Ho da poco letto l’articolo di Michele Monina sul documentario Prime di Achille Lauro: Ragazzi madre. L’Iliade. Premesso che, pur essendo rimasti molto amici io e Michele abbiamo smesso di collaborare insieme a livello manageriale (ciò non toglie che potremmo collaborare su specifici progetti) e premesso che non sapevo, lo giuro sulla mia vita e sui miei figli, che Michele avrebbe scritto un articolo su questo documentario (vecchio, nato anni fa e innestato di quattro aggiunte recenti), mi sono deciso a scrivere anche io un articolo sul tema prendendo spunto da argomenti differenti ma congiungenti scritti da due penne che ammiro molto: Michele Monina e Moreno Pisto. Introduco il mio articolo con una frase di Pirandello: “Un fatto è come un sacco: vuoto, non si regge. Perché si regga, bisogna prima farci entrar dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato. E quindi, caro Michele, il documentario di Achille Lauro non è falso, è semplicemente omissivo e opportunista. Anzi, per alcuni tratti è anche molto vero, certamente non per la parte in cui ha lavato con una spugna bagnata nella fogna per quasi cinque anni nei quali è stato artefice e ideatore del nulla. È molto omissivo perché non racconta tante cose che la gente avrebbe dovuto conoscere per capire chi è realmente il protagonista. Ha scelto poi un riferimento che meglio non poteva calzare, cioè l’Iliade. Un poema “che solo la tradizione attribuisce ad Omero”! Così come solo la tradizione e la convinzione popolare, la credenza, attribuisce il successo di Achille Lauro a Lauro De Marinis. Mai scelta fu più azzeccata da un “non scolarizzato” che magari usa riferimenti storici, filosofici e citazioni solo dopo aver eseguito attenti studi su testi sacri come Wikipedia o per essergli riferiti da Matteino. Non mi interessa nemmeno sottolineare come il Pelide, non quello dell’Iliade, non sapesse nemmeno chi fosse Ferdinando Salzano, né Nik Cerioni, né Alessandro Michele, né Nicole Morganti di Amazon, né Alboni della Warner. Nemmeno la sua attuale direttrice di banca. Né, credo, che ai tempi di Achille, sempre quello dell’Iliade, si fossero già approfonditi studi sulla sociopatia e antisocialità su cui invece avrebbe dovuto documentarsi e di cui il documentario costituisce un case history. Quel documentario, caro Michele, non è falso perché oscura me, ma perché oscura proprio il suo creatore (regista, io che di cinema ne ho fatto, non non riesco a dirlo). Ne racconta solo in parte le eroiche gesta in un contesto di microcriminalità che giustificazione nel fatto di essere nati in periferia e dall’aver avuto un rapporto familiare difficile, mettendo in discussione i sacri testi di criminologia. In effetti lo stesso autore, regista, attore, sceneggiatore e chi più ne ha più ne metta, racconta che nel suo quartiere viveva Rino Gaetano, che, a mia memoria, non ricordo in vita abbia mai raccontato di aver spacciato o rubato nei supermercati in quanto ragazzo di periferia. In quel quartiere è nata e cresciuta un’altra persona da lui citata e conosciuta grazie a Nick Cerioni, Alessandro Michele, le cui gesta da “microcriminale” non mi sono note. Magari mi sarà sfuggito di leggerle nella biografia. Non è falso quel documentario, caro Michele, perché va esattamente in direzione opposta alla sua videointervista, facilmente recuperabile su Il Sole 24 Ore, rilasciata al Mudec, in cui a un certo punto dichiara: Angelo, se non ci fosse stato lui oggi forse non staremmo facendo questo percorso e bla bla bla bla bla. Nemmeno è falso per la direzione opposta in cui vanno le dichiarazioni rilasciate sempre nella stessa giornata al Mudec da Ferdinando Salzano, da Marco Alboni, da Dalia Gabershik, dallo stesso Cerioni e da Gianluca Comandini. A proposito la direttrice della banca l’ha conosciuta tramite Gianluca. E poiché so che sei curioso, caro Michele, e so che vuoi sapere però dove lo considero falso, scrivo con il “dito mignolo” e te lo dico.
