“Adesso siamo in grande fermento perché spingono, spingono affinché io mi ricandidi per la terza volta all’Eurovision. Però adesso non mi va. In questo istante, no. Anche perché l’Eurovision è una bella macchina da guerra, cioè bisogna essere preparati, bisogna avere la canzone giusta, ma anche il progetto giusto”. Senhit arriva con una biciletta a noleggio davanti al ristorante, Casa Merlò, dove mangeremo vegetariano insieme. Lei non beve vino, ama mangiare ma ha il fisico di una sportiva. Ha un cappellino, degli occhiali da sole che dovrebbero nasconderle gli occhi ma in un certo senso, invece, gli occhi si vedono da come sorride e da come ti saluta.
Entriamo senza troppe formalità, ci sediamo e ordiniamo. Patate arrosto, lasagne senza carne, cappellacci. Alla fine dividiamo dei dolci. Abbiamo un’ora, poi deve tornare a lavorare. Per me anche quello è lavoro, forse anche per lei, nonostante sembri perfettamente a suo agio di fronte a un giornalista. È appena uscito il suo ultimo album, Dangeours, che sta andando benissimo e della canzone omonina è stato pubblicato anche un remix. Ha partecipato all’Eurovision già due volte, una era l’anno dei Måneskin: “Conoscere i meccanismi di questo festival è complicato, anche solo descriverli, perché è proprio un mondo a sé. A un artista dà parecchia popolarità. Stiamo parlando del secondo spettacolo musicale più visto al mondo, dopo il Superbowl”. Cerco di capire.
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Un po’ come le Olimpiadi?
Esattamente. E, proprio come le Olimpiadi, ci sono poi i vari voti politici, sempre le solite dinamiche un po’ losche.
Hai gareggiato con Adrenalina.
Sì, insieme a Flo Rida, che è l’artista che mi ha fatto da featuring. Era un progetto internazionale. È stata una bella avventura, anche perché dovevo partecipare nel 2020, ma l’evento è stato cancellato per il Covid. Quindi mi sono presa un anno di tempo, anche se ero già abbastanza pronta e carica, per ricandidarmi con questo pezzo, sempre per San Marino, che mi ha concesso questa opportunità.
Sanremo si basa molto sull’idea dell’evento che unisce tutta l’Italia, una festa della canzone nazionalpopolare. L’Eurovision sembra molto più sofisticato.
Sanremo è una gara più improntata sulla canzone italiana. Non ha la lungimiranza di pensare all’Eurovision. Negli ultimi anni hanno deciso che chi vince va all’Eurovision, ma è diverso. San Marino invece fa uno spettacolo pro-Eurovision, così come la Spagna ha Benidorm Fest e la Svezia il Melodifestivalen. Ogni Paese organizza un festival interno per l’Eurovision.
Tu come ti sei sentita su un palco del genere?
Ho cavalcato davvero l’onda e ho strumentalizzato quella possibilità sfruttando tutte le mie energie. Anche perché sapevo che quel palco poteva essere molto importante. Ero pronta con Freaky nel 2020 e ho pianto tutte le mie lacrime quando San Marino mi ha chiamato per dirmi: “Guarda, non si può fare niente, c’è il Covid”.
Ti ricordi com’è andata?
Me lo ricordo benissimo: ero a casa, appena tornata da Amsterdam, dove avevo fatto la promozione per l’Eurovision. È arrivata la telefonata da San Marino, che diceva che l’Ebu aveva deciso di cancellare l’evento. E lì ho realmente capito la situazione del Covid, perché fino a quel momento l’avevo un po’ sottovalutata. Poi ho pensato: “Cavolo, se chiudono anche l’Eurovision, siamo nella merda!” E poi, subito dopo, ho pensato: “No, non mi ricapiterà mai più”. Invece sono stata fortunata, perché San Marino, qualche giorno dopo, mi ha detto: “Guarda, noi ti rivogliamo”.
E hai preparato la tua performance.
Ho usato tutto quel tempo per preparare la bomba che è Adrenalina e finalmente essere pronta.
Quando l’ho sentita, la prima cosa che mi è venuta in mente è stato: spesso si parla degli effetti sonori, della grande produzione, ma nel tuo caso c’è anche una voce potente.
