Non credo in niente di Alessandro Marzullo è il primo lungometraggio girato in pellicola da 16 millimetri del suo regista e sceneggiatore, un viaggio nella vite notturne di quattro ragazzi alla soglia dei trent'anni, che non vogliono rinunciare alle proprie passioni, nonostante il piano di vita cucito da ciascuno di loro cominci a vacillare. Protagonisti senza nome, perché nessuno li chiama nello scorrere del tempo ma anche della narrazione. Nessuno li cerca. I loro sono appellativi generici che appaiono soltanto nei titoli di coda. Una storia violenta e amara che sa di nichilismo, appiattimento e di incertezza, quella di un gruppo di giovani che cercano di inseguire il loro sogno, l’Arte, ma non ci riescono. Il film è diviso in quattro racconti in cui i personaggi diversi e lontani si avvicinano, senza mai toccarsi davvero, soltanto in un luogo: il paninaro. Un venditore ambulante di bibite e panini che con il suo chiosco aperto durante le ore notturne incontra a turno tutti i protagonisti in cerca di conforto, e lui, battendo scontrini e dispensando perle che hanno più il sapore delle frasi fatte, cerca di rischiarare il buio delle loro esistenze sconnesse.
Centocelle (Giuseppe Cristiano) è un aspirante attore scontroso e silenzioso che alterna rari provini a sesso occasionale, amico di Meccanico (Gabriel Montesi) un uomo logorroico ma, si pensa, ben ammanicato con il mondo del cinema. La valvola di sfogo per Centocelle è solo il paninaro che una sera esclama: “So’ tutti raccomandati in questo Paese der caz*o! Non ci sono più gli artisti de ‘na vorta… Adesso ci sono sempre le stesse facce, ma chi se li straincu*a? A me m’hanno rotto er caz*o! Al cinema non ce vado più!”. Centocelle è il ritratto di centinaia di migliaia di aspiranti attori che sognano un futuro in questo settore ma che dopo svariati sacrifici, scendono a patti con le cose, scorgono il fallimento e si credono perduti per sempre. Perché un provino va male, perché non sono riusciti ad entrare nell’ennesima scuola di cinema e così, arrivati i trent’anni e con essi il malessere di una adolescenza abbandonata e l’arrivo di un’età adulta che non può esimersi dalla Responsabilità, si chiedono dove sia finita la speranza.
Jonio (Mario Russo) e Cara (Renata Malinconico) sono una coppia di ragazzi che condividono la passione per la musica. Lui suona il violino, lei il pianoforte. Un giorno vengono divorati dalla crisi esistenziale perché si rendono conto che lavorare al ristorante per pagarsi i corsi e finanziare la libertà di un futuro da professionisti nel campo della musica, semplicemente stanca. Incomiciano a pensare che la loro condizione sia immutabile. La matassa rovinosa della quotidianità pesa, Cara decide di presentare domanda al concorso per diventare insegnante di musica mentre Jonio vuole scappare via lontano. La numero 4 (Demetra Bellina) di lavoro fa la hostess di volo che sogna di fare la cantante e in un bar, una sera, fa amicizia con il receptionist dell'hotel in cui alloggia (Antonio Orlando), un ragazzo introverso che ama la scrittura e annota costantemente su un quaderno frasi ed eventi della sua vita.
Ognuno di questi ritratti mostra una soffocante presa di coscienza su quei lavori che dovevano essere momentanei e che invece rischiano di durare per sempre. Nanni Moretti in Ecce bombo ci faceva vedere dei giovani che cercavano mille modi per ammaz*are la noia, per ripartire, chissà dove, chissà come, l’esatto opposto ci mostra nel 2024 Non credo in niente. Il film di Alessandro ci dice che i giovani di oggi sono in questo diversissimi da quelli di un tempo. Se nel secondo lungometraggio di Nanni Moretti i coetanei di Piazza Mazzini solevano riunirsi e ritrovarsi per risolvere se stessi e la noia (invano) senza alcun sogno, i protagonisti del film di Marzullo, che assomigliano a molti nostri amici, sanno bene cosa vogliono, ci provano ma non riescono, scoprono la “menzogna”. Come diceva Nietzsche in Ecce Homo: “Io per primo ho scoperto la verità proprio perché per primo ho fiutato la menzogna”, un pensatore “antipolitico” che nella sua filosofia non ha mai nascosto la sua amarezza nei confronti di una sistema e di una società stanca e avviluppata in un mantello di incertezza. Così i personaggi di questa storia comprendono dopo anni spesi a investire su quelle che credevano sarebbero divenute un giorno le loro professioni, affrontano la cruda e nuda realtà delle cose. Questo film è amato dai ragazzi della Capitale (e non solo) perché si sentono rappresentati. La mole di gente con gli occhi rossi che dalla poltrona continua a distanza di un anno ad assistere allo svolgersi degli eventi e alla dispersione dei sogni sul grande schermo, è ciò che dà speranza perché qualcosa si muova, la conferma che il cinema giovane emergente fatto di enormi sacrifici (il film è stato realizzato con un budget risicatissimo) serve a noi ma anche alle vecchie generazioni, un monito affinché queste ultime si diano una svegliata, scoprano film come quello di Alessandro, guardino come son cambiate (e spesso peggiorate) le cose negli anni, smettano di trattarci come scansafatiche che si piangono addosso e comincino a comprenderci.