È falso secondo me quando parla di sentimenti, di amicizia, di fratellanza. Quando omette il periodo buio con Edoardo, Boss Doms, e non ne spiega le vere ragioni, né perché lo abbia ripescato come “scenografia” nel momento del bisogno (parola usata dalla compagna di Doms sui social). Quando continua a parlare di nuova musica e lo fa da giugno del 2018, già prima conferenza stampa in Sony. Quando non parla dei suoi veri sentimenti nei confronti di una parte dei fans, quando omette di aver mandato via Giorgia, oggi nuovamente al suo fianco, e non ne spiega le ragioni, quando non parla della repulsione verso le interviste e verso tutto un mondo a cui oggi porge la guancia, l’altra guancia, il braccio destro, quello sinistro, la gamba destra e quella sinistra. Ma è ancor più falso quando continua a rimarcare il rapporto con il padre che invece è un rapporto forte, d’amore, di affetto (come è giusto che sia per ogni figlio) al punto da avermi anche coinvolto nella organizzazione (trattative economiche comprese ovviamente) della meravigliosa e goliardica serata in spiaggia a Fregene. É falso perché tornare indietro e utilizzare Ragazzi Madre non è una spinta sentimentale ma di mercato! È solo un tentativo di copiare Sfera, I Club Dogo, Ax e Jed, e tutti quelli che stanno riutilizzando il proprio passato rivisto in chiave contemporanea. Ma può apparire ancora più falso se si riflette sul fatto che Sfera, Guè e gli altri hanno mantenuto coerenza con la propria arte restando lì, sempre, nel bene e nel male, sbagliando e facendo bene ma continuando a rappresentare un genere e basta. Non hanno sbattuto la porta in faccia a Marracash, non hanno ripudiato chi gli aveva teso la mano. E questa è un’altra omissione del documentario. Questo poema in video, caro Michele, è solo l’ennesima mossa di marketing studiata per giustificare il voler tornare al passato per recuperare numeri di follower e streaming da parte della gen z e dei millenials tagliare ponti con i boomer che oggi rappresentano il “core” della fan base. Cercare di tornare nel mondo da cui era scappato con l’idea di diventare la star Bowiniana della musica italiana. Obiettivo? Il tanto desiderato stadio che non arriva mentre è arrivato per Sfera, per Geolier e per tanti altri che ne hanno asfaltato la carriera. I segnali sono evidenti e vuoi conoscerne alcuni? La mancata citazione della band, del progetto con l’orchestra della Magna Grecia (due idee non certo sue) ma per assurdo i palchi del Battiti, insomma l’omissione di tutto ciò che non fa street, rap, trap, di tutto ciò che è clean. Tutto ciò che non è funzionale a “Ragazzi Madre 2”, o al repack di Pour l’amour che sarebbe dovuto uscire contrattualmente già nel 2021. È omissivo, quel documentario, quando non cita chi gli ha dato i primi soldi e ne ha curato le edizioni come Giuliano Saglia e Roberto Cibelli, che per anni lo hanno gestito con fatica consentendogli di ottenere permessi e clearance e che a fine contratto non si sono nemmeno sentiti dire un “grazie Giuliano e Roberto, sono stati anni belli insieme ma ho deciso di proseguire in altro modo”. Perché fa così chi narra le proprie gesta eroiche nei supermercati: scappa. Omette di raccontare molte cose anche nel rapporto con il suo stesso ufficio stampa, con cui più volte avrebbe voluto tagliare i ponti e al quale invece deve gran parte del suo successo mediatico, anche quello attuale di onnipresenza nella promozione di questa opera idilliaca. E ce ne sarebbero di cose da dire; tante da scrivere una serie tv, altro che un documentario. E io sono a disposizione di chi volesse avere una bella storia da raccontare! Comunque, ancora più irreale del documentario è lo spot fatto in stile le Le Iene. Quello addirittura mi ha fatto commuovere e, allo stesso tempo, mi ha dato la conferma definitiva del mio Achille pensiero. Quella casa, mostrata nel documentario, era la mia casa; è stata la prima casa a Milano quando per seguirlo abbandonai Roma, con non pochi problemi e gravi ritorsioni, per seguire Omero nella scrittura della Iliade. Lì hanno cenato, miei graditi ospiti, Giuliano Saglia, Anna Tatangelo, lo stesso protagonista del poema, tutto l’entourage, Nick Cerioni, Giovanna Salvadori e Sebastiano Bontempi che nel libro e nel documentario scomparso da Sky e riapparso rivisitato su Amazon (anche dimenticando, presumo volutamente, nei titoli di coda di citare gli altri produttori e il ministero della Cultura) hanno avuto un ruolo determinante. Lo stesso Ferdinando Salzano è stato mio ospite in quella casa, non a cena ma per lavoro. Una casa che amavo e che ho ceduto al Guerriero per tirarlo fuori da una abitazione che si allagava e che era per lo più una comune. E poi ho rivisto Perla, la nostra collaboratrice domestica, oggi definita house manager (sta cosa mi fa scompisciare) che se un giorno dovesse scrivere le sue memorie, beh, troppe ne avrebbe da dire. Le faranno firmare un patto di riservatezza? Una casa arredata da un mio fraterno amico di Bari, Antonio D’Erasmo, a cui non credo sia arrivato mai un grazie, i divani color cipria da me richiesti al mio amico del cuore Giuseppe Calia e il cui colore fu scelto dalla non menzionata Angela Baccaro (architetto), il gong, un mio regalo di buon auspicio per la casa oggi suonato con maestria e mostrato con orgoglio. Mi fermo qui, caro Michele, ma mi chiedo come si fa a vivere in una casa che ha il sapore di una persona a cui hai fatto cancellare il volto con i pixel quando invece quelle mura, quel posto dove poggi il sedere, quella signora che ti serve a tavola e ti consente di vivere in pulizia hanno una memoria che non si può cancellare. Questo documentario è semplicemente un pot-pourri di egocentrismo ed esaltazione di se stesso fatto per adempiere a un contratto, quello con Amazon Prime, che come ricorderete fu proprio portato in pancia da Omero! Ovviamente la verità sul punto credo la si conosca o basta rileggerla sulla stampa dell’epoca. Ma mi chiedo: come si può dire tutta una serie di inesattezze (bugie non mi viene di dirlo) quando ci sono immagini pubbliche, interviste, dichiarazioni, video, testimonianze che confermano che la storia è un’altra? Forse è proprio questo il vero film, un fantasy, come lo hai definito, Michele, che vive solo nella mente del suo autore. E a volte le convinzioni, si sa, diventano verità.
E vengo a Moreno. Ho letto il suo articolo e soprattutto la domanda: ma perché la gente va da Fedez? Perché ci vanno i Saviano, i Nuzzi, i Pietro Orlandi e ora pure i Davigo? Moreno, la mia risposta è la stessa che ho dato a Michele: perché è tutto falso. Tutti i personaggi della Iliade sono falsi. Sono tutti, e dico tutti, parenti compresi, parte di un racconto che ruota attorno a un personaggio famoso che produce le due stesse cose che produce Fedez. Notorietà e danaro. E quando dico danaro, non dico danaro diretto (come in alcuni casi dell’Iliade Team) ma anche di danaro indiretto che ti procura l’essere al fianco di chi in un determinato momento funziona e ti dà notorietà. Poi, attenzione: ci sono quelli che del danaro se ne fottono, come nel caso di chi partecipa a Muschio Selvaggio e che sono più interessati alla visibilità che Fedez gli offre. Ma è pur sempre una forma di opportunismo reciproco: bravo Fedez a catalizzare sul suo programma ospiti bisognosi di apparire, di esserci. Tutto qui. Nell’Iliade la storia è diversa. Lì l’apparire è secondario al monetizzare. Per monetizzare si mettono da parte offese, comportamenti scorretti, i maltrattamenti e ci si fa tranquillamente sfruttare e oscurare nel lavoro facendosi spogliare di titolarità di idee e creatività. Ma a questo punto, Michele, Moreno, vi pongo due quesiti: Primo: non sarebbe meglio aver scritto il documentario ispirato da Achille Lauro, il partenopeo, narrando la storia delle scarpe e del voto di scambio? Oppure sempre dell’omonimo partenopeo narrare la storia della omonima meravigliosa, unica nave che poi affondò, non si sa se per sciagura o per volontà del suo stesso creatore? Secondo: quanto è giusto che si vada nelle scuole, che si scriva sui giornali nelle interviste e che si comunichi con un documentario ai ragazzi che delinquere diventa poi un’opportunità per avere successo? Ma siamo alla follia. Ragazzi, non fatevi attrarre da quello stile di vita. Non è quello il modo di vivere e non è quella la strada per arrivare al successo. Ricordatevi che non è sicuro che incontrerete sulla vostra strada chi saprà tendervi la mano per aiutarvi a cambiare la vostra vita. Non è rubando, marinando la scuola, spacciando o commettendo gesti da stupidi ragazzi che la vostra vita cambierà. Come tantissimi ragazzi di periferia che hanno avuto successo senza fare cazzate, studiate, credete nella istruzione, investite il vostro tempo nella cultura, trovate, pur sforzandovi, un equilibrio nelle problematiche familiari. Ricordatevi che la famiglia è un’impresa, un’azienda, la prima vostra azienda, e se vorrete essere imprenditori, professionisti o avere successo dovete essere in grado di gestire anche le crisi nella vostra prima azienda, cioè la famiglia. Tenete a mente due cose: per quanto possano essere lontani dal vostro modo di essere, di pensare, di crescere, nelle vostre vene scorre il sangue dei vostri genitori. Voi sarete come loro nel bene e nel male, perché è la legge della genetica. Ne porterete con voi pregi e difetti, per sempre. La vostra adolescenza è il marker della vostra vita e per quanto tenterete di dimenticarla non riuscirete a farlo perché vi ha segnato per sempre: è il vostro marchio. Mio nonno diceva: la spiga del grano come cresce così se ne fa e se tenti di raddrizzarla si spezza. Tutto quello che facciamo lascia un segno che non si cancella. Chiudo questo pezzo sottolineando una cosa: il Pelide in questo periodo gira ovunque come mai ha fatto in precedenza quando voleva circondarsi di mistero, di “inarrivabilità” e quando tutti erano troppo commerciali, troppo “puzzoni”, insomma tutti erano troppo! Ora nonostante tutto Stupidi Ragazzi è a 1 milione e 700 mila dopo due mesi! Questi numeri ai tempi post Iliade Life si facevano in una settimana! Ma tanto ci penserà qualcuno a promuovere, spingere, a “marchettare” per farlo crescere. Tanta comunicazione, tanta strategia, tanta spinta alla fine però si scontreranno con contro un muro in cui sarà scritta a caratteri cubitali una frase, e nuovamente cito Pirandello, che mi sembra molto attinente al autore, interprete, montatore e colorist del documentario: “È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev'esser sempre”.