Sono molto contenta che tu stia dicendo questa cosa, perché non tutti se ne rendono conto. Adesso, senza peccare di presunzione, io mi definisco un'artista realmente a 360 gradi. Quando penso a una canzone, penso a un progetto totalizzante, che includa anche l'idea di metterlo in scena e portarlo davanti al pubblico, che poi paga per venire a vedere i concerti. Quindi, dietro c’è davvero tanto lavoro. Io poi sono un'appassionata di belle voci, e mi piace puntare anche sulla mia. Mi piace lavorare sulla mia voce. Non ho problemi a cantare dal vivo, così come non ho problemi a cantare davanti a te, a cappella, perché so di avere, fortunatamente, questo dono. Questo dono che però ho anche lavorato. Quindi sì, sono felice.
Quanto è dono e quanto è lavoro?
Un po’ e un po’. Un po' e un po'. O forse, probabilmente, più dono che lavoro. Dipende anche da che concetto diamo al lavoro. Perché, per un artista, lavorare non vuol dire solo fare lezioni; vuol dire anche farsi la gavetta, andare in giro, fare concerti. I miei concerti sono cominciati in un garage del cavolo a San Ruffillo, un quartiere di Bologna, dove sono cresciuta con i miei genitori. Poi bisogna ascoltare tantissima musica. E arrabbiarsi, perché magari pensi che una cosa funzioni meglio di un’altra. Vuol dire davvero sacrificarsi, perché serve, è necessario. Questo fa sì che una cantante, che poi ti canta a cappella Adrenalina in radio, dimostri davvero di saper cantare.
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Come ti senti prima di entrare in scena?
Se mi vedi sette secondi prima di entrare sul palco, sono veramente spaventatissima. Poi, però, impugno il microfono e mi sento un drago. Mi sento davvero un drago. Se poi davanti c'è del pubblico, ancora di più. È come a teatro. Pensa che Massimo Ranieri è stato il mio primissimo pigmalione.
Davvero?
E mi ha fatto fare una gavetta bestiale.
Dicono sia severissimo.
Severissimo, però è quello che serve. Non puoi fare la cantante o l'attrice così, solo perché ti piace. No, lo devi sentire, lo devi veramente avere, un po’ come uno sportivo.
È interessante che citi proprio Ranieri, che è famoso, oltre che per la voce, anche per le sue doti fisiche.
Beh, io lo adoro. Quando ero piccolina per me era proprio il non plus ultra.
È evidente che il tuo lavoro, come il suo, richiede un impegno quasi olimpionico.
È fondamentale se vuoi essere davvero performante su un palco. Devi avere resistenza oltre che capacità. Serve davvero una preparazione fisica enorme.
In Dangerous hai cercato di mettere insieme un testo intimo su una relazione vissuta al massimo con un ritmo adrenalinico: fai ballare la tristezza. Come riesci a unire tutto questo?
Dangerous è davvero particolare. È una canzone che spinge sull’acceleratore, c’è persino una Ferrari nel video! È un ritmo che richiede fatica per essere sostenuto. Quando mi fermo, devo davvero contare fino a diecimila per ricordarmi che mi sto fermando. Sono sempre in movimento. Io sono sempre stata fortunatissima perché, contrariamente a molti artisti, non ho una casa discografica ma uno sponsor che mi ha dato carta bianca su tante cose. Sono arrivata già pronta, sapevo già cosa volessi fare. Nonostante il passaggio dal musical alla discografia – tra l'altro internazionale – non sia stato facile, perché su un palco interpreti Nala del Re Leone, studi un personaggio, ma quando metti la tua faccia è tutta un'altra storia.
C'è stata una preparazione, mi sono lasciata anche trascinare e, a volte, persino consigliare male. Però ho sempre avuto un supporto fortissimo da parte della mia squadra. È un po’ come una squadra sportiva. E, parlando di sport, questa squadra è la Panini – sì, quella delle figurine – che ha deciso di diversificare e investire anche nella produzione e distribuzione musicale. Ed è stato incredibile perché è una realtà piena di giovani, con un entusiasmo pazzesco, e con risorse – che ovviamente aiutano sempre. Mi hanno dato davvero carta bianca, e così sono riuscita a lavorare con autori, artisti, produttori, e musicisti che avevano tanta voglia di fare. Non avevamo scadenze stringenti, né l'orologio che, purtroppo, spesso incalza nelle case discografiche. Abbiamo avuto molta libertà.
Quindi il tuo è un progetto meditato, fatto per restare.
