La cosa bella di quando video-intervisti Edoardo Camurri è che neanche lui sa creare il link di Zoom. E quindi siamo entrambi costretti ad affrontare la mera macchina che è la realtà di un pedante tutorial, per poter dialogare sul suo fenomenale saggio intitolato Introduzione alla Realtà uscito per Timeo. E d’improvviso si materializzano le nostre facce e ci mettiamo a ridere. Per me Camurri è solo Edoardo, perché amico e compagno degli indimenticabili viaggi televisivi di Provincia Capitale in questo strano Paese a forma di scarpa. Aleggiamo ancora su Raiplay: lui in qualità di conduttore, io come “Forzuto”. Sono pure stato a casa sua, conosco le sue due figlie Mötorine e suoi tre gatti, ma infatti la prima domanda è questa.
Caro Edoardo, mi hai salutato i tuoi gatti?
Certo che sì. Stanno qua in giro e vivono come dei maestri. Ogni giorno mi insegnano il qui e ora, celebrano i passaggi di soglia quando sostano tra una porta e l’altra, e con le loro fusa, una specie di musica drone, mi piace pensare che accedano a dimensioni non ordinarie della coscienza. Ho sempre vissuto con i gatti, e infatti ho messo anche in copertina di Introduzione alla realtà – chiamato ormai anche il Gattone – questo gatto di Louis Wain che sta lì con un sorriso da Monna Lisa. Mi piace pensare che il gatto, questa specie di riassunto di un leopardo, sia una sorta di Virgilio per questo viaggio nella realtà.
Considero il tuo libro una sorta di vademecum per la nonviolenza.
Sì, la nonviolenza sta molto a cuore al gattone di Introduzione alla Realtà. Quando ci introduciamo nella realtà nel momento della nascita, la realtà ci chiede obbedienza, pena l’espulsione dalla realtà stessa. Se tu rifiuti le strutture di quello che ti sembra essere la realtà – che sono le regole, i mondi, gli affetti, la lingua, insomma l’essere – rischi di scomparire e quindi di morire. Tutto quello che noi sentiamo e viviamo, sia a livello individuale che a livello collettivo, è un tentativo di rispondere a quella paura. Abbiamo l'idea che per vivere, quindi per sopravvivere, ci si debba sottomettere a delle regole che nel momento in cui noi siamo venuti al mondo non abbiamo scelto. Nessuno di noi ha deciso quando e dove nascere e in che condizioni dover vivere: puoi solo obbedire o perire. La paura di morire e di diventare nulla è la cosa più devastante. E quindi saremo disposti a tutto, pur di non scomparire dalla realtà. Ce ne accorgiamo quando siamo possessivi o gelosi, oppure ogni volta che decidiamo, per dire, di invadere l’Ucraina o di fare un business plan. Fondamentalmente, sia a livello particolare sia a livello universale, agisce sempre quest’impulso violento.
Tu dici anche che la reazione a questa realtà tirannica manifesta anche un altro aspetto della realtà…
Sì, perché è realtà anche questa nostra insofferenza, questo senso di ingiustizia, di alienazione, insomma la nostra sofferenza per l'obbedienza che ci viene richiesta. E quindi intravediamo questo doppio movimento che è costitutivo di ciò che è reale: da una parte il tiranno che ci chiede sottomissione e al contempo la lotta contro di lui. Quando noi comprendiamo che la realtà non è soltanto il tiranno, ma è anche il desiderio interno alla realtà stessa di liberarci dalla realtà che subiamo, possiamo aprirci a quella pratica nonviolenta di comprensione, cercando di liberare la realtà dalla coercizione che la caratterizza. Possiamo farlo provando a osservare in noi stessi le pulsioni più aggressive, legate intimamente alla paura di morire e provare dunque ad affrontarle. In questo senso, nella sua profondità contraddittoria, possiamo dire che la realtà ci stia rivolgendo un appello alla nonviolenza.
Nel tuo libro ho colto un'apertura a tutti i lettori, indipendentemente dalle loro sovrastrutture culturali. Sei riuscito a scrivere un libro vivo, profondo e leggero al contempo e in solamente cento pagine. La tua prima opera, in cinquant’anni di età. Come mai?
Da sempre ho ritenuto più importante leggere che scrivere. Facendolo fin da ragazzino, i libri ti aiutano a conoscerti e sono un veicolo potentissimo che ti consente di manifestarti. E allora perché ci ho messo cinquant’anni anni per scrivere a cento pagine? Perché fondamentalmente in questo libro c'è il concentrato di ciò che mi ha accompagnato in questi cinque decenni di vita.
