento più curioso che ti hanno fatto durante un laboratorio?
Allora, io di solito faccio vedere il Gaber più legato al monologo perché credo sia un linguaggio molto attuale (anche non molto lontano al mondo di Internet se ci pensi). Uno studente un giorno mi ha parlato di Io mi chiamo G (Bambini G) in cui Gaber dà voce a due bambini, uno che nasce ricco e uno che nasce povero. Il ragazzo è venuto da me per dirmi che questo testo lo aveva colpito tanto perché l'autore con una certa ironia era riuscito a raccontare cose serissime. Ecco quella riflessione, quella attenzione alle cose, che dire, mi aveva molto emozionato...
Come è stata la collaborazione con Francesco Centorame?
L'impegno in Fondazione di Francesco mi commuove continuamente. Fa un sacco di cose per noi, si spende sempre con affetto. Si è approcciato a Gaber - se non erro - perché glielo aveva consigliato il suo terapeuta e credo che sia una persona sinceramente innamorata di Gaber e di Luporini. Lui che viene dal mondo per certi versi pop di Skam si è sempre speso, come racconta anche nel documentario Io, Noi Gaber, per far conoscere il mondo di Gaber, per condividere un fenomeno come questo del cantautorato sempre più di nicchia ai suoi coetanei.
Le parole e le domande di Gaber e Luporini causano ancora disagio e imbarazzo come se avessero la stessa forza di allora. Ma sono i problemi ad essere sempre gli stessi? O era Gaber ad essere stato così tanto avanti da riuscire a predire il futuro?
Ieri eravamo all'Università Aldo Moro di Bari con Paolo Dal Bon, Presidente Fondazione Gaber, e Paolo diceva che i testi di Gaber e Luporini di quarant'anni fa sono attuali oggi e lo saranno ancora fra quarant'anni e io ho subito pensato 'beh se così fosse dovremmo chiede loro scusa perché significherebbe che in tutto questo tempo noi siamo rimasti fermi immobili'. Ecco, ripenso anche al monologo Sogno in due tempi recitato da Mercedes Martini, sembra che sia stato scritto ieri, io ho il sospetto che Luporini e Gaber sì, ci abbiano visto lunghissimo, ma è pur vero che noi ci siamo mossi molto poco.
Nei testi di Gaber e Luporini tutto ruotava a attorno alla parola pensata. Cristiana Capotondi a La 7 ha detto: “Ma l’avete ascoltata la musica trap? Non c’è da stupirsi se un giovane considera una donna come un oggetto”. Cosa ne pensi di questa affermazione?
Non mi piace parlare di queste cose. Le canzoni non sono i capri espiatori della società. Bisogna indagare il contesto culturale in cui questi fatti di cronaca si trovano ad essere e chiedersi: “Dov’è lo Stato?”. La 'caccia alla trap' non mi ha molto appassionato.
Tornando al duo Gaber e Luporini, il passaggio dalla tv al teatro canzone per sfuggire alle logiche di mercato può essere vista come una forma di protesta nei riguardi della scena musicale del tempo?
Sicuramente. La loro scelta è stata abbastanza punk, è una alternativa abbastanza radicale passare dalla carriera pop a quella teatrale. La cosa più interessante secondo me è il cambio di paradigma che hanno proposto. Ad esempio, io non sono mai andato ad un concerto di un cantante senza conoscerlo o senza che qualche mio amico mi ci trascinasse perché magari conosceva a memoria tutte le canzoni del suo artista del cuore, ecco invece, anni fa nei loro spettacoli era tutto diverso. Tu andavi ad uno spettacolo di teatro canzone e non potevi sapere cosa sarebbe successo. Si entrava in un luogo in cui le cose accadevano e basta. Un meccanismo per certi versi simile alla stand up comedy.
Ci sono degli artisti oggi che secondo te si avvicinano un po' a quel cantautorato impegnato di Gaber?
Allora, dovrei pensarci bene. Così su due piedi, posso dirti degli artisti che hanno omaggiato Gaber come Ghali che in Cara Italia cita Destra e Sinistra e Willie Peyote in Metti che domani canta “libertà è partecipazione” poi ancora, Brunori Sas, Eugenio in Via Di Gioia, c'è tutta una classe di persone che si sono spese anche a fare cose con noi. Andrea Mirò, Madame e molti altri...