È stato un lavoro durissimo. Contrariamente a format come XFactor, dove mi hanno proposto tante volte di partecipare, non c’era l'effetto meteora. Non c'era quell’effetto lampo, dove canti, ti spremono, e poi next. Fortunatamente, con la Panini, abbiamo avuto tempo.
Quanto dura un tour?
L’ultimo, quello che abbiamo fatto dopo l’Eurovision, si chiama Eurovision on Tour. Lo scopo era sensibilizzare su Eurovision anche fuori dall'Europa. Siamo stati perfino in Australia. È durato due mesi, due mesi e mezzo. Sono tantissimi, anche perché stai sempre in giro, ci sono sei fusi orari diversi, decine di aerei. Però è bellissimo, è stupendo. Lo rifarei subito.
Non sei mai stanca?
Negli ultimi anni ho capito di essere un animale da palco, ma anche un animale da tour. Va bene fare concerti negli studi di registrazione, nelle radio o in questi momenti di intervista, ma se mi metti su un palco – magari anche su un aereo per andare lontano – io sono felicissima.
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Qual è il tuo piatto preferito?
Sono sempre stata una gran carnivora. Sempre. Quindi tagliatelle, tortellini. Però qualche anno fa sono diventata vegetariana.
Per motivi etici o salutistici?
Più etica. Ho fatto la cazzata di guardare un video e mi sono così impressionata che ho detto: “No, no, no, adesso per un po’ smetto”. Poi sono passati dieci anni e non mi è mai mancata. Dieci anni che non mangio carne. Comunque, tornando alla domanda: non c’è un grande piatto, non ne ho uno favorito.
Neanche da vegetariana?
No, neanche da vegetariana, no. Mi piace mangiare molto, moltissimo. Mi piace, tra l’altro, provare anche cibi diversi. E magari, anche con il fatto che viaggio tanto, non sono mai stata molto legata a un piatto in particolare. Anche perché io poi sono di origine eritrea. Una cucina molto piccante, molte spezie.
Ti piace?
Moltissimo.
C’è stato un momento preciso in cui hai iniziato a cantare?
Dunque, i miei genitori si sono trasferiti in Italia tantissimi anni fa dall’Eritrea. Nella cultura eritrea c’è sempre stata tantissima musica. Mio padre è sempre stato un grande lavoratore, mia madre, inizialmente casalinga, ci ha cresciuti con musica e spezie, musica e cibo. In casa si cantava sempre. Io sono la maggiore di tre fratelli. Poi abbiamo altri due fratelli da parte di papà. Malgrado questo, in casa mia c’è sempre stata tantissima musica. Mio fratello ha l’orecchio assoluto, mia sorella ha sempre cantato, però io sono stata l’unica che ha perseguito questa professione.
Quindi la passione nasce da piccola.
Sì, canticchiavo sempre. Ma sai che non mi ricordo un momento preciso in cui ho detto: “Voglio fare questo nella vita”? Mi viene in mente che facevo le imitazioni, fermavo le folle, dicevo: “Guardate!” Però non c’è stato un momento davvero preciso.
Cosa cantavi da piccola? C’era una canzone che adoravi?
Io ho sempre amato Michael Jackson, Nina Simone… Ce ne sono sempre stati tantissimi di artisti che mi appassionavano. Poi, però, ho fatto le scuole superiori qua a Bologna, e un giorno passò il karaoke di Fiorello. Passava questo programma televisivo vicino casa, a Russi, in provincia di Ravenna. Chiesi a mio padre di accompagnarmi e lui mi disse di sì. Però non sapevamo che c’erano delle audizioni, perché il programma era diventato così famoso che, piuttosto che prendere gente a caso, facevano dei provini, anche se in tv fingevano che fosse tutto improvvisato. Quindi feci l’audizione e mi chiesero di cantare Ragazzo fortunato di Jovanotti. La tipa mi disse: “Sei proprio una ragazza fortunata!” Da lì cominciai a pensare che magari poteva diventare un mestiere, qualcosa di più serio.
Eri piccola?
Sì, avevo dieci anni. Cominciai a pensare: “Magari può succedere qualcosa”. Però avevo un padre gelosissimo, possessivo, ansioso, che mi diceva: “No, no, no”.
E come hai fatto a convincerlo?
Beh, all’inizio ci sono stati un po’ di problemi con la famiglia, soprattutto con mio padre. Non sperava che io facessi questa attività, semplicemente perché era spaventato. Diceva: “Io sono venuto in Italia, mi sono fatto un mazzo così, ho aperto una bellissima attività. Adesso è tutta vostra”. Invece no, non è andata così.