Nelle tue pagine ricorrono dei personaggi: dal tuo mitico nonno che viveva in albergo, a Epitteto, Mark Fisher, Giorgio Colli, come fossero tue personali emanazioni. E ovviamente c’è anche Rodolfo Wilcock, autore di quella frase che ti sta tanto a cuore, sull’impegno…
“Al primo accenno di impegno morale, mettersi a letto”. Comunque sì, mentre scrivevo mi sono imposto di non toccare altri libri, perché volevo che ogni pagina vibrasse forte di un unico suono. E quindi ho cercato di proteggerlo. Non mi andava che entrassero parole e altri sentimenti, se non quelli che corrispondevano a quella tonalità di fondo che mi stava intercettando. Quindi pochissime citazioni e a memoria, nessuna bibliografia o note a piè di pagina. Solo il tentativo invece di condividere una stessa musica in cui sintonizzarci tutti insieme. Ed essere più vicini al Thauma e quindi all’esperienza meravigliosa e sconvolgente che caratterizza la realtà, la cosa sorprendente che c’è qualcosa anziché il nulla.
Introduzione in che senso? Te lo chiedo con l’occhio su alla Carlo Verdone.
Introduzione alla realtà, proprio così come è scritto. Non un libro in cui io provo a introdurre i lettori all'interno di riflessioni che portiamo avanti da circa quattromila anni. Va proprio letto come un entrare dentro. Il libro si apre con il momento in cui ciascuno di noi si introduce dentro la realtà, cioè con la nascita, in cui non decidiamo quasi nulla e siamo obbligati a obbedire alla realtà stessa. Quindi questo titolo va anche letto come un invito da parte del Gattone che ti propone di reintrodurti alla realtà, di rinascere in continuazione in una specie di acceleratore karmico. Possiamo trovare il modo per introdurci altre volte dentro la realtà, per provare a rimodulare in maniera diversa quella violenza che nasce dalla paura della disobbedienza, dando voce, corpo, possibilità a quell'altro aspetto della realtà che chiede il nostro contributo per liberare la realtà dalla realtà stessa.
Parlaci del Thauma, in termini filosofici e della bottiglietta d’acqua tra le mani di tua figlia Maddalena, la Motörina number One.
Iniziamo così, l'idea di fondo è che la filosofia prende la sua forza quando si avvicina il più possibile a un'esperienza sconvolgente e meravigliosa; arriva a essere se stessa in questa vicinanza, fin dai tempi degli antichi greci: tanto più è vicina al Minotauro, tanto più la filosofia è potente. Il minotauro sta al centro del labirinto che è espressione del minotauro stesso. In quel momento non esistono ancora logos e filosofia. Ma le parole e i concetti che nascono da quell'esperienza diventano la filosofia. Il Minotauro è il Thauma che esplica nel labirinto sia meraviglia che sofferenza. Ritroviamo l'essenza stessa di ciò che accade quando nasciamo e ci introduciamo dentro la realtà, qualcosa che è sconvolgente e più grande di noi. E allora, se il Thauma è l'origine della filosofia e di ogni realtà, il tentativo di reintrodurci alla realtà è cercare di ritornare a quel Thauma, a quella vissutezza, a quella immediatezza, che ancora deve trovare espressione. Il libro cerca di dare spazio a quel momento, provando ad abitarlo. Cito, come mi dici, anche quell’episodio accaduto a mia figlia Maddalena, quando aveva pochi mesi. Stava seduta al tavolo della cucina. Di fronte a lei, una bottiglietta d'acqua fresca. A un certo punto se la rovescia addosso. E in quel momento lei ha il suo Thauma, il suo contatto: cos’è sto freddo, cos'è? E subito mi guarda con un’espressione neutra: mi stava chiedendo che emozione, che musica, dovesse associare all’accaduto, non una conferenza sull’acqua. E io potevo scegliere se spaventarmi e arrabbiarmi, provocando paura e disorientamento. Oppure se sorridere, generando una musica di apertura, accoglienza, gioia e sorpresa. Fortunatamente ho sorriso, lei mi ha ricambiato e da lì in poi Maddalena è diventata una campionessa mondiale di rovesciamento d’acqua.
E quindi perché si dà così importanza alle opinioni e non alle emozioni?
C’è una frase molto bella del grande filosofo stoico Epitteto: “Non sono le cose a turbare gli uomini, ma le loro opinioni sulle cose”. Significa che tutto è determinato dal nostro sguardo e quindi dalla musica che noi emettiamo quando entriamo in contatto con la realtà. Allora anche in questo caso si tratta di ritornare a rivivere il Thauma, di fare il viaggio al contrario, di riannodare il nastro delle nostra esistenza fino al momento della nascita, per riprovare a ridare un nuovo suono a ciò che poi tornerà a manifestarsi come realtà. Da un seme si sviluppa un grande albero che è l'espressione della nostra vita reale. In Introduzione alla realtà noi siamo su qualche fogliettina di questo grande albero e proviamo a ritornare all'interno di quel seme per poi rinascere nuovamente. Possiamo farlo più volte con differenti gradi di consapevolezza e strumenti che diano nuovi suoni alla realtà che diventiamo.
