Chissà quanti e quali sogni di dorata gloria editoriale si aspettava l’entusiastica “squadra” di The Hollywood Reporter Roma quando, Concita De Gregorio, colma del suo piumaggio da red carpet post-giornalistico, come nella fantasmagorica entrata di Cristo a Bruxelles di James Ensor, o magari i garibaldini vittoriosi e festanti lungo il Cassaro palermitano nel 1860, ha dato l’avvio alla cosetta narrativa cinematografica nella convinzione che gli onanisti filmici e di serie tv si sarebbero precipitati a tenere sotto braccio, appunto, il loro magazine, feluca culturale ulteriore, ostentazione di un sapere incarnato nella società dello spettacolo dei tamburini globali; per la postura esatta si pensi a chi, candida persona “di sinistra”, ostentava L’Espresso al tempo delle stragi di Stato. Sci nautico sugli script, parapendio sulle trame, annesso dildo per prima seconda e terza visione assolute sui più segreti peli anali dello schermo e il desk altrettanto globali. Immaginando così di fare concorrenza alle voci più laicamente interessanti che la trincea della rete custodisce sul medesimo tema cine-tele-maniacale. Nell’ordine: il prof Carlo Righetti e l’inafferrabile Pietro Vega, quest’ultimo l’unico vero Fantomas della pertinenza filmica. Quanto al Righetti, costui, da noi interpellato proprio sul “cupio dissolvi” della rivista nella prospettiva di un più ampio ammazzacaffè, si è subito espresso, ne riportiamo fedelmente il pensiero: “Sulla chiusura di quel sito penso solo che è l'ennesima conferma dell'autoreferenzialità di un mondo che ‘ancora ci crede’. Piccole realtà che sprecano passione, giovani critici che si autoalimentano con una ingenuità che faticherei a definire ‘reiterata’. In realtà se dovessi avere un pensiero, netto e cinico: direi come sempre che la critica cinematografica (compreso il mondo di HR) è un mondo triste, un mondo di finti disperati (ma in realtà con il cu*o parato) che vivono il cinema come un vernissage per acchiappare fi*a. E dove l'incompetenza e l'ignoranza cinematografica regnano come regola. Il nome tutelare è la De Gregorio, ed è da lì che si parte. È proprio il ‘business’ che c'è dietro che è sbagliato. C'era un'ambizione di base verso qualcosa che era ‘giocoforza’ destinato al fallimento. Per questo, da persona che conosce l'ambiente della critica cinematografica, faccio davvero fatica a empatizzare con chi ci si è buttato dentro, in questa cosa che partiva già come una sconfitta”, parola di Carlo Righetti, professore e membro eminente di un collettivo anti cinefilo che ha sede sull’altura di Montefiascone.
La storia ne ha visto infine, al più crudele dei fotofinish, dei “final Cut”, la disfatta, una Waterloo editoriale per “The Hollywood Reporter Roma”. Per principiare il racconto del dramma, ecco le dimissioni del direttore responsabile Concita De Gregorio. La lapide, i titoli di coda terminali, testamentari, come già nel caso de l’Unità, dove la signora era stata fortissimamente voluta, imposta, bramata, innalzata, sublimata da Walter Veltroni, consegnati alle agenzie, salutando i lettori già frementi e la stessa redazione presto orfana come “la guardia stanca” al Palazzo d’Inverno con i crudeli bolscevichi a premere con le baionette sul portone per mettere fine al già assiderato governo provvisorio del menscevico Kerenskij. Così la nostra nel suo ultimo editoriale: "La forza di un progetto: la fine di una stagione, il viaggio verso nuovi orizzonti. Come avevo promesso, ho messo a disposizione del gruppo le mie competenze editoriali e il mio entusiasmo. Ho creduto e credo che il cinema, le serie tivù, la musica e la moda siano i linguaggi attraverso cui si formano oggi il sentimento di realtà, la cittadinanza, i desideri e le consapevolezze". Sembra di sentire un sottofondo sommesso d’organo ad accompagnare il recit conclusivo. Da lì a poco l’avremmo comunque ritrovata, salva, in scena, affermando che “il teatro è la vita vera”, con lei sempre più piumata, debuttando come attrice: “Sul palco ritrovo la felicità, il sogno e la cura”, al Teatro Argentina di Roma con ‘L’origine del mondo’ di Lucia Calamaro, tre donne in scena e un flusso di coscienza, presumibilmente nella prospettiva di divenirne presto presidente dello stabile capitolino dopo le tribolate vicende vissute dallo stesso. Nel biglietto d’addio, Concita De Gregorio, in piedi sulla scialuppa di salvataggio, suggestioni scenico-letterarie degne degli ultimi versi di Majakovskij vergati poco prima del suicidio – “A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Come si dice, l'incidente è chiuso. La barca dell'amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici.” – ringraziava ancora, commossa, la redazione per la "passione, coraggio e dedizione". Profuse parole non meno degne in questo caso del siculo generale di divisione Antonio Cascino che, rivolto ai suoi fanti nei giorni più aspri della grande guerra li invitava a essere “la valanga che sale!”.
Seguiva il necrologio a sua volta cortese dell'editore Gian Marco Sandri: “Ringrazio con stima e affetto Concita De Gregorio per il lavoro fatto e per aver fatto nascere e crescere con noi questa realtà che già nel suo primo anno di vita ha saputo occupare uno spazio importante nel mondo dell'informazione e dell'intrattenimento. Ora si apre un altro capitolo, in continuità con il precedente". Completando il minuetto finale nonché ferale, De Gregorio sottolineava: "Abbiamo formato una redazione di giovani e giovanissimi, ragazzi formidabili, abbiamo chiamato a collaborare le migliori firme e i più promettenti talenti che ringrazio per la fiducia che ci hanno accordato. Il mio lavoro di avviamento è terminato. La nave non è solo varata, ma ha preso il largo". Oh, la nave! Si noti dunque che la citazione nautica majakovskiana non era peregrina. E ancora, con empito brechtiano proprio dei versi più didascalici: "Tutto è politica, fare al meglio il proprio lavoro lo è senz'altro. Torno dunque ai miei antichi compiti di scrittura e, prossimamente, sempre più al teatro: che non ho mai abbandonato e che considero oggi sempre più di sempre luogo sacro di democrazia e bellezza. Auguro il meglio a tutti voi. Che la lealtà e la libertà (di dissenso, in specie) siano sempre la vostra, la nostra guida". Quasi un testamento ulteriore in questo caso assimilabile, perdonate la necessità citazionistica, all’ultimo biglietto lasciato da Cesare Pavese sul comodino della camera 346 dell’Hotel Roma di Torino il 27 agosto d1950: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi. Cesare Pavese”. Da lì a poco, sempre Concita De Gregorio, in attesa di raggiungere il boccascena, l’avremmo vista, ancor più fantasmagoricamente piumata, al fianco del pittoresco Pier Paolo Piccioli, allora direttore creativo di Valentino, in abito griffato, a conversare sul tema “The Power of Image”, perché, sempre parole sue d’autore, replicando a Piccoli, secondo cui “spesso ci limitiamo nel raccontare il mondo che viviamo. La moda è in grado di crearne una versione migliore”, che poi è quello il momento in cui “l’arte diventa politica” (sic).
Su questo arazzo, gobelins per gli eredi degli antichi frequentatori delle sale d’essai, edificante e assai ispirato occorre adesso immaginare le definitive ironiche macerie di The Hollywood Reporter Roma. Il requiem di Boris Sollazzo, direttore che del magazine ha ricevuto il bastone di comando proprio dalla Piumata: “Mi sono dimesso. Il dolore, la rabbia e la delusione oggi potrebbero farmi straparlare. Quindi, se lo riterrò necessario, scriverò un messaggio più lungo ed esaustivo in futuro, per i pochi che possano essere interessati. Ma tre cose ritengo vadano immediatamente precisate. Le sofferenze iniziano da luglio 2023, a Venezia arriviamo già tutti con due mensilità arretrate e andiamo per la terza. I problemi partono da molto lontano. Una nota, per chi avesse voglia di deresponsabilizzarsi. (E guardate il senso di squadra, di gioia di fare il proprio lavoro, di voglia di conquistare il mondo della foto, nonostante tutto: siamo a Venezia, dopo l'ennesima giornata di fatica matta ed entusiasmante. Quando a inizio febbraio accetto la direzione, so che sarà ‘menomata’ e pur non avendo ricevuto le giuste informazioni sullo stato di salute della società… ci siamo fatti da parte perché tutti gli altri potessero prendere più stipendi arretrati possibili: il capitano prende l'ultimo salvagente, a costo di morire annegato”. Ancora sapore mare, sebbene in tempesta, assenti le scialuppe, come già nel Titanic. Segue dunque il dolente comunicato sindacale dei giornalisti di THR Roma che “hanno preso una decisione estremamente sofferta, per non dire drammatica. Da mesi non ottengono lo stipendio, da mesi la società editrice di THR Roma appare incapace di offrire una qualsivoglia prospettiva realistica alla testata. Per mesi hanno continuato a lavorare e a realizzare con passione un giornale in condizioni che si sono fatte via via proibitive. È per questo che hanno deciso – tutti insieme – di dimettersi per giusta causa. Dimissioni che sono effettive da oggi, 1 luglio 2024”. Il film della chiusura, prodromica di un crollo assai più ampio di certe attività diportistiche, alla fine avrà come titolo “La pacchia è finita”, come diceva la Meloni, e molti ritenevano che si riferisse unicamente ai “professoroni”, ora sanno che era rivolto anche ai cinefili. Come mostra la bacheca Instagram di Chiara Gamberale, la De Gregorio e la sua bella gente va ora immaginata a cena in un’isola del Mediterraneo a cantare “Maledetta primavera” accompagnata alla chitarra da Paola Turci, consolazioni nella prospettiva dell’estate che sarà.