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Ti senti sempre autentica?
Se non lo fossi stata avrei intrapreso un altro mestiere. È bello quando riesci a essere autentico. Io ho deciso di esserlo. Poi mi piace giocare con i trasformismi, certo, forse è una cosa che mi porto dietro dal teatro. Un giorno sono Beyoncé, un giorno sono mora, un giorno alta, un giorno una femme fatale, un altro una ragazzaccia. Ma questo fa parte del mestiere. Anche nella vita normale sono così: mi piace sostenere diverse cause, ma senza farmi paladina di chissà cosa. Se questa cosa si riflette anche sulla mia musica, allora significa che funziona.
C’è il rischio che artisti o persone con una certa influenza sfruttino le battaglie sociali in modo strategico. Tu, invece, sembri farlo in modo spontaneo, autentico.
Assolutamente.
Anche perché, come abbiamo visto ultimamente in altri contesti, questa strategia spesso diventa evidente e artificiosa. Basti guardare al caso di Chiara Ferragni...
Ma sai, lei usa una strategia che può essere efficace, ma spesso viene percepita come forzata. E qui torna il discorso sull’autenticità. Io non riuscirei mai a fingere. Semplicemente non mi appartiene. E questo lo dico sempre: la musica, per me, non deve essere una cosa finta. I politici possono fingere, ma noi artisti abbiamo un altro compito. Anche perché, oggi, c’è un pubblico diverso che cerca autenticità. Magari non è un pubblico di massa, ma è più consapevole. È un pubblico diverso, che magari non ascolta Fedez o altri nomi più “commerciali”. È più complicato raggiungere questo pubblico, ma io preferisco restare fedele a me stessa. Per me è fondamentale l’autenticità.
E come vedi il mondo dello streaming e delle nuove tecnologie nella musica?
Lo trovo utilissimo. Certo, è penalizzante sotto certi aspetti, perché i guadagni sono diminuiti rispetto ai tempi dei cd. Una volta si vendevano album fisici e si raggiungevano certi obiettivi. Ora, con lo streaming, questo è cambiato. Però è anche vero che più streaming fai, più diventi popolare, e questo si riflette sui concerti: puoi vendere più biglietti. Quindi, nel complesso, appoggio questa evoluzione.
Hai visto il film su Maria Callas?
No, non ancora, ma conosco bene la Callas. È una figura che ammiro moltissimo. È un film interessante, anche se Angelina Jolie, secondo me, è troppo bella per essere Maria Callas. Ho fatto fatica a concentrarmi sulla storia proprio per questo motivo. Comunque si sente che la Callas cantava la sofferenza, la viveva davvero. Ha avuto una vita pesantissima, una serie di sventure incredibili, ma quando ho guardato il film ho pensato.
Qual è uno dei film più belli che hai visto ultimamente?
Amo andare al cinema, tantissimo, ma non ce n’è uno in particolare. Arrivando dal mondo dei musical, La la land mi ha conquistato. L’ho adorato, soprattutto per il fatto che gli attori hanno cantato dal vivo. Ad esempio, Ryan Gosling ha imparato a suonare il pianoforte per il film. Questa dedizione è ammirevole. A volte i sacrifici non portano risultati immediati, ma sono essenziali. Recentemente ho visto anche Wicked, un musical spettacolare, fatto benissimo.
Ti piace anche leggere.
Sì, moltissimo. Amo Valérie Perrin. La mia casa è un bazar, piena di libri, film e oggetti. Sono una spugna. Però sono anche scomoda come artista, perché so quello che mi piace e non mi lascio manipolare. Per questo trovo triste quando in programmi come XFactor si criticano i concorrenti dicendo che sono poco originali, ma poi li sommergono di input e li trasformano in qualcosa che non sono.
Meglio Mariah Carey o Michael Bublé che vengono scongelati a Natale?
Almeno loro sono coerenti.
Qual è la cosa che non fa parte della “te famosa,” superstar, cantante pop, eccetera, che la gente non conosce?
Sono una persona tremendamente fragile, veramente molto, molto, molto. Estremamente sensibile. Comunque sono davvero protettiva nei confronti del mio privato. Amo parlare della mia vita, amo parlare della mia famiglia, ma guai a chi la tocca. Questo succede anche quando conosco qualcuno che non è del mio lavoro.
Invece ci si aspetta da te che tu non sia fragile.
Sì, “la pantera”. E invece no.