Ce lo meritiamo. Un po' di luci puntate addosso e movimento mediatico che non sia per l'ennesima evitabile morte sul lavoro, per uno scandalo politico o le esalazioni patibolari dell'ex Ilva, ma per un film che racconta tutte queste cose senza fare sconti a nessuno e che quindi, sì, è una grande notizia. Scrivo questo mio pensiero mentre torno a piedi da un Campari soda in un bar del centro, alle due di notte, cassonetti strapieni come coglioni gonfi che sborrano buste di monnezza abbandonata, la luce arancione brodo di carne dei lampioni in ghisa, una tramontana che fa sembrare questa primavera molto più un metà ottobre che un dolce maggio. Michele Riondino è il miglior attore protagonista di questa rassegna dei David di Donatello. Caterino Lamanna ha vinto, quel "bastardo". Ci ha incantato tutti, nella sua fredda e spoglia cattiveria semplice. Insieme a lui, Elio Germano vince come miglior attore non protagonista e Diodato ha portato a casa il premio per miglior canzone originale con La Mia Terra. Insomma, Palazzina Laf ha spaccato tutto. Qualche mese fa su MOW avevamo decantato la bellezza del film Palazzina Laf e le contraddizioni di Taranto. Mo' non ci sta niente per cui creare polarizzazione sui social media: ci sta solo da tributare un applauso a scena aperta a Michele Riondino e a tutti coloro che hanno reso possibile il film, che ha raccontato uno squarcio autentico di Taranto. È il giusto tributo. È appena passato l'uno maggio, una data che a Taranto significa molto. È la data del concertone, che ormai si contrappone fieramente a quello di Roma e che è percepito come il luogo dove oltre alla musica si parla di faccende concrete, impegnate, in un mondo disciolto e liquido c'è ancora - per fortuna - chi si aggrappa a un ideale come ultras a uno striscione e lotta e urla per farsi sentire e trovare una via di uscita. Michele e Diodato sono tra i tarantini che non mollano, direttori artistici del concertone. Sono dei tarantini da ammirare. Non se ne fregano niente del fatto che fondamentalmente siamo delle pedine, delle marionette che ballano al ritmo di chi muove i fili, loro pensano comunque di poter accoltellare il burattinaio o quantomeno di ridurlo in impotenza e prendersi ciò che gli spetta. Loro hanno una visione: una Taranto Libera. Da chi, da cosa? Dall'inquinamento, dalla malapolitica, dal menefreghismo, dalla precarietà, dall'incuria.
Io sono di Taranto, sono trent'anni che sono di Taranto. Non ho l'accento tarantino e sono stato domiciliato in mezza Europa e in tutta Italia ma fondamentalmente sono un tarantino dimmerda. Mangio le cozze e vado a mare e vorrei sradicare gli altoforni e l'ignoranza della gente che maltratta la città e bestemmio le giunte comunali che pasteggiano sulla mia terra e mi incazzo e sbiello e vorrei scappare da qui ma poi mi capita di passeggiare sul lungomare e resto accecato dai tramonti che incendiano il mar Grande fino a Capo San Vito e dalle paranze che solcano il canale navigabile, coi pali delle cozze e le boe ad agitare l'acqua placida del bacino del Mar Piccolo, che bagna la città vecchia. Mi scuoto di piacere anche negli angoli di edilizia sostituiva della mia città, perché non esiste solo la Cartolina Turistica ma anche il cemento abbruttito può darti emozioni se ci hai vissuto, amato e odiato. In questo momento, mia madre è in un centro privato a Pisa dove si è appena operata per un carcinoma alla tiroide. Avrei da ridire già sul fatto che noi tarantini siamo obbligati dalle tempistiche esistenziali a doverci rivolgere a strutture private per salvarci la pelle, ma entreremmo in un discorso in cui le parole sono vane e servirebbero semplicemente delle pallottole nelle gambe, come nei bei tempi andati dei Settanta. Perché parlare del come la sanità pubblica sia diventata un colabrodo depotenziato? Si fa prima a sparare agli artefici di questo, qualora non siano già morti. In quel caso possiamo sempre pisciargli sulle tombe. Il nostro non è un caso unico: a Taranto ti giri e ti volti e tutti hanno almeno uno 048 in famiglia (il codice di esenzione dei malati oncologici). Sta un mio amico, un grandissimo fotografo, Alessio Pelli, 29 anni e già sopravvissuto a due diverse patologie tumorali. L'ultima volta teneva una bestia di 15 centimetri nelle 'ndrame. Con chi dobbiamo prendercela per queste cose? Sempre con la genetica? Sempre con le cattive abitudini personali? Mia mamma e Alessio sono tra le persone più sane che conosca, non hanno manco mai fumato una sigaretta in vita loro. Non posso sapere se il tumore di mia madre sia correlato all'Ilva, di certo non mi stupirebbe saperlo. Ma tanto: va così da anni, qui. Non sarà una donna in più nel novero delle malate oncologiche a dare una scossa a questa merda che abbiamo respirato e continuiamo a respirare. Ecco, dobbiamo essere felici che Palazzina Laf abbia spaccato ai David di Donatello. Perché con la sua opera, Riondino ha fatto conquistare a Taranto una ribalta e un'esposizione viscerale, vera, le ha restituito dignità. Niente greenwashing, niente strappalacrime o piacenti storielle terrone che tanto acchiappano al Nord, non un'immagine ripulita come vorrebbero certi politici, locali e non solo, di città mediterranea che vuole lavarsi la faccia e dimenticare le scorie industriali. No, la Taranto che racconta Riondino in Palazzina Laf è quella vera che viviamo tutti i cazzo di giorni. Questa vittoria è un bel vaffanculo a tutti quelli che vorrebbero vedere Taranto ancora peggio ma soprattutto è un fortissimo vaffanculo a chi preferisce ignorare i problemi cruciali di Taranto per rivendersela come paccottiglia del Sud Italia turistico, di quella roba da trulli e muretti a secco e calette immacolate che tanto ha stomacato e tanto ha riempito gli shooting dei brand e delle agenzie marketing di mezz'Italia. Taranto è a Taranto, non in Puglia, come dice Cosimo Argentina in Nud'e Cruda. Quelle cose lì ce le abbiamo anche noi, ma noi abbiamo una cosa che voi non avete: una sofferenza straziante di sottofondo, un ronzio permanente, come quel nervo represso che anche dopo anni ti fa scalciare e sputare acido. Quella di Palazzina Laf è una vittoria contro chi non crede in questa terra ed è importantissima: è sulle vittorie che si edifica poi un sentimento sempre maggiore di rivalsa, di rinnovamento, di cambiamento. E siccome parliamo di vittorie: se esiste un Dio del calcio, per favore dacci uno sguardo durante i playoff per la Serie B, che il Magico Taranto merita altrettante gioie. Mi piacerebbe che ci fossero i cori riproducibili negli articoli digitali, perché vorrei che cliccaste su qualche link ipertestuale per sentire un coro dei tifosi del Taranto, semplice ma calzante, che dovremmo cantare sempre e dovremmo tatuarci tutti noi 189mila tarantini: per la nostra città (e un paio di battimani secchi). Forza Taranto, nel bene e nel male.