Abbiamo intervistato Federico Russotto, regista emergente classe 1996 che ha già alle spalle due cortometraggi di successo: L’Avversario, che ha vinto la Menzione Speciale della Giuria ad Alice nella città ed è stato candidato nel 2022 tra i finalisti del prestigioso Student Academy Awards, e Reginetta, vincitore del premio per il “Miglior Contributo Tecnico” alla 37esima Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Reginetta (disponibile su Rai Play) è la storia di Lisetta, una giovane contadina, che negli anni Cinquanta viene scelta per le selezioni di Miss Italia. Visto che le sue misure non sono quelle richieste dai tanto famigerati “canoni” estetici, l'unica chance per lei di diventare 'reginetta' è sottoporsi a un doloroso processo di trasformazione fisica... Russotto con questo film ci ha fatto sentire la sua voce, la sua poetica o meglio, essendo un horror, le sue grida. Il regista che non ha neppure trent’anni, sta già volando alto nel cinema italiano con uno sguardo saldamente riposto ai maestri dell’industria cinematografica come Luchino Visconti (il suo corto Reginetta si ispira a Bellissima). Noi siamo sicuri che di Russotto, l'uomo “alla ricerca delle scintille”, sentiremo parlare sempre di più, non soltanto per i suoi film ma anche per il suo amore per un genere, horror, spesso bistrattato e dimenticato, che nelle sue parole invece si fa riscoprire. Ecco cosa ci ha raccontato sul suo film, il potere popolare della settima arte, la sua passione per la “paura” e su Comandante di De Angelis…
Il tuo cortometraggio Reginetta è davvero ispirato al film Bellissima di Visconti?
Sì, quel film per me è stato un riferimento fondamentale. La rappresentazione dell'ossessione di una madre per il cinema e per il “telone”, come viene descritto in Bellissima, ha influenzato molto la scrittura del mio corto. Tuttavia, sin dall'inizio ho voluto distanziarmi il più possibile da quel modello, integrando nel cortometraggio elementi di un immaginario completamente diverso, come quello di Cronenberg e Ari Aster. L'obiettivo era fondere insieme questi due mondi apparentemente così lontani.
La scelta del titolo è stata tosta?
Non è stato facile, poi credo che trovare il titolo significa trovare il film. “Reginetta” è emerso durante una fase di ricerca approfondita.
Qual è stata la difficoltà più grande che hai riscontrato?
Trovare l'attrice giusta. Chiara Ferrara, la protagonista, ha frequentato l'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico ed era in classe con mia sorella. Cercavo un'attrice che fosse misteriosa, magica, con un volto che potesse evocare anche un senso di nostalgia. Quando è entrata nella sala delle audizioni, ho capito subito che era lei quella giusta.
Hai una fissa sul set? Sei solito fare una determinata cosa durante le riprese?
Tocco tutto. Infatti gli scenografi, i costumisti mi odiano (ride, ndr). Mi piace molto mettere le mani sulle cose, che poi alla fine fare un film è esattamente questo no? Costruire una tela, realizzare un quadro e per farlo spesso io mi sposto, risistemo le cose, curo i dettagli. Forse sono un po’ troppo preciso come Visconti (ride, ndr).
Abbiamo parlato di grandi Maestri, come si possono avvicinare i classici del cinema ai più giovani?
Cercando di raccontarli un pochino con semplicità senza appesantire. Troppo spesso il cinema viene fatto percepire come qualcosa di lontano, della serie “se non hai visto dieci film non puoi capire questa cosa”, ecco invece credo che un film come Bellissima lo si possa capire subito. Penso che i cult di questo calibro vadano raccontati con più semplicità. Ho sempre paura di chi parla del cinema come qualcosa per pochi. Ricordiamo che i grandi film sono spesso e volentieri del popolo, per il popolo, nel senso più positivo e aperto della parola.
Quanto conta il soggetto di una storia per determinare il successo di un film?
Per me è tutto. Se non ho la scintilla che mi accende, se non trovo un'idea che non è mai stata sviluppata da nessuno, a me non parte lo slancio. Quando ho una storia fra le mani che decido di raccontare, tengo sempre a mente quello che voglio io e quello che può piacere al pubblico. Mal sopporto chi realizza film soltanto per se stesso.
Un film uscito quest’anno che ti è piaciuto molto ma che altri non hanno apprezzato?
Direi Comandante di De Angelis. Nonostante avessi sentito tante critiche spostate più sul versante politico che strettamente legate alla trama, sono andato a vederlo al cinema con poche aspettative. E invece con sorpresa ho trovato un film che era l'opposto rispetto a come veniva raccontato. Comandante è un film che mi ha sorpreso dal punto di vista ideologico, soprattutto per la discrepanza che c’era tra come è stato recepito dai colleghi e da me. Appena uscì nelle sale si decise che era il film di destra e così tanti secondo me non lo hanno neppure visto.
Cosa ti ha avvicinato al genere horror?
Credo che l'horror sia sempre stato visto come un genere di serie B, puro intrattenimento: passi due ore di paura e poi te ne vai. Tuttavia, c'è molto di più. Quando si parla di paure e di persone, si entra in un territorio psicoanalitico molto complesso. Se guardi capolavori come Shining o Rosemary's Baby, capisci che c'è altro. Mi sono avvicinato all'horror perché mia madre mi faceva vedere questi film quando avevo solo otto anni.
Qual è il sottogenere che ti affascina di più?
Direi il body horror che ho esplorato anche in Reginetta. Cronenberg mi ha sempre colpito. La mosca è un film totalmente folle, non puoi smettere di guardarlo, ti affascina e ti eccita in modo inspiegabile. È quell’elemento incomprensibile dell'horror che ti spinge a continuare a guardare, anche se non sai bene perché.
Chi dice di non voler vedere film horror ha dei limiti?
Sì, questo mi conferma che l'horror ha un potere superiore a quello che appare. Ha un impatto emotivo così forte che alcune persone non riescono a sostenerlo. Per molti, è quasi qualcosa di rimosso.