E quindi arriviamo alla svolta, ai sacramenti psichedelici: all’inizio del libro tu parli all'individuo, poi l'individuo si scioglie e diventa entità corale. E ti rifai al Comunismo acido e ripeti quella frase: nessuno deve rimanere dietro.
In questo discorso l'esperienza psichedelica è fondamentale, uno dei tanti modi che noi umani abbiamo trovato da quando è iniziata la nostra storia su questo pianeta con l’incontro con piante e funghi. Con l’esperienza psichedelica è possibile vivere con profondità la propria morte e quindi provare a ri-attraversare quella paura che dà forma alla realtà e al suo tiranno, così come normalmente siamo abituati a concepirla. Muore quindi la tua individualità, i significati che tu fino a quel momento stavi dando a te stesso e agli altri; muore quel sistema di violenza e potere che avevi accettato per paura di essere espulso dalla realtà. Ti si apre interamente la realtà, fai spazio a un grande noi, a un’assemblea cosmica di tutti gli esseri viventi. Questo mi pare che sia uno dei sensi profondi dell'esperienza psichedelica ed è per questo che è così importante nel libro del Gattone. Allo stesso tempo mi viene da aggiungere che la porta attraverso la quale affrontiamo nuovamente la paura di morire si possa dare anche in moltissimi altri modi; per esempio quando ci si innamora si vive qualcosa di analogo; in un certo senso moriamo a noi stessi, per aprirci all'incontro con la persona amata. Gli amici ti dicono che non ti riconoscono più, che hai perso la testa: esatto, ti sei decapitato e quindi muori e ti apri alla disponibilità di diventare altro in una realtà più grande: non a caso l'esperienza dell'amore molto spesso culmina con la nascita di una nuova famiglia e quindi di altra vita e realtà. E quindi la realtà prova a superare se stessa per liberarsi e guarire dalla sofferenza che la caratterizza e si apre alla dimensione dell’amore che, insieme alla paura, è l’altro movimento fondamentale.
A proposito di amore, vorrei che tu raccontarsi il gesto sublime di quel poeta ebreo ungherese, citato nel libro. riesce a scrivere una poesia, consapevole che di lì a poco i nazisti gli avrebbero sparato.
L’incredibile storia di Miklós Radnóti che ho scoperto grazie a Elsa Morante. Lei narra di questo poeta ungherese, durante la sua conferenza contro la bomba atomica. Radnóti è imprigionato in un campo di sterminio. Sa che lo uccideranno e scrive comunque ancora dei versi che gli verranno poi trovati nella tasca dei pantaloni, dopo che il suo corpo sarà buttato via in una fossa. Elsa Morante racconta che quando ha letto di questa vicenda ha provato una grande felicità e gioia; potrebbe sembrare una reazione assurda di fronte all’atroce uccisione di un ragazzo. Ma lei elabora una spiegazione illuminante: ciò che stavano facendo i nazisti era banale, come la logica della loro realtà, una cosa orribile, prevedibile e disastrosamente normale. E invece che una vittima in quel momento trovasse la forza, il desiderio di scrivere ancora due versi è il miracolo assoluto ed è l'espressione di una realtà più grande, fatta non di violenza, di paura e di calcolo, ma di amore: la traccia dell'esistenza di un altro piano che non tiene conto delle regole del sistema, ma che si dà secondo altri principi. Il verso sublime di Miklós Radnóti era “Ora la morte è un fiore di speranza”, praticamente il motto di ciò che provo a dire in Introduzione alla realtà.
Adesso hai dieci secondi per lasciare un messaggio a tutta l’umanità: cosa diresti?
L’hanno già fatto i Beatles nel 1967, nel primo programma televisivo in mondo visione. Tutte le nazioni del mondo cosiddetto libero avevano qualche minuto per trasmettere ciò che volevano. Quasi tutti hanno trasmesso inviti turistici. A un certo punto si collegano con l'Inghilterra e vedi che nello studio ci sono i Beatles che si stanno preparando a comunicare con centinaia di milioni di persone in diretta. Sopra di loro, il grande simbolo del Tao e all’improvviso iniziano a cantare All You Need Is Love. Un vero e proprio missile psichedelico lanciato a tutta l'umanità. Quindi l'hanno già fatto i Beatles e il mio messaggio è All You Need Is Love.
Grande Edoardo, ti voglio bene.
Anch'io